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L'ANCE sollecita l'AdE affinché fornisca in tempi brevi nuove precisazioni in tema di "reverse charge", di cui all'art.17, co.6 lett. a-ter DPR 633/72. Le principali criticità riguardano l'applicazione del "reverse" in caso di "manutenzione straordinaria" ed interventi eseguiti non solo sull'edificio

Archivio, Fiscalità e incentivi

Estensione del “reverse charge” – Criticità applicative e azioni ANCE

30 Aprile 2015
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L’ANCE interviene nuovamente presso l’Agenzia delle Entrate per evidenziare e dare soluzione alle maggiori difficoltà riscontrate dalle imprese in sede di applicazione del “reverse charge” alle nuove fattispecie di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento degli edifici.
Anche a seguito dell’emanazione dei primi chiarimenti ministeriali contenuti nella CM 14/E/2015, infatti, sono emerse innumerevoli criticità, sollevate dall’intero sistema associativo, relative in particolare all’operatività del meccanismo in presenza di:
·       contratto unico avente ad oggetto un intervento di “manutenzione straordinaria”,
·       intervento edilizio eseguito contestualmente sia sull’edificio che su aree esterne ad esso.
Su tali questioni, l’ANCE ha chiesto un nuovo pronunciamento dell’Agenzia delle Entrate, fornendo altresì il proprio indirizzo interpretativo finalizzato alla massima semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese e, a tal fine, è stato già avviato un tavolo di confronto con l’Amministrazione.
Ciò si è reso necessario in virtù del fatto che, per le imprese, l’estensione del “reverse charge” si sta traducendo in un notevole incremento degli oneri di gestione della commessa, nonché del rischio di commettere frequenti errori, comunque sanzionati dall’ordinamento tributario anche se privi di qualsivoglia intento di evasione fiscale.
1. Contratto unico di “manutenzione straordinaria”
Nell’individuare le prestazioni alle quali occorre applicare il “reverse charge”, l’Agenzia delle Entrate, nella CM 14/E del 27 marzo 2015[1], ha chiarito che, in caso di contratto unico d’appalto, avente ad oggetto la costruzione di un fabbricato o la realizzazione sullo stesso di interventi di cui all’art.3, co.1 lett. c) e d) del D.P.R. 380/2001, non si dovrà procedere alla fatturazione “scomposta” dell’operazione, distinguendo le singole prestazioni soggette al “reverse charge”, da quelle da assoggettare a fatturazione ordinaria.
Diversamente, per tutte le altre tipologie di intervento edilizio, quali, ad esempio, la “manutenzione ordinaria” e la “manutenzione straordinaria” (di cui, rispettivamente, all’art.3, co.1, lett. a-b del DPR 380/2001), si dovrà procedere alla scomposizione delle operazioni, individuando le singole prestazioni assoggettabili al regime del “reverse charge”, anche nel caso in cui tali interventi siano oggetto di un unico contratto d’appalto.
Limitatamente agli interventi di costruzione e di recupero incisivo, l’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate si pone in linea con la tesi sostenuta dall’ANCE[2], in base alla quale, in caso di contratto unico, le singole prestazioni devono intendersi come parte integrante di un’operazione complessa ed unitaria, per cui il meccanismo di “inversione contabile”, attesa la difficoltà operativa di procedere alla scomposizione del contratto, deve operare solo per le prestazioni edili affidate a terzi in subappalto.
Tuttavia, il medesimo indirizzo non appare condivisibile laddove ne circoscrive l’operatività ai soli interventi di costruzione e di recupero incisivo e non anche ad altre categorie di lavori che, seppur diverse dalla ristrutturazione o dal restauro e risanamento conservativo, consistono in prestazioni complesse, da considerarsi necessariamente unitarie.
Si tratta, in particolare, degli interventi qualificabili come “manutenzione straordinaria” che, soprattutto alla luce delle modifiche apportate dal DL 133/2014 (cd. “decreto sblocca Italia”, convertito con modificazioni nella legge 164/2014), si caratterizzano, sempre più, dall’essere un complesso unitario di prestazioni inscindibili e, quindi, non considerabili separatamente.
L’art.17 del citato DL 133/2014, infatti, ha integrato la categoria edilizia della “manutenzione straordinaria” (di cui all’art.3, co.1, lett.b, del DPR 380/2001), includendo nell’ambito della stessa anche gli interventi di frazionamento e accorpamento delle unità immobiliari che, precedentemente, erano invece riconducibili ai più incisivi interventi di “ristrutturazione edilizia” (ai sensi del co.1, lett.c, del medesimo art.3 del DPR 380/2001)[3], in quanto implicanti un aumento delle unità immobiliari, modifiche del volume e delle superfici delle singole unità immobiliari[4].
E’ quindi evidente che, in base a tale evoluzione normativa, la categoria della manutenzione straordinaria include attualmente interventi edilizi complessi che, nella generalità dei casi, comprendono sia prestazioni potenzialmente assoggettabili a “reverse charge” sia operazioni che, in base alla nuova lett.a-ter del co.6 dell’art.17 del DPR 633/1972, devono intendersi escluse dal meccanismo in questione.
Tale circostanza sta suscitando innumerevoli criticità applicative, aggravando gli operatori economici che, a seguito dei chiarimenti forniti nella citata CM 14/E/2015, sono chiamati oggi a scomporre il contratto d’appalto, per applicare differenti regimi di fatturazione (ordinaria, piuttosto che in “reverse charge”) a singole prestazioni, in realtà facenti parte, nella loro totalità, di un unico ed inscindibile intervento edilizio, a sua volta oggetto di un unico contratto d’appalto.
