Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha impugnato gli artt. 2, lett. a) e d), 3, 5, comma 1 e 2 e 11, lett.h), della legge della Regione Toscana 1 febbraio 2005, n. 20, per violazione dell’art.117, comma 2, lett. l), Cost. Oggetto del contendere tra i poteri dello Stato era costituito dalle modifiche che la Regione Toscana aveva apportato alla legge regionale n. 32/02, in materia di occupazione e mercato del lavoro.
In particolare, sono stati aggiunti nella citata legge n. 32, gli artt. 18 – bis e 18 – ter, riguardanti gli obiettivi della formazione nell’apprendistato.
Nella nuova legge regionale sono stati, altresì, inseriti gli artt. 20 – bis e 20 – ter; il primo sostituisce l’albo regionale delle agenzie per il lavoro che operano nel territorio della Regione, il secondo istituisce l’elenco regionale dei soggetti accreditati a svolgere servizi al lavoro.
Tale normativa è stata impugnata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri in quanto lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, nonché di alcuni principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro, da considerare standard uniformi sull’intero territorio nazionale, dettati dal Dlgs n.276/03.
In particolare:
– l’art. 2, lett. a) e d), prevedendo la valorizzazione e la certificazione dei contenuti formativi dei contratti di apprendistato e l’individuazione dei criteri e dei requisiti di riferimento per la capacità formativa delle imprese, violerebbe l’art. 117, comma 2, lett. l), Cost., il quale attribuisce allo Stato competenza esclusiva in materia di ordinamento civile;
– l’art. 3, ove si prevede che la Regione disciplini i profili formativi e le modalità organizzative dell’apprendistato con il regolamento di cui all’art. 32 della richiamata legge regionale n. 32, approvata dalla Giunta “sentiti gli organismi rappresentativi delle parti sociali”, contrasterebbe con gli artt. 49 e 50, D.lgs n. 276 sopra citato che, rispettivamente, per l’apprendistato professionalizzante e per l’apprendistato per l’alta formazione, prevedono “l’intesa” ovvero “l’accordo” con le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro e, dunque, forme di maggiore coinvolgimento delle parti sociali;
– il medesimo art. 3 sarebbe, altresì, in contrasto con l’ art. 48, comma 4 del D.lgs. n. 276, in quanto, nel disciplinare l’apprendistato per l’espletamento del diritto – dovere di istruzione e formazione, non fa riferimento né alle intese con le amministrazioni dello Stato, né al rispetto dei principi e criteri direttivi dettagliatamente indicati dallo stesso art. 48, comma 4;
– l’art. 5, comma 1, che istituisce l’albo regionale delle agenzie per il lavoro, contrasterebbe con gli artt. 4, commi 1, 6 e 7, del più volte citato D.lgs n. 276/03, che, rispettivamente, istituiscono l’albo regionale delle agenzie per il lavoro e prevedono che la Regione, quando concede l’autorizzazione, provveda alla comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali “per l’iscrizione delle agenzie in una apposita sezione regionale nell’albo di cui all’art. 4”;
– il medesimo art. 5, comma 2, che demanda ad un successivo regolamento regionale la definizione delle competenze professionali e dei requisiti dei locali ove viene svolta l’attività ai fini dell’autorizzazione regionale, sarebbe in contrasto con l’art. 5, comma 1, lett. c), del D.lgs n. 276, come integrato dal successivo decreto ministeriale 5 maggio 2004, il quale negli artt. 1, 2 e 3 ha definito le competenze professionali e i requisiti dei locali che le agenzie di somministrazione di lavoro devono possedere ai fini dell’autorizzazione;
– l’art. 11, lett. h), che demanda ad un successivo regolamento regionale la definizione delle “modalità per la concessione a soggetti pubblici e privati dell’autorizzazione a svolgere nel territorio regionale l’attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione del personale”, sarebbe in contrasto con l’art. 6, commi 6 e 7, del D.lgs n. 276.
La Corte Costituzionale – con la sentenza in oggetto – ritiene non fondate le eccezioni sollevate, specificando tra l’altro che la disciplina dell’apprendistato è costituita da norme che attengono a materie per le quali sono stabilite competenze legislative di diversa attribuzione e che alla composizione delle interferenze provvedono strumenti attuativi del principio di cosiddetta leale collaborazione. In materia di apprendistato infatti la competenza può essere ai sensi dell’art. 117 Cost.: a) esclusiva dello Stato; b) residuale delle Regioni; c) ripartita.
La Corte ha ribadito, altresì, che mentre la formazione da impartire all’interno delle imprese attiene all’ordinamento civile e quindi è esclusiva dello Stato, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di istruzione professionale, con interferenza però con altre materie, in particolare con l’istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni.
Alla luce di questi principi, la Consulta ha chiarito che il censurato art. 2, lett. a) e d), contiene disposizioni di carattere generale e programmatico, il cui contenuto normativo si definisce considerandole congiuntamente a quelle del successivo art. 3 ed all’intero contesto in cui entrambe si inseriscono. L’art. 3 espressamente si riferisce alla formazione esterna e ne prevede la disciplina mediante il regolamento di cui all’ art. 32, da emanare “attuando le procedure di concertazione con i soggetti istituzionali e con i soggetti economici e sociali”. Tale espressione, contenuta nel citato art. 32, può e deve essere letta, per la Corte, come riferentesi alle intese di cui agli artt. 48, 49 e 50, D.lgs n. 276 e che l’individuazione delle capacità formative delle imprese, che il censurato art. 2, lett. d), riconosce essere obiettivo qualificante la formazione nell’apprendistato, non può che riferirsi alle imprese che svolgono attività formativa esterna.
Parimenti non fondate per la Corte sono le censure che si appuntano sull’art. 3, commi 1 e 2, e sull’art.11, lett. l) della legge n. 20/05 della Regione Toscana, che hanno ad oggetto le modalità per il rilascio dell’autorizzazione a svolgere l’attività di intermediazione nell’ambito del territorio regionale e l’istituzione e la tenuta del relativo albo. Il rilascio dell’autorizzazione è, infatti, previsto dalla normativa statale e, in particolare, dall’art. 6, commi 6,7, e 8, del D.lgs n. 276.
Pertanto, per la Corte, se le Regioni possono rilasciare le autorizzazioni, ne deriva come legittima conseguenza che possono anche istituire l’albo delle imprese da loro autorizzate. Tale istituzione non contrasta con l’obbligo di comunicazione al Ministero del lavoro, di cui al citato comma 7, obbligo non escluso da alcune disposizioni regionali, e non impedisce, quindi, l’inserzione delle imprese autorizzate dalla Regione nella sezione regionale dell’albo statale.
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