Nell`ambito dell`esecuzione di lavori pluriennali, le richieste di maggiori corrispettivi avanzate dall`appaltatore al committente (cd. “riserve“) assumono rilevanza reddituale, e quindi partecipano alla determinazione del reddito imponibile IRPEF/IRES, solo se la loro spettanza è automaticamente riconosciuta per effetto di norme di legge o di specifiche clausole contrattuali.
Diversamente, tutte le richieste di maggiori compensi che non dipendano direttamente dalla legge o da accordi contrattuali sono irrilevanti fiscalmente, e conseguentemente escluse da tassazione, fintantochè non diventino certe nell`esistenza e determinabili in modo obiettivo.
Così si è recentemente espressa la Commissione Tributaria Provinciale di Genova con la Sentenza n. 243/5/10 del 9 dicembre 2010, che, in conformità all`orientamento espresso già da tempo dall`ANCE, ed in linea con quanto affermato dalla Corte di Cassazione in precedenti giurisprudenziali in materia, ha fornito alcuni importanti chiarimenti in ordine alla corretta imputazione fiscale delle cosiddette “riserve“, ossia delle richieste dell`appaltatore di un maggior compenso connesso all`esecuzione di lavori pluriennali.
Come noto, la questione deriva dall`interpretazione della disposizione relativa alla valutazione fiscale delle rimanenze di opere, forniture e servizi di durata ultrannuale, con particolare riferimento alle cd. “maggiorazioni di prezzo“ richieste dall`appaltatore, di cui all`art.93, comma 2, del D.P.R. 917/1986 – T.U.I.R.[1].
Infatti, la norma prevede che, nell`ambito della valutazione a corrispettivi pattuiti delle rimanenze di opere, forniture e servizi di durata ultrannuale, si deve tener conto, in misura non inferiore al 50%, delle “maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali””, finchè le stesse non siano state definitivamente stabilite.
In merito, la problematica interpretativa è stata originariamente indotta da quanto sostenuto dall`Agenzia delle Entrate con la Circolare 22 settembre 1982, n.36/971918, nella quale veniva chiarito che nel concetto di “maggiorazioni di prezzo“ dovessero ricomprendersi anche le richieste dell`appaltatore avanzate a titolo di “riserve“.
Su tale affermazione, l`ANCE ha da sempre espresso forti perplessità, sostenendo, invece, che le maggiorazioni di prezzo, che rappresentano mere richieste dall`appaltatore, “incerte“ nella loro esistenza e “non determinabili“ in modo obiettivo, non possono assumere alcuna rilevanza reddituale (e conseguentemente fiscale), fintantochè non trovino formale accettazione da parte del committente[2].
Alle medesime conclusioni è giunta anche la Corte di Cassazione che, con un orientamento ormai consolidato (cfr. Sentenza n.8628 del 6 aprile 2007 e n.13582 del 2 novembre 2001), ha precisato che «ai fini della determinazione del reddito d`impresa, le maggiorazioni di prezzo richieste dall`appaltatore in relazione a lavori di durata ultrannuale, eseguiti su ordinazione, possono essere prese in considerazione……….sempre che siano “certe”” nella loro esistenza e “determinabili”” in modo obiettivo, non rendendosi invece possibile attribuire rilevanza reddituale a pretese unilaterali che costituiscono mere “speranze”” di ricavi».
Il contrasto tra l`interpretazione amministrativa e giurisprudenziale della norma ha reso necessario un ulteriore intervento da parte del Ministero dell`Economia e delle Finanze che, con risposta del Sottosegretario, On.le Casero, all`interrogazione parlamentare n.5/01456 del 27 maggio 2009, ha chiarito che le riserve iscritte nella contabilità di cantiere, e ricollegabili a richieste di maggiorazioni di prezzo, rientrano nell`art.93, comma 2, del T.U.I.R. unicamente nell`ipotesi in cui tali importi trovino fondamento in disposizioni di legge o clausole contrattuali[3].
Al contrario, le maggiorazioni dei corrispettivi non richieste in applicazione delle previsioni stabilite nella legge, o nel contratto originario, assumono rilevanza fiscale solo se “certe“ nell`esistenza e “determinabili“ in modo obiettivo nell`ammontare.
Pertanto, anche in conformità a quanto sostenuto dall`ANCE, il Ministero ha precisato che le richieste di maggiori compensi fondate su varianti in corso d`opera, che non trovano fondamento nella legge o nel contratto, sono escluse dal campo di applicazione della norma in esame, dal momento che costituiscono proposte di modifica del contratto che, in quanto tali, «non assumono rilevanza fino a quando non siano accettate dalla controparte» (cfr. anche Sentenza della Cassazione n.13582 del 2 novembre 2001).
