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Per la Cassazione l’altezza va calcolata facendo riferimento al piano di posa dell’edificio e non al netto dell’altezza del marciapiede

Archivio, Edilizia e territorio

Come si calcola l’altezza di un edificio?

29 Marzo 2016
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L’altezza di un edificio si calcola dalla quota del piano di campagna grezzo o a partire dalla quota della superficie del marciapiede anche se non ancora costruito?
 
La Corte di Cassazione, sezione penale III, con la sentenza n. 9133 del 2016, ha confermato l’orientamento di cui si era già fatta portatrice con la sentenza dell’8 febbraio 1983  n. 1272, affermando il principio secondo cui “in tema di costruzione di un fabbricato ai fini del rispetto del limite di altezza il relativo calcolo va operato facendo riferimento al piano di posa dell’edificio che, dovendo essere perfettamente orizzontale, deve, se il piano naturale di campagna sia inclinato e presenti livelli diversi, essere determinato calcolando la media delle misure dei vari punti del perimetro esterno della costruzione”
 
Solo con questo criterio, ha osservato la Corte, è assicurato, sotto il profilo del decoro dell’edilizia urbana, il rispetto di un criterio uniforme di calcolo in modo da evitare difformità che sarebbero legate a scelte relative all’altezza di elementi accessori dell’edificio come potrebbe essere il marciapiede. Ciò a maggior ragione, come nel caso di specie, dove il marciapiede non era stato ancora realizzato e, pertanto, la sua maggiore o minore altezza rispetto al piano sottostante potrebbe incidere su pregresse scelte costruttive rendendo lecito, attraverso una sapiente modulazione dei livelli costruttivi di esso, ciò che originariamente non sarebbe stato possibile realizzare.
 
Si ricorda che il problema relativo alla misurazione delle altezze fa parte di tutte quelle problematiche relative al rispetto delle distanze tra le costruzioni.
Le regole generali su questa materia sono contenute negli articoli 873 e ss del codice civile e nel Decreto Ministeriale 1444/68 e sono dirette a tutelare sia interessi privatistici (diritto di veduta etc) sia pubblicistici (igiene, salubrità etc). Ad integrazione di quanto previsto nel codice civile vi sono, poi, le norme dei regolamenti edilizi comunali o dei piani regolatori che possono dettare disposizioni più restrittive.
Nella gerarchia delle fonti le norme codicistiche e quelle integrative previste nel DM 1444/68 mantengono una posizione primaria rispetto ai regolamenti comunali o ai piani regolatori e, pertanto, quest’ultimi possono prevedere solo distanze maggiori.
 
Il quadro normativo come delineato pone spesso difficoltà interpretative alimentate soprattutto dalle differenti e contrastanti pronunce giurisprudenziali che si ripercuotono direttamente sull’esercizio dell’attività edilizia.
 
 
In allegato la sentenza della Cassazione penale n. 9133/2016

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