Per questo l’ANCE ha chiesto un nuovo intervento dell’Agenzia delle Entrate che, per ragioni di equità, ammetta, anche in presenza di un contratto unico avente ad oggetto lavori di “manutenzione straordinaria”, l’adozione della stessa linea interpretativa fornita per gli altri interventi incisivi di recupero, consentendo l’applicazione dell’IVA secondo le modalità ordinarie sull’intera operazione (ferma restando, naturalmente, l’operatività del meccanismo di “inversione contabile” per le prestazioni edili eventualmente affidate in subappalto a terzi, ai sensi dell’art.17, co.6, lett.a, del DPR 633/1972).
2. Concetto di “edificio”
Al fine di delineare l’ambito applicativo del “reverse charge”, la CM 14/E/2015 ha fornito la definizione di “edificio”, al quale la lett. a-ter dell’art.17, co.6, fa testuale riferimento.
Ed, in particolare, tenuto conto che ai fini fiscali non esiste un concetto comune di “edificio”, l’Agenzia delle Entrate richiama l’art.2 del D.Lgs. 192/2005 che definisce l’edificio come “un sistema costituito dalle strutture edilizie esterne che delimitano uno spazio di volume definito, dalle strutture interne che ripartiscono detto volume e da tutti gli impianti e dispositivi tecnologici che si trovano stabilmente al suo interno; la superficie esterna che delimita un edificio può confinare con tutti o alcuni di questi elementi: l’ambiente esterno, il terreno, altri edifici; il termine può riferirsi a un intero edificio ovvero a parti di edificio progettate o ristrutturate per essere utilizzate come unità immobiliari a sé stanti”.
In sostanza, le nuove prestazioni soggette a “reverse charge” riguardano:
•   fabbricati a qualsiasi uso destinati (residenziali e non),
•   parti di fabbricato (es. singolo locale di edificio),
•   fabbricati di nuova costruzione o già esistenti,
•   fabbricati in corso di costruzione (catastalmente classificati nella categoria F3),
•   “unità in corso di definizione” (catastalmente classificati nella categoria F4).
Sono, invece, escluse le prestazioni relative a:
•   beni immobili che non rientrano nella definizione di “edificio”, quali ad esempio, terreni, parti del suolo, parcheggi, piscine, giardini, etc., salvo che questi non costituiscano un elemento integrante dell’edificio stesso (es., piscine collocate sui terrazzi, giardini pensili, impianti fotovoltaici collocati sui tetti, etc.),
•   beni mobili di ogni tipo.
In base a tali precisazioni, sembra chiara la scelta dell’Amministrazione finanziaria di privilegiare il concetto di edificio “fisico”, escludendo da questo tutte le parti esterne, anche se ad esso collegate.
Tale orientamento genera diverse criticità applicative per tutti quegli interventi che, concretamente, interessano sia le porzioni interne all’edificio strettamente inteso, sia le componenti esterne allo stesso.
In tal senso, si fa prevalentemente riferimento all’installazione di impianti che, generalmente, hanno delle componenti anche esterne all’edificio “fisico”, come nell’ipotesi, ad esempio, del collegamento dell’impianto idrico dell’unità immobiliare alla fognatura pubblica, ovvero del collegamento dell’impianto elettrico dell’edificio alla citofonia o ai cancelli elettrici esterni.
In tutti questi casi, la prestazione riguarda non solo l’edificio strettamente inteso, ma anche aree o strutture esterne ma collegate allo stesso, cosicché, alla luce dei chiarimenti forniti dalla citata CM 14/E/2015, sembrerebbe necessario scorporare la prestazione in funzione della sua inerenza all’edificio “fisico” per assoggettarla al “reverse charge”.
Anche in questa ipotesi, quindi, si ripropongono le stesse difficoltà evidenziate con riferimento ai contratti unici aventi ad oggetto prestazioni complesse, che non solo gravano sugli operatori economici sotto il profilo amministrativo, ma aumentano il rischio d’errore, sanzionato anche in assenza di danno erariale.
L’ANCE ha pertanto sollevato anche tale criticità all’Agenzia delle Entrate, per addivenire ad una soluzione condivisa diretta ad evitare la necessità di “scomporre” contabilmente la prestazione, consentendo l’applicazione di un unico regime IVA all’intera operazione (adottando, ad esempio, un criterio di “prevalenza economica” della prestazione eseguita sull’edificio “fisico” per applicare unitariamente il meccanismo del “reverse charge”).

 


[1] Cfr. ANCE “Estensione del reverse charge – C.M. 14/E/2015” – ID n. 19936 del 30 marzo 2015.
[2]Cfr. ANCE “Estensione del reverse charge – Primi orientamenti ANCE”– ID n.19094 del 27 gennaio 2015.
[3] Cfr. ANCE “DL 133/2014 (L. 164/2014) – Art.17 Frazionamento e accorpamento delle unità immobiliari – Riflessi IVA” – ID N.18309 del 14 novembre 2014.
[4] Tale intervento normativo, dettato da esigenze di semplificazione dell’iter autorizzativo degli interventi e di uniformità dello stesso su tutto il territorio nazionale, ha determinato una modifica nella stessa definizione normativa degli interventi contenuta nel DPR 380/2001, che, al citato art.3, co.1, lett.b, qualifica attualmente la “manutenzione straordinaria”, come «le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino modifiche delle destinazioni d’ uso. Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione di uso».
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