Si è svolta il 14 c.m. l’audizione dell’ANCE, in videoconferenza, presso la Commissione Politiche UE del Senato nell’ambito dell’esame della proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sul salario minimo adeguato nell’Unione Europea (COM(2020) 682 final).
Il Vice presidente ANCE per le Relazioni industriali e gli Affari sociali, Marco Garantola ha evidenziato in premessa che, pur apprezzando il proposito del Parlamento Europeo e del Consiglio di intervenire per una analisi del fenomeno tra gli stati membri e pur concordando sulla finalità della proposta di direttiva, volta a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori dell’Unione, occorre effettuare una valutazione complessiva dei risvolti che l’attuazione di tali previsioni potrebbe generare.
A tale riguardo, in particolare, ha rilevato che l’eventuale introduzione di un salario minimo legale dovrebbe riferirsi esclusivamente a quei settori attualmente non coperti dalla contrattazione collettiva, al fine di evitare ogni forma di dumping contrattuale.
Nello specifico, il salario minimo legale non dovrebbe essere applicato alle attività riconducibili a quei settori, come l’edilizia, nei quali il rispetto di tale principio è già ampiamente soddisfatto dalle parti sociali nazionali comparativamente più rappresentative che, con i contratti collettivi di categoria stipulati, garantiscono ai lavoratori trattamenti economici coerenti e in linea con l’andamento economico e produttivo delle imprese.
In merito alle definizioni previste dal testo ha sottolineato l’opportunità intendere con l’espressione “salario minimo”, quale unico riferimento per le attività dei settori già coperti dalla contrattazione, il trattamento complessivamente previsto dai contratti collettivi, e non la retribuzione minima che un datore di lavoro è tenuto a versare ai lavoratori per il lavoro svolto in un dato periodo, sulla base del tempo o dei risultati prodotti. Così come con riguardo al concetto di “contrattazione collettiva” sarebbe opportuno precisare che il riferimento è esclusivamente alla c.d contrattazione “leader” ossia alla contrattazione svolta dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Ha rilevato però la necessità di meglio comprendere le modalità con le quali, nel caso in cui la tutela garantita dal salario minimo sia fornita esclusivamente dai contratti collettivi, si dovrebbe procedere al monitoraggio e alla raccolta dei dati relativi alla percentuale di lavoratori coperti e al tasso di copertura della contrattazione collettiva.
Ha, altresì, evidenziato che la Direttiva lascia impregiudicata la prerogativa degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi che siano più favorevoli ai lavoratori stessi e non interferisce con la libertà degli Stati membri di fissare salari minimi legali o di promuovere l’accesso alla protezione del salario minimo prevista dalla contrattazione collettiva, sulla base delle tradizioni e delle specificità che contraddistinguono ciascun Paese e nel pieno rispetto delle competenze nazionali e della libertà contrattuale delle parti sociali.
Su tali basi, è quindi opportuno mantenere inalterata la situazione già in essere nel nostro Paese, confermando l’attuale impostazione che lascia alla contrattazione collettiva comparativamente più rappresentativa sul piano nazionale, la determinazione della retribuzione complessiva spettante ai lavoratori del settore di riferimento.
Si veda percedente del 14 dicembre 2020
In allegato il documento con il dettaglio della posizione ANCE
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