La disciplina del lavoro temporaneo, di cui alla legge n. 196/97 definisce il contratto di fornitura e il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo.
Con il primo (art.1), stipulato in forma scritta (comma 5) e contenente la data di inizio e il termine del contratto (lett.h), l’impresa fornitrice pone uno o più prestatori di lavoro a disposizione della impresa utilizzatrice per esigenze di carattere temporaneo.
Con il secondo (art. 3), anch’esso stipulato in forma scritta (comma 3) e contenente la data di inizio ed il termine della attività lavorativa presso l’impresa utilizzatrice (lett.g), l’impresa fornitrice assume il lavoratore o a tempo determinato – corrispondente alla durata della prestazione da svolgere presso l’utilizzatore – o a tempo indeterminato, rimanendo in questo caso a disposizione del fornitore per i periodi di mancata prestazione presso un utilizzatore.
Il regime sanzionatorio previsto dall’articolo 10, comma 2, nella formulazione originaria stabiliva – in analogia a quanto stabilito per il contratto a termine di cui alla legge n. 230/62 e al D.lgs n. 368/01 – che ove il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo non prevedesse la forma scritta o l’indicazione della data di inizio e termine dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore, lo stesso si sarebbe trasformato in un contratto a tempo indeterminato alle dipendenze del fornitore.
Tale disposizione è stata in seguito modificata dall’art. 117 della legge n. 388/00 (legge finanziaria 2001), che ha sostituito l’originaria espressione “a tempo indeterminato” con quella “a tempo determinato”. Lo scopo della modifica sarebbe stato quello di mitigare la sanzione richiamata.
La questione di costituzionalità di tale sostituzione nel testo di legge, sollevata con ordinanza dal Tribunale di Torino, è stata risolta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 58, dello scorso 6 febbraio, che ha ritenuto la illegittimità di detta norma – per altro dovuta ad una errata riformulazione nel corso dei lavori parlamentari – sia in base al principio di ragionevolezza (art. 3, comma 1, Cost.) che di quello di tutela del lavoro (art. 35, comma 1, Cost.).
Infatti, nel caso di contratto per prestazioni di lavoro temporaneo stipulato a tempo indeterminato, la mancata indicazione del termine relativo allo svolgimento dell’attività presso l’utilizzatore trasformerebbe a tempo determinato un contratto che, invece, le parti avevano voluto a tempo indeterminato.
La norma è inoltre intrinsecamente irragionevole, ad avviso della Consulta, perché non vi è alcuna indicazione per la determinazione, a seguito della avvenuta trasformazione, della durata del contratto.
Poiché la norma dichiarata incostituzionale aveva come contenuto la sostituzione, come già precisato, di alcune parole del secondo periodo del comma 2, dell’art.10, secondo la Consulta: ” il precetto di tale disposizione rimane in vigore nel testo originario fino alla sua abrogazione ad opera dell’articolo 85, comma 1, lettera f, del D.lgs n. 276/2003″.
Si ricorda che, con il regime della somministrazione di cui al D.lgs n. 276/03, permane la distinzione fra contratto di somministrazione – fra agenzia per il lavoro e utilizzatore – e di prestazione di lavoro – tra somministratore e lavoratore.
Circa il primo, l’assenza della forma scritta comporta la nullità del contratto e il lavoratore viene considerato alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 21). Per quanto riguarda il secondo, il decreto n. 276 stabilisce che i rapporti di lavoro fra somministratore e lavoratore siano assoggettati alla disciplina codicistica generale e delle leggi speciali (art.22), fra le quali si rinvia al citato D.lgs. n. 368/01; pertanto, la mancanza di forma scritta o dell’indicazione del termine producono la trasformazione del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato.
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