La crisi
Siamo logorati da anni di crisi, durante i quali si sono persi, compreso l’indotto, 500mila posti di lavoro.
La perdita produttiva tra il 2008 e il 2012 ha ormai raggiunto il -26% in termini reali – ovvero 43 miliardi di euro in meno – e ha riportato i livelli di produzione a metà degli anni ’70.
Hanno chiuso 40mila imprese dalla fine del 2009, e moltissime sono sull’orlo della chiusura, molte di queste sull’orlo del fallimento.
Le politiche economiche introdotte negli ultimi anni hanno sicuramente peggiorato la situazione e depresso l’edilizia in maniera eccezionalmente grave.
I nodi da sciogliere:
Carico fiscale insostenibile
Il carico fiscale è diventato davvero insostenibile, siamo al 45% del PIL , che raggiunge, in termini reali, il 54,5%.
Solo sugli immobili, il fisco pesa ormai per 55 miliardi di euro l’anno, anche a causa della nuova patrimoniale sulla casa introdotta con l’IMU, balzello che è valso all’Erario, solo per la prima rata, 9,5 miliardi di euro.
Quello dell’’IMU è un “cantiere aperto”, che deve necessariamente cambiare: non è giusto che le nostre imprese, uniche nel mondo industriale, paghino l’IMU sui “prodotti” che realizzano per la vendita.
Noi partecipiamo allo sforzo della comunità e quindi subiamo, come tutti del resto, il costo dell’IMU sugli immobili che utilizziamo per la nostra attività, ma non accettiamo di pagare un’imposta patrimoniale su prodotti realizzati per essere venduti.
Questo rappresenta una grave distorsione.
Ritardati pagamenti della PA
L’aspetto che dev’essere affrontato prima di ogni altro, è la soluzione dell’inaccettabile e odioso fenomeno dei ritardati pagamenti delle Amministrazioni pubbliche nei confronti delle imprese per lavori regolarmente eseguiti.
In un contesto economico in cui la liquidità è il bene più prezioso, lo Stato ha fatto la scelta di drenare risorse a suo favore continuando a ritardare i pagamenti alle imprese. Abbiamo raggiunto la cifra di 19 miliardi di euro di crediti vantati dalle nostre imprese. E’ una situazione inaccettabile!
Per questo motivo e per ribadire l’urgenza di trovare una soluzione efficace, il 15 maggio scorso, abbiamo organizzato il D.Day. Dopo questo evento, abbiamo apprezzato l’accelerazione data dal Governo con la pubblicazione dei decreti sulla certificazione dei crediti e registrato l’impegno a tenere conto delle specificità del settore.
Siamo ancora in attesa di decisioni in questo senso dopo la disponibilità dimostrata inizialmente.
Diciamo subito che non vorremmo, però, che la montagna di debito verso le imprese partorisca il topolino di un altro certificato, altra carta bollata per affermare quello che già sappiamo: abbiamo diritto ad essere pagati. Per il settore delle costruzioni, infatti, esiste già la certificazione nel momento in cui il Direttore lavori attesta lo stato di avanzamento dei lavori, e il RUP emette il certificato di pagamento.
Il decreto sviluppo
Un importante segnale ci viene dal recente Decreto Sviluppo, che mette l’edilizia al centro delle proposte. Sul tema fiscale, ad esempio, è stata inserita una misura importantissima, da tempo auspicata dall’Ance, quella del “ritorno” dell’IVA per le cessioni di abitazioni, effettuate dopo 5 anni dall’ultimazione dei lavori, e per le locazioni di abitazioni delle imprese edili.
Nel Decreto Sviluppo c’è, poi, il Piano Città.
Si tratta di un grande risultato. Ma per essere efficace bisogna passare rapidamente alla definizione dei necessari provvedimenti attuativi, in modo che dalle dichiarazioni di intenti si possa iniziare a ragionare in termini di proposte progettuali, e subito a seguire di proposte operative.
Proposte che non potranno prescindere da due questioni:
- l’intervento sul patrimonio edilizio scolastico attraverso interventi di nuova edificazione, sostituzione e razionalizzazione dei vari poli scolastici e poi ancora manutenzione, messa in sicurezza ecc. degli immobili esistenti;
- la riattivazione di un’offerta di abitazioni, prevalentemente in locazione, a favore di coloro che non sono in grado di accedere al libero mercato.
Sempre nell’ottica del Piano per le città, inoltre, acquista grande importanza il “raddoppio” per un anno della detrazione IRPEF per le ristrutturazioni di abitazioni, che agirà da vero e proprio volano dell’intero comparto edilizio.
