Si è svolta il 4 aprile l’audizione informale dell’ANCE presso la Commissione Affari costituzionali della Camera, sul DDL recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione (DDL 1665/C, già approvato dal Senato).
Il Direttore generale, Massimiliano Musmeci, che ha guidato la delegazione associativa, ha ricordato in premessa che durante l’iter al Senato (dove l’Ance è stata ascoltata il 25 maggio 2023) sono state apportate numerose modifiche volte a “circoscrivere” il testo, proteggendo in più fasi i principi di unità, solidarietà ed equità e ad allungare, quando possibile, i tempi dell’iter procedurale di approvazione delle Intese. Ciò al fine di garantire che il percorso dell’autonomia regionale sia più trasparente, inclusivo e coerente con i principi costituzionali e gli equilibri di finanza pubblica.
Il procedimento legislativo ad oggi delineato consente, quindi, un maggiore coinvolgimento dei diversi enti ai fini della ratifica delle Intese. Il Governo, i ministeri, la Regione richiedente, la Conferenza Stato-Regioni e il Parlamento avranno un ruolo specifico nel raggiungimento delle intese (di durata decennale) tra Stato e Regioni, le quali dovranno essere approvate, ciascuna, a maggioranza assoluta dalle Camere.
Il provvedimento, come modificato, prevede la preventiva individuazione dei Lep per quasi tutte le materie delegabili: istruzione, tutela dell’ambiente e beni culturali, tutela e sicurezza del lavoro; ricerca scientifica e tecnologica; salute; alimentazione; ordinamento sportivo; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
In linea di principio, si tratta sicuramente di un passaggio importante.
Come ANCE avevamo già avuto occasione, nella precedente audizione di evidenziare come sia la Costituzione che il Ddl in questione non specificano alcun requisito riguardante la motivazione delle richieste di autonomia o l’adesione a criteri prestabiliti. Pertanto, l’introduzione della disposizione che subordina le richieste di maggiore autonomia alla previa identificazione nei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) su determinate materie rappresenta una misura equilibrata di regolamentazione.
Al di là dei correttivi apportati durante l’esame al Senato, non può inoltre ignorarsi il fatto che le Regioni speciali (che lo sono oltretutto per scelta fatta direttamente nella Costituzione e motivata da ragioni storiche, geografiche ecc.) attualmente gestiscono, in qualche caso, persino meno materie o comunque con minor competenze. In via ipotetica la situazione che si potrebbe creare vedrebbe convivere tre “modelli” di Regione: ordinarie, speciali e differenziate cui si aggiunge in parallelo l’attuale “disordine” dei poteri delle Province, Città metropolitane e Comuni.
È innegabile che attualmente esista un divario territoriale, risultato di una combinazione di fattori storici ed economici. Di fronte a questa realtà può essere condivisibile un modello organizzativo che assegni nuovi compiti e responsabilità differenziate, tenendo conto delle specifiche potenzialità regionali, ma resta fondamentale garantire che, specialmente in alcuni settori, questa diversificazione non comprometta l’unità necessaria, soprattutto per il sistema produttivo imprenditoriale.
Prima ancora, è importante rilevare che occorre chiarire, nell’ambito della legislazione concorrente, cosa debba intendersi per “determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato”, come indicata nell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, e come detta poi profilarsi la competenza legislativa delle Regioni. Peraltro, com’è noto questa problematica fa da sfondo al gran numero di impugnative da parte dello Stato di leggi regionali. Nel tempo il progressivo delinearsi all’interno delle singole materie di orientamenti giurisprudenziali della Consulta di natura sempre più consolidata ha portato in parte al depotenziamento dei conflitti. E’ un elemento che deve far riflettere.
Le decisioni riguardanti la definizione dell’autonomia differenziata richiedono un’attenta e obiettiva valutazione dei benefici e dei rischi associati alla decentralizzazione di ogni specifica funzione, considerando anche il contesto locale.
A tal fine è stata approvata una modifica normativa che consente al Presidente del Consiglio dei ministri di limitare l’oggetto del negoziato solo ad alcune materie od ambiti di materia. Tale modifica sembrerebbe ispirata alla necessità di assicurare una istruttoria adeguata sulle materie (e eventualmente per le funzioni specifiche all’interno di ciascuna materia). Tuttavia, per evitare una eccessiva indeterminatezza, sarebbe opportuno introdurre parametri di riferimento in base ai quali verificare che l’esercizio del potere discrezionale segua canoni omogenei.
La frammentazione delle competenze se in alcuni ambiti può essere opportuna e necessaria potrebbe, per altri versi portare a inefficienze economiche significative, a difficoltà per le imprese che operano in più regioni, a causa di regole diverse.
Questo sistema di fatto consentirà a ogni Regione di fare leggi diverse su materie analoghe. In astratto potrebbero sorgere nuovi problemi di interpretazione di nuove competenze e di budget.
È però importante continuare a riconoscere le specificità economiche, sociali e normative dei diversi territori regionali. Le comunità e le regioni possono avere esigenze e condizioni differenti che richiedono un’adattabilità delle politiche e dei servizi.
Ad oggi non è possibile sapere quante Regioni formuleranno richiesta per negoziare l’intesa, né per quante materie. Di conseguenza è agevole ipotizzare che si potrebbe avere, per un tempo non definito, un quadro incerto delle competenze (legislative e amministrative), con potenziali effetti critici per il sistema imprenditoriale.
