La nuova disciplina relativa all’affidamento dei figli in caso di separazione dei genitori contenuta nella allegata legge 8 febbraio 2006 n. 54, non ha ricadute dirette sulla normativa in materia di congedi parentali.
Ancora una volta, quindi, secondo la dottrina, si è persa l’occasione per tentare di realizzare quella connessione tra ambiti che, al contrario, sarebbe auspicabile, mantenendosi invece la barriera tra disposizioni legate al diritto privato di famiglia e quelle relative al diritto del lavoro.
Come è noto, le disposizioni che fanno riferimento alle sospensioni dal lavoro dei genitori sono contenute nel testo unico sulla maternità e paternità (decreto legislativo n. 151/01 e successive modificazioni), in cui si considera l’oggettiva condizione di maternità e paternità.
Nel testo suddetto è rinvenibile una differenza di trattamento nel caso di singoli genitori, ma non come collegamento allo stato anagrafico e alla composizione del nucleo familiare, quanto piuttosto all’atto formale del riconoscimento del figlio.
In altre parole, la condizione di “unico genitore” va intesa in senso letterale e, quindi, si realizza solo in caso di morte dell’altro genitore o di mancato riconoscimento dei figli.
In questo senso il cambiamento della disciplina sull’affidamento di cui alla legge n. 54/06 non incide sulle regole dei congedi. Non incide in senso positivo, nel caso in cui l’affidamento sia condiviso, ex art. 155 del codice civile, perché nulla muta rispetto al passato. Ma non incide neppure in senso negativo, se l’affidamento sia riconosciuto esclusivamente in capo ad uno dei due genitori, ex art. 155 – bis del codice civile, in quanto non è stata prevista alcuna conseguenza per quanto concerne le assenze dal lavoro per la cura dei figli.
Del resto, è la stessa nuova normativa in esame sull’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori a prevedere che vengano fatti salvi, per quanto possibile, i diritti del minore di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi.
E’, invece, diverso – rispetto alla disciplina generale – il caso del figlio disabile.
Si segnala, infatti, la presenza (art. 155 – quinquies, comma 2, codice civile) di un intreccio con la disciplina dei permessi, che viene effettuato, con riferimento al caso di grave disabilità del figlio, attraverso una espressa estensione ai figli maggiorenni del trattamento previsto per i minori.
Si ricorda che la disciplina finora vigente, prevede che:
– nei confronti dei figli di età compresa tra i tre ed i diciotto anni di età è previsto il diritto a tre giorni di permesso mensile, con esclusione del caso in cui il minore sia ricoverato a tempo pieno presso strutture specializzate;
– nei riguardi dei figli maggiorenni e dei parenti ed affini entro il terzo grado si applica sempre il diritto ai tre giorni di permesso mensile, al quale si aggiunge la condizione della convivenza o dell’assistenza continuativa ed esclusiva.
Pertanto, la tipologia del beneficio non muta, ma non è più richiesta, anche per i figli maggiorenni, la condizione sopra richiamata della convivenza o dell’assistenza continuativa ed esclusiva.
Tale principio stava affermandosi nell’ordinamento giuridico, a cominciare dalla introduzione del congedo straordinario di due anni per la cura del figlio in grave disabilità.
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