In particolare, nella risposta all`interrogazione è stato precisato che, tra le disposizioni di legge che legittimano l`inclusione delle maggiorazioni di prezzo tra le rimanenze di opere, forniture e servizi di durata ultrannuale (sottoposte a tassazione nella misura non inferiore al 50%), rientrano, a titolo esemplificativo:
– gli artt.1664 e 1467 del codice civile[4], che disciplinano le modifiche alle condizioni originarie del contratto, nel caso in cui l`esecuzione del medesimo risulti eccessivamente onerosa, ovvero si verifichino circostanze imprevedibili (cfr. anche Sentenza della Cassazione n.4607 del 22 febbraio 2008);
– l`art.132 del D.Lgs. n.163/2006[5], che disciplina le varianti in corso d`opera nei lavori pubblici.
Richiamando sia la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che il citato intervento del Ministero dell`Economia e delle Finanze, la CTP di Genova, nella recente Sentenza n.243/5/10, conferma il principio di irrilevanza reddituale delle “riserve“ che rappresentano mere richieste “incerte“ nella loro esistenza e “non determinabili“ in modo obiettivo, fintantochè queste non trovino formale accettazione da parte del committente.
A tal fine, il Giudice di merito opera una fondamentale e condivisibile distinzione tra:
– “riserva – reddito“, che deriva da norme di legge, o da specifiche clausole contrattuali, e che, al verificarsi dell`evento cui è connessa, determina comunque la nascita di un diritto ad un maggior compenso, seppure ancora da quantificare. In tal caso, l`iscrizione nella contabilità di cantiere è una condizione necessaria all`appaltatore per poter esercitare il diritto (già riconosciuto) all`incasso del maggior corrispettivo.
Tale tipologia di riserva, trovando fondamento in un diritto dell`appaltatore, assume rilevanza reddituale, partecipando alla determinazione del valore delle rimanenze in misura non inferiore al 50%, ai sensi del citato art.93, comma 2, del TUIR – D.P.R. 917/1986;
– “riserva – procedimento“, la cui iscrizione nella contabilità di cantiere è una condizione necessaria all`appaltatore per poter avanzare una richiesta di maggiorazione di prezzo, e con la quale viene generalmente attivato un procedimento amministrativo di tipo para-contenzioso, il cui esito potrà determinare l`effettiva spettanza e la quantificazione della pretesa.
Pertanto, tale tipologia di riserva, non trovando fondamento in un diritto dell`appaltatore, non assume alcuna rilevanza reddituale, sino alla formale accettazione da parte dell`appaltante.
Per quanto riguarda i lavori pubblici, superando quanto affermato nella suddetta interrogazione parlamentare, la CTP di Genova, con un orientamento innovativo, include in quest`ultima categoria (“riserva – procedimento””) anche le varianti richieste in applicazione dell`art.132 del D.Lgs. 163/2006 e dell`art.1664 del Codice Civile.
In entrambi i casi, infatti, la norma individua le ipotesi in cui l`appaltatore ha solo la possibilità di richiedere varianti in corso d`opera, senza che a ciò corrisponda un automatico diritto dell`appaltatore a vedersi accettate le riserve da parte della stazione appaltante e, con esse, il maggior corrispettivo richiesto. Anche in tal caso, quindi, si tratta di richieste unilaterali che, di fatto, diventano varianti al contratto originario solo a seguito dell`accettazione da parte della committente e che, pertanto, solo da tale momento assumono rilevanza reddituale e fiscale.
In sostanza, in base a tale ricostruzione, l`art.93, comma 2 del TUIR (tassazione per un importo almeno pari al 50%) sembrerebbe, ad avviso dell`ANCE, trovare applicazione, oltrechè per le maggiorazioni di prezzo ammesse contrattualmente, soltanto nelle seguenti ipotesi normative, nelle quali viene attribuito all`appaltatore il diritto ad ottenere un maggior corrispettivo:
– riserve avanzate in caso di difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell`appaltatore, e che, ai sensi dell`art.1664, comma 2, del Codice Civile, attribuiscono a quest`ultimo il diritto ad un equo compenso;
– varianti in corso d`opera richieste dalla stazione appaltante.
Pur trattandosi di una pronuncia di primo grado, la Sentenza in esame giunge a rilevanti e condivisibili conclusioni, che si auspica trovino conferma ufficiale in un pronunciamento amministrativo che dirima in via definitiva la questione, ponendo fine al numeroso contenzioso sviluppatosi nel tempo sulla materia.