Con particolare riferimento alle materie e agli ambiti di materia nei quali devono essere individuati i LEP – ai fini dell’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – e fra esse ve ne sono alcuni di fondamentale interesse quali il governo del territorio che ricomprende l’urbanistica e l’edilizia.
Relativamente all’urbanistica, nella perdurante assenza di una riforma statale della materia oggi più urgente che mai, le Regioni hanno legiferato con norme molto più innovative e semplificate di quelle della Legge 1150/1942 ed è indispensabile che l’individuazione dei LEP tenga conto delle “best practices” regionali.
Si evidenzia che nel Rapporto finale della Commissione tecnica per l’individuazione dei LEP costituita in base alla Legge 197/2022, fra i LEP dell’urbanistica sono stati inclusi gli standard del DM 1444/1968. Ciò è da valutare con maggiore attenzione in quanto si tratta di un provvedimento che se certamente ha svolto un ruolo chiave nella gestione dell’espansione urbana del dopoguerra, oggi appare del tutto anacronistico e inadeguato rispetto alle indicazioni internazionali (Agenda 2030 ONU obiettivo 11) ed europee (consumo di suolo netto pari a zero nel 2050) circa lo sviluppo urbano.
L’impostazione “rigida” (zonizzazioni, rapporto metri quadri/abitante, limiti alle densità, altezze e distanze fra edifici, ecc.) su cui si basa il DM 1444/1968 rende difficile se non impossibile l’esecuzione di interventi di rigenerazione che, essendo inseriti in contesti urbani “consolidati” ossia totalmente edificati, non possono rispettare tali limiti (es. reperimento nuove aree per standard o rispetto distanze ampie), specialmente quando sono previsti aumenti di volumetria, magari autorizzati da leggi regionali specifiche. In attesa di una sua completa rivisitazione, che si auspica debba avvenire a breve, si dovrebbe valutare con maggiore attenzione l’adeguatezza del richiamo a disposizioni non più attuali.
Tra le ulteriori materie che possono costituire oggetto di “forme e condizioni particolari di autonomia” vi sono la “tutela e sicurezza del lavoro” (materia per cui il DDL prevede la preventiva determinazione dei LEP) e la “previdenza complementare e integrativa”.
Al riguardo, stante la genericità delle disposizioni contenute nello schema di DDL in esame, al momento non è possibile ipotizzare quelle che potrebbero essere le concrete modalità di attuazione della c.d. autonomia differenziata nei due ambiti sopra indicati. In ogni caso, sarebbe necessario garantire a imprese e lavoratori una disciplina legislativa e regolamentare, nonché procedure e prassi amministrative, uniformi su tutto il territorio nazionale.
Per i lavoratori, infatti, non sarebbero giustificabili eventuali disparità territoriali nell’effettivo godimento dei relativi diritti mentre, per le imprese, è fortemente avvertita l’esigenza di una regolamentazione e attuazione delle suddette materie che risulti omogenea sul territorio nazionale, per evitare i costi gestionali (e i rischi di inconsapevole inadempimento) derivanti dalla frammentazione territoriale di norme e procedure. Le suddette considerazioni valgono, a maggior ragione, per il settore dell’edilizia, caratterizzato da un’elevata mobilità territoriale delle imprese e dei lavoratori, non essendo il cantiere, per definizione, una sede produttiva a carattere permanente.
Del resto, anche a livello contrattuale, da almeno dieci anni a questa parte le Parti Sociali nazionali del settore si sono fatte carico, per quanto di propria competenza, di queste esigenze di omogeneità su tutto il territorio sia delle prestazioni che degli adempimenti. Sono state così introdotte e/o ricondotte al livello nazionale funzioni in precedenza demandate al livello territoriale, in ambiti ritenuti di particolare rilevanza (FNAPE – Fondo nazionale per l’Anzianità Professionale Edile, Fondo sanitario SANEDIL). Inoltre, la regolamentazione contrattuale di istituti fondamentali per garantire la regolarità dei rapporti di lavoro e la leale concorrenza fra le imprese, quali il DURC e la congruità, è stata espressamente riservata alla competenza esclusiva delle medesime Parti sociali nazionali.
Rientrano tra le materie che possono costituire oggetto di «forme e condizioni particolari di autonomia» (art. 116 co. 3 Cost.) previa determinazione dei LEP, anche la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Il diritto dell’ambiente è, per sua natura, un diritto “globale” e trasversale rispetto ai confini amministrativi, non solo di livello regionale, ma anche statale e sovrastatale. Derogare alcuni aspetti della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema alle Regioni e permettere loro di intervenire, al posto dello Stato, per determinare in modo autonomo e distinto la disciplina regolatoria ambientale nel singolo territorio con le Intese, potrebbe aumentare il rischio del mancato rispetto degli obblighi di tutela ambientale con conseguente necessità di rafforzare i poteri sostitutivi da parte delle autorità nazionali per evitare procedimenti di infrazione della normativa europea.
Per scongiurare tale pericolo, quindi, si ritiene assolutamente necessario che, nella definizione dei LEP per la tutela ambientale, si tenga conto di quanto deliberato in materia a livello europeo così da assicurare alle imprese una disciplina legislativa e regolamentare chiara e uniforme.
Per il dettaglio delle osservazioni e proposte ANCE sulle singole norme del provvedimento si veda il documento consegnato agli atti della Commissione per la pubblicazione sul sito web.
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