Forniti chiarimenti dall’Inl, in merito alle modifiche apportate dal decreto rilancio al decreto “cura italia”
Fornite, dall’INL con l’allegata circolare n. 160 del 3 giugno scorso, indicazioni in merito alle modifiche apportate dal D.L. n. 34/2020, c.d. Decreto Rilancio, al D.L. n. 18/2020 c.d. Decreto “cura Italia”, convertito dalla L. n. 27/2020.
Si riportano di seguito i chiarimenti forniti dall’Istituto sulle misure di interesse:
In merito alla sospensione delle misure di condizionalità imposte ai percettori del reddito di cittadinanza, di Naspi e DisCOLL ed ai beneficiari di misure di integrazione al reddito, la L. n. 27/2020, in sede di conversione del D.L. n. 18/2020, ha introdotto il comma 1-bis, in base al quale tale sospensione “non si applica alle offerte di lavoro congrue nell’ambito del comune di appartenenza”. Inoltre, il termine di sospensione delle misure di condizionalità è esteso, ai sensi dell’art. 76 del D.L. n. 34/2020, a quattro mesi a decorrere sempre dal 17 marzo scorso.
In sede di conversione del D.L. n. 18/2020, è stato specificato che sono salve, rispetto al divieto di licenziamento, le procedure di recesso nelle “ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto”. Pertanto, tale divieto non opera nelle ipotesi e nella misura in cui il nuovo appaltatore “assorba” il personale impiegato nell’appalto. Il divieto resta, invece, in capo all’appaltatore uscente in relazione al personale non “assorbito”, per il quale sarà, quindi, possibile richiedere il trattamento di integrazione salariale laddove ne ricorrano i presupposti.
L’art. 80 del D.L. n. 34/2020 ha inoltre previsto, in merito alle procedure di licenziamento, che non potranno essere avviate le procedure di licenziamento collettivo a decorrere dal 17 marzo 2020 (data di entrata in vigore del D.L. n. 18/2020) e per i cinque mesi successivi e che quelle pendenti, avviate dopo il 23 febbraio, sono sospese per il medesimo periodo. Il nuovo termine di cinque mesi a partire dal 17 marzo trova altresì applicazione al divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966. E’ stata, inoltre, introdotta la previsione relativa all’estensione della sospensione anche alle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso, cioè quelle non ancora definite alla data di entrata in vigore del decreto legge.
L’Ispettorato ha, inoltre, chiarito, rispetto a quanto già comunicato con le note precedenti, che, per effetto delle modifiche introdotte dal decreto, fino al termine di cinque mesi (17 agosto p.v.), non potranno essere avviate le procedure di cui all’art. 7 della L. n. 604/1966, né potranno essere trattate quelle pendenti.
E’ stato, infine, comunicato che il comma 1-bis ha previsto, nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia esercitato il recesso nel periodo compreso fra il 23 febbraio e il 17 marzo, che lo stesso possa revocarlo purché “contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale in deroga, di cui all’articolo 22, dalla data in cui abbia avuto efficacia il licenziamento” ed “in tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro”.
Con riferimento alla previsione di cui all’art. 127 del D.L. n. 34/2020, la quale prevede che i versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi di assicurazione obbligatoria, sospesi dall’art. 61 del D.L. n. 18/2020, siano effettuati entro il 16 settembre 2020 in un’unica soluzione o con il versamento della prima rata nell’ipotesi di rateizzazione, è stato precisato che tale proroga trova applicazione anche per i versamenti fiscali e contributivi sospesi dall’art. 62 dello stesso D.L. n. 18/2020.
Inoltre, in relazione alla “Sospensione dei termini di versamento dei carichi affidati all’agente della riscossione” si evidenzia che il temine inizialmente fissato al 31 maggio 2020 dall’art. 68 del D.L. n. 18/2020 viene prorogato dall’art. 154 del D.L. n. 34/2020 al 31 agosto 2020.
Al riguardo, è stato ribadito quanto già comunicato con le precedenti note in merito alla necessità, da parte degli Uffici, di procedere in ogni caso alla “formazione dei ruoli e all’affidamento degli stessi all’Agenzia delle Entrate – Riscossione privilegiando, come avviene ordinariamente, i crediti che siano prossimi alla prescrizione.
In merito alla modifica introdotta all’art. 81 del D.L. n. 34/2020, la quale ha previsto che i Durc in scadenza fra il 31 gennaio e il 15 aprile 2020 conservano validità fino al 15 giugno 2020, è stato specificato che, in tal modo, viene inserita un’eccezione rispetto alle validità generale di certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati in scadenza tra il 31 gennaio e il 31 luglio 2020 che, per effetto della modifica del comma 2 dell’art. 103 operata in sede di conversione del D.L. n. 18/2020, resta fissata in novanta giorni successivi alla dichiarazione dello stato di emergenza.
In merito alla disposizione di cui all’art. 93 del D.L. n. 34/2020, che ha introdotto la possibilità di derogare all’obbligo di indicare le condizioni di cui all’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, qualora si intenda prorogare o rinnovare fino al 30 agosto prossimo i contratti a tempo determinato in essere al 23 febbraio 2020, è stato chiarito che, ai fini della proroga o del rinnovo “acausale”, devono ricorrere le seguenti condizioni:
Resta ferma la possibilità di disporre una proroga “acausale”, anche oltre il 30 agosto, qualora la stessa, nel rispetto dell’art. 19, comma 1, del D.Lgs. n. 81/2015, non comporti il superamento del periodo di 12 mesi.
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