[1] D.P.R. 22-12-1986 n. 917 – Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi.
Art.93 – Opere, forniture e servizi di durata ultrannuale
(omissis)
2. La valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi pattuiti. Delle maggiorazioni di prezzo richieste in applicazione di disposizioni di legge o di clausole contrattuali si tiene conto, finchè non siano state definitivamente stabilite, in misura non inferiore al 50 per cento. Per la parte di opere, forniture e servizi coperta da stati di avanzamento la valutazione è fatta in base ai corrispettivi liquidati.
(omissis)
Art. 1664 – Onerosità o difficoltà dell`esecuzione
Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d`opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l`appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo.
Se nel corso dell`opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell`appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso.
Art. 1467 – Contratto con prestazioni corrispettive
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall`articolo 1458.
La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell`alea normale del contratto.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
[5] D.Lgs. 12-4-2006 n.163 – Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.
(omissis)
132. Varianti in corso d`opera.
1. Le varianti in corso d`opera possono essere ammesse, sentito il progettista e il direttore dei lavori, esclusivamente qualora ricorra uno dei seguenti motivi:
a) per esigenze derivanti da sopravvenute disposizioni legislative e regolamentari;
b) per cause impreviste e imprevedibili accertate nei modi stabiliti dal regolamento, o per l`intervenuta possibilità di utilizzare materiali, componenti e tecnologie non esistenti al momento della progettazione che possono determinare, senza aumento di costo, significativi miglioramenti nella qualità dell`opera o di sue parti e sempre che non alterino l`impostazione progettuale;
c) per la presenza di eventi inerenti alla natura e alla specificità dei beni sui quali si interviene verificatisi in corso d`opera, o di rinvenimenti imprevisti o non prevedibili nella fase progettuale;
d) nei casi previsti dall`articolo 1664, comma 2, del codice civile;
e) per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo che pregiudicano, in tutto o in parte, la realizzazione dell`opera ovvero la sua utilizzazione; in tal caso il responsabile del procedimento ne dà immediatamente comunicazione all`Osservatorio e al progettista.
2. I titolari di incarichi di progettazione sono responsabili per i danni subiti dalle stazioni appaltanti in conseguenza di errori o di omissioni della progettazione di cui al comma 1, lettera e). Nel caso di appalti avente ad oggetto la progettazione esecutiva e l`esecuzione di lavori, l`appaltatore risponde dei ritardi e degli oneri conseguenti alla necessità di introdurre varianti in corso d`opera a causa di carenze del progetto esecutivo.
3. Non sono considerati varianti ai sensi del comma 1 gli interventi disposti dal direttore dei lavori per risolvere aspetti di dettaglio, che siano contenuti entro un importo non superiore al 10 per cento per i lavori di recupero, ristrutturazione, manutenzione e restauro e al 5 per cento per tutti gli altri lavori delle categorie di lavoro dell`appalto e che non comportino un aumento dell`importo del contratto stipulato per la realizzazione dell`opera. Sono inoltre ammesse, nell`esclusivo interesse dell`amministrazione, le varianti, in aumento o in diminuzione, finalizzate al miglioramento dell`opera e alla sua funzionalità, semprechè non comportino modifiche sostanziali e siano motivate da obiettive esigenze derivanti da circostanze sopravvenute e imprevedibili al momento della stipula del contratto. L`importo in aumento relativo a tali varianti non può superare il 5 per cento dell`importo originario del contratto e deve trovare copertura nella somma stanziata per l`esecuzione dell`opera.
4. Ove le varianti di cui al comma 1, lettera e), eccedano il quinto dell`importo originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e indice una nuova gara alla quale è invitato l`aggiudicatario iniziale.
5. La risoluzione del contratto, ai sensi del presente articolo, dà luogo al pagamento dei lavori eseguiti, dei materiali utili e del 10 per cento dei lavori non eseguiti, fino a quattro quinti dell`importo del contratto.
6. Ai fini del presente articolo si considerano errore o omissione di progettazione l`inadeguata valutazione dello stato di fatto, la mancata od erronea identificazione della normativa tecnica vincolante per la progettazione, il mancato rispetto dei requisiti funzionali ed economici prestabiliti e risultanti da prova scritta, la violazione delle norme di diligenza nella predisposizione degli elaborati progettuali (omissis).
4393-Sentenza n. 243-5-10 del 9 dicembre 2010.pdfApri