Ma per una completa riuscita di questo Piano occorre prevedere uno strumento fiscale, in grado di convogliare maggiori risorse private in tali operazioni, coinvolgendo la più ampia platea possibile di operatori economici.
Per far questo, lo sforzo deve tendere ad una generalizzata attenuazione dell’incidenza del “fisco” sin dallo start-up dell’iniziativa immobiliare, azzerando il “costo fiscale” d’acquisto degli immobili destinati a nuovi progetti.
Per tornare a crescere: il ruolo delle banche
Condizione importante per superare la crisi vede necessariamente il coinvolgimento delle banche. I mutui concessi dalle banche, nei primi mesi di quest’anno, sono diminuiti del 50% benché nell’edilizia la bolla immobiliare non esista.
In Italia c’è un rapporto domanda-offerta in cui le nuove famiglie che si formano – 328mila l’anno – sono notevolmente di più delle case che annualmente si realizzano. Negli ultimi anni si sono realizzate 1,7 milioni di alloggi a fronte di una richiesta potenziale di 2,2 milioni.
Non solo le famiglie aumentano di numero, ma cambiano nella loro composizione.
Ci sono i single, gli anziani, nuclei più piccoli, c’è una richiesta che impedirebbe la formazione di una bolla immobiliare se ci fossero le risorse per continuare ad accedere al bene casa.
Ma le banche non si sono più fidate, rinunciando perfino ad accrescere il proprio fatturato.
Bisogna uscire da questo circolo vizioso.
Una soluzione potrebbe essere quella che si basa su un fondo di garanzia dello Stato, che garantisca l’erogazione dei mutui alle famiglie.
Una proposta che nasce dall’idea di ridurre i rischi di credito legati all’instabilità dei redditi da lavoro estendendo, nell’ambito degli stanziamenti esistenti, le attuali provvidenze previste per le diverse fattispecie di disoccupazione, comprendendo la concessione di garanzie sui mutui prima casa nel caso di perdita del posto di lavoro e di mancato rinnovo di lavoro precario.
In breve passare dalla Cassa integrazione alla “casa integrazione”.
Le risorse del Cipe
La scarsità delle risorse pubbliche statali destinate a nuove infrastrutture, ridotte del 44% dal 2008, rende prioritario il rapido impiego dei fondi disponibili, in particolare quelli approvati dal CIPE.
Si tratta di circa 20,7 miliardi di euro per investimenti infrastrutturali da avviare nei prossimi mesi, rispetto ai quali il Governo deve garantire un effetto immediato sull’economia reale.
Vogliamo però sapere quante sono le risorse vere, la cassa disponibile quest’anno, e quando e a quali progetti saranno destinati questi fondi. I cantieri che rivestono carattere di urgenza e sono di maggiore utilità per il Paese vanno lanciati immediatamente.
Noi riteniamo che il volano fondamentale per la ripresa possa essere dato dalle opere medio-piccole, a cominciare da quelle per la messa in sicurezza delle scuole e la riduzione del rischio idrogeologico i cui programmi sono pronti da più di 3 anni.
Apertura del mercato
In questo contesto, e sempre al fine di incrementare le risorse destinabili alle infrastrutture, voglio riaffermare un principio: l’economia funziona, se c’è concorrenza. Ciò detto, bisogna liberalizzare i mercati, e rompere quelli ancora protetti.
Ad esempio, appare ancora troppo diffuso il fenomeno dei lavori in-house. Ora, in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo, qualsiasi forma di protezionismo non può continuare ad esistere.
Quanto ai concessionari, è incomprensibile il perché si insista nel rifiuto di mettere in gara le opere a valle delle concessioni.
Un Governo che si definisce europeista non ignora le regole che vengono dall’Europa sulla concorrenza: in questo senso, abbiamo apprezzato che il recente “Dl Sviluppo” abbia elevato dal 50% al 60% la quota di lavori che i concessionari autostradali devono affidare tramite gara, benché dal 2015.
Ma non basta.
Riteniamo che tale elevazione non sia sufficiente ad aprire un mercato che finora è stato eccessivamente protetto, tanto più che le concessioni sono state acquisite, nella quasi totalità dei casi, senza gara.
E allora, con buon senso, si dica che, a partire dal 2013, il 100% dei lavori che devono realizzare le concessionarie sia messo in gara, favorendo la partecipazione di tutto il tessuto imprenditoriale.
