Il tema del lavoro a progetto è normalmente oggetto della cognizione del Giudice del lavoro.
Tuttavia viene, nel caso in commento, affrontato dal Giudice amministrativo in quanto il presunto errato utilizzo della predetta fattispecie costituisce il presupposto dell’esclusione di una cooperativa sociale da una gara avente ad oggetto l’affidamento della gestione di una opera monumentale e del relativo allestimento museale.
La commissione giudicatrice aveva deciso l’esclusione dalla procedura della cooperativa sulla base della ritenuta inidoneità del piano finanziario da questa predisposto, relativamente alla voce costo del lavoro.
In particolare, l’esclusione era stata motivata con il fatto che il concorrente non aveva rispettato l’art. 13 del disciplinare, il quale imponeva la fornitura di dieci unità di personale nei giorni e per tutto l’orario di apertura al pubblico della predetta opera.
La cooperativa individuò tale personale in otto unità di lavoratori subordinati e due unità da impiegare con contratto di prestazione professionale a progetto.
Tale piano finanziario era stato ritenuto incompatibile dalla commissione di gara con il citato art. 13, poiché al personale non inquadrato con rapporto di lavoro subordinato non sarebbe stato possibile garantire l’osservanza dell’ obbligo di orario stabilito dal richiamato disciplinare. L’esclusione della cooperativa veniva ritenuta illegittima dal tribunale amministrativo regionale secondo il quale la commissione avrebbe erroneamente ravvisato una inesistente incompatibilità tra il contratto per prestazioni professionali a progetto e la previsione di un obbligo negoziale di osservare un orario di lavoro prestabilito.
Il Consiglio di Stato conferma la decisione del TAR, sulla base delle seguenti motivazioni.
Innanzitutto, il Giudice di Appello contesta la equazione concettuale tra l’assenza del vincolo della subordinazione e la pretesa impossibilità di garantire il rispetto delle obbligazioni contrattuali connesse alla gestione. Ciò in quanto, secondo il Giudice, nella nuova fisionomia che caratterizza il lavoro a progetto, gli eventuali aspetti della continuità e del coordinamento della prestazione lavorativa non si presentano più in rapporto di estraneità rispetto al modello normativo, sebbene questo si collochi ancora all’interno dell’ampio alveo della autonomia organizzativa.
Le coordinate utili a delineare i caratteri della autonomia del collaboratore devono essere ravvisate nello svolgimento di una attività lavorativa, contrattualmente definita e funzionalizzata alla realizzazione del progetto, nella necessaria coordinazione tra il lavoratore a progetto con il committente e, da ultimo, nell’irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione.
Il Consiglio di Stato sottolinea come quest’ultimo connotato deve essere correttamente inteso, nel senso che non può essere letto come assenza di un orario di lavoro. Affermare che l’orario di lavoro è irrilevante non significa che nelle parti di un contratto a progetto sia impedito di accordarsi su una prestabilita misura temporale della prestazione, ritenuta necessaria ai fini del conseguimento dello specifico obiettivo contrattualmente fissato.
Pertanto – secondo la sentenza in commento – la eventuale predeterminazione dell’orario resta ai margini della figura negoziale e, in questo senso, appare irrilevante, nel senso che non costituisce l’elemento caratterizzante il rapporto, il cui connotato essenziale è peraltro rappresentato dallo scopo da realizzare.
Il Consiglio di Stato osserva anche che se il risultato si pone al centro del tipo normativo in esame, allora l’orario di lavoro va concepito in funzione di esso, e quindi possono verificarsi situazioni in cui la costante presenza del lavoratore sul luogo di esecuzione del contratto, per un preciso ambito temporale giornaliero rivesta invece una importanza centrale nell’economia del rapporto.
Anche in tale ipotesi non è tuttavia l’orario, eventualmente pattuito, che qualifica il rapporto. Invece, è l’obiettivo finale perseguito, la cui individuazione compete esclusivamente al committente, che assume rilevanza giuridica, a prescindere dal tempo impiegato.
Alla luce di quanto sopra, il Giudice osserva che nelle controversie in esame le due uniche unità di personale, legate alla cooperativa da vincoli di lavoro a progetto, ben potessero essere destinate allo svolgimento di una fase del complessivo programma di gestione dell’opera in argomento.
I primi commentatori non condividono le conclusioni cui giunge il Giudice Amministrativo, in quanto riducono eccessivamente il momento dell’autonoma organizzazione del lavoro quale aspetto che caratterizza il lavoro a progetto.
Se è vero, come osserva il Giudice, che l’instaurazione di forme intense di coordinamento è legittima nella misura in cui è funzionale alla produzione del risultato, tuttavia, l’ instaurazione di forme di coordinamento non può mai assumere caratteristiche tali da trasformare l’apporto del collaboratore in una mera messa a disposizione di energie lavorative.
Ciò è pacifico sia nella giurisprudenza formatasi prima dell’approvazione della legge Biagi, sia con le norme ed i principi affermati da quest’ultima, la quale si caratterizza per la finalità di accentuare il momento della autonomia come tratto caratterizzante della collaborazione a progetto.
Il committente può certamente individuare delle forme di coordinamento di tipo temporaneo, tuttavia, lo stesso non può mai esercitare il potere di organizzare sistematicamente il tempo di lavoro esclusivamente in funzione delle proprie esigenze; in tale ipotesi, infatti, la compressione dell’autonomia di quest’ultimo finisce con l’assumere i caratteri della eterodirezione, tipici del lavoro subordinato.
Viene, infine, osservato che tanto il Giudice amministrativo quanto la commissione di gara hanno rinunciato ad approfondire la validità del progetto – programma di lavoro affidato ai due collaboratori coinvolti nell’attività messa a bando.
Dalla descrizione del disciplinare di gara, appare evidente che l’attività oggetto della fornitura risulta difficilmente compatibile con lo schema della collaborazione a progetto la quale, ai sensi dell’art. 61 del D.Lgs n. 276/03, deve essere finalizzata alla produzione di un risultato apprezzabile da parte del collaboratore.
Approfondendo questo aspetto, nota la dottrina, la commissione di gara avrebbe potuto deliberare l’esclusione della cooperativa sulla base di argomenti difficilmente contestabili in sede giudiziale.
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