La Corte di Cassazione, con la allegata sentenza n. 5078/09, si è pronunciata in merito alla fattispecie di superamento del periodo di comporto, da parte del lavoratore, in seguito alla mancata concessione delle ferie.
Nel caso di specie un lavoratore, durante una assenza dovuta a malattia, ha chiesto di fruire di sei giorni di ferie allo scopo di evitare il superamento del periodo di comporto. Ma l’impresa ha rifiutato tale richiesta e ha dato luogo al licenziamento per superamento del comporto in parola. Il lavoratore ha chiesto al Tribunale che venisse annullato tale licenziamento affermando che il diniego delle ferie doveva ritenersi in contrasto con i principi di correttezza e buona fede, data la inesistenza di motivi organizzativi dell’impresa che lo giustificassero.
Il Tribunale ha annullato detto licenziamento condannando l’impresa alla reintegrazione del lavoratore e al risarcimento del danno per la perdita delle retribuzioni ed altresì al risarcimento del danno biologico sofferto dallo stesso per essere stato adibito a mansioni dannose.
L’impresa è ricorsa in appello affermando che non erano state in alcun modo considerate le esigenze e l’organizzazione della medesima.
La Corte di Appello ha ritenuto corretta la richiesta sollevata dal lavoratore di godere delle ferie al fine di evitare il superamento del periodo di comporto, ha rigettato il gravame e condannato l’impresa anche al risarcimento del danno ex art. 2097 c.c., per avere adibito il lavoratore a mansioni dannose per lo stesso. La Corte di Appello riteneva altresì che la concessione delle ferie non avrebbe provocato alcun problema organizzativo per l’impresa in quanto, in quel periodo, ai lavoratori della stessa veniva imposto di godere a turno di una settimana di ferie onde evitare la integrazione salariale.
L’impresa ha proposto ricorso per cassazione sostenendo che la decisione della Corte di Appello sarebbe ingiusta ed immotivata almeno per i seguenti aspetti:
a) perché non si poteva annullare il licenziamento in difetto di una esplicita domanda preliminare rispetto al provvedimento con il quale il datore di lavoro si era determinato in merito ad una precedente richiesta di ferie;
b) perché il lavoratore non vantava alcun diritto ad essere collocato in ferie allo scopo di evitare il decorso del comporto;
c) perché nel valutare nel merito la legittimità delle scelte del datore di lavoro rispetto ad una domanda di ferie si sarebbe, da un lato, non compreso il significato degli accordi contrattuali e, dall’altro, non si sarebbe tenuto presente quanto in concreto è avvenuto;
d) perché in base al contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro, il periodo di comporto sarebbe comunque decorso durante il godimento delle ferie e sulla base della malattia denunciata dal lavoratore.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso affermando che il lavoratore assente per malattia può mutare il titolo dell’assenza mediante la richiesta di fruire di ferie già maturate, al fine di sospendere il decorso del comporto, non essendo poi la denuncia di malattia un atto unilaterale irrevocabile e non rilevando una assoluta incompatibilità tra le ferie e la malattia.
Secondo la Corte in tali ipotesi non sarebbe corretto dal punto di vista costituzionale negare il diritto alle ferie per le condizioni psicofisiche del lavoratore inidonee al loro pieno godimento, non potendo operare il criterio della sospensione delle medesime e del loro spostamento a conclusione della malattia, in quanto in tal modo si precluderebbe il diritto alla fruizione delle medesime.
In conclusione, la Corte ha ritenuto che il datore di lavoro, nell’esercizio del proprio diritto alla determinazione del periodo di godimento delle ferie, è tenuto a prendere in debita considerazione il fondamentale interesse del dipendente ad evitare la perdita del posto di