Bisogna, inoltre, ritornare ai tagli fisiologici degli appalti, evitando accorpamenti artificiosi e fenomeni di gigantismo, così come vuole anche il legislatore comunitario.
regole chiare E’ necessario dotarsi di un sistema di norme chiare ed efficaci, che consentano di realizzare opere di qualità in tempi e costi adeguati. In questo contesto, auspichiamo che alcuni “nodi” normativi, alcune irrazionalità legislative, possano finalmente trovare soluzione nel senso voluto dall’ANCE.
Naturalmente, il riferimento va anzitutto alla norma “taglia-riserve”, ossia al divieto di iscrivere riserve per un ammontare complessivo superiore al 20% dell’importo contrattuale, ed all’impossibilità di iscriverle per difetti della progettazione.
Impedire le riserve è una misura del tutto iniqua. Un principio di civiltà, oltreché costituzionale, è “CHI SBAGLIA, PAGA!”. Diversamente, si rompe il rapporto corretto tra amministrazione e impresa, si rompono i criteri di reciprocità.
Trasparenza
C’è infine di maggiore trasparenza.
Su questo argomento, abbiamo proposto misure che intervengono principalmente sui metodi di gara.
In particolare, in tema di esclusione automatica delle offerte anomale, appare opportuno accompagnare la previsione con un correttivo che possa evitare il rischio di collusioni o turbative d’asta, introducendo elementi di casualità.
Quanto all’offerta economicamente più vantaggiosa, in chiave di maggiore trasparenza, abbiamo proposto di introdurre il principio secondo cui i componenti della commissione giudicatrice, con esclusione del Presidente, vengano scelti, per i lavori al di sopra di un certo importo (1 milione di euro), con pubblico sorteggio nell’ambito di rose di esperti, indicati, secondo principio di rotazione, dagli ordini professionali e dalle facoltà universitarie.
Legalità
Sul tema del contrasto alla criminalità, abbiamo proseguito, insieme a Confindustria, la promozione dei principi etici e della legalità, in un percorso che vede già le imprese del settore sottoposte ad un articolato sistema di presidi particolarmente efficaci contro l’illegalità.
Chiediamo, però, al Governo e al legislatore uno sforzo ulteriore.
Occorre prevedere un sistema di controlli stringenti sulle attività che subiscono, più di altre, le infiltrazioni della criminalità.
Si tratta di rendere obbligatorie e operative le white list di imprese fornitrici operanti nei settori a più alto rischio, in modo da garantire la correttezza delle moltissime imprese in regola operanti in quei settori, già individuati dalla normativa e creare un sistema efficace per dissuadere le organizzazioni criminali nell’operare in tali attività.
Qualità
La domanda proveniente dal comparto dei lavori privati si sta progressivamente indirizzando verso la componente qualità anche per effetto non solo delle richieste della committenza, ma anche per effetto di altri fattori. Mi riferisco in particolare alla questione delle polizze assicurative, di varia natura, a garanzia dell’esecuzione dei lavori ed al conseguente intervento di enti di controllo e certificazione.
Ebbene in quest’ottica di garanzia l’aspetto legato alla natura del soggetto esecutore delle opere assume un’importanza centrale.
Infatti l’iniziativa del disegno di legge per regolamentare l’accesso alla professione di costruttore, va integrata con la qualificazione delle imprese che, al di là dei tecnicismi, dovrà tenere conto della presenza di un’effettiva e certificata organizzazione aziendale proporzionata alla complessità e del valore delle opere da eseguire e quindi di un soggetto con capacità organizzativa ed imprenditoriale.
Lavoro
In merito alla riforma del mercato del lavoro varata lo scorso mese di giugno, ci saremmo aspettati più coraggio sul tema del costo del lavoro che in Italia, per non parlare del nostro settore, ha raggiunto livelli intollerabili.
Come si fa ad essere competitivi come imprese o far ripartire i consumi quando ai nostri operai, a fronte di un costo complessivo per l’impresa di 3.000 euro, tra oneri contributivi e fiscali, diretti e indiretti, in tasca vanno solo 1.000 euro?
Burocrazia
Uno studio comparato Ance Reag sulle principali normative edilizie di Francia, Germania e Inghilterra ha evidenziato che i tempi normativi di ottenimento del titolo edilizio non sono significativamente diversi.
Se i tempi di legge sono simili, non lo sono i tempi reali.
La situazione italiana appare complicata a livello territoriale, in conseguenza delle diverse interpretazioni delle norme che rendono di fatto l’iter procedurale complesso, con un allungamento dei tempi delle decisioni delle Amministrazioni. Appare, quindi, prioritario considerare il fattore tempo. Un tempo giusto per attivare e portare a termine il percorso progettuale e decisionale, un tempo rapido per la realizzazione, per essere in grado di dare risposte alle dinamiche di cambiamento della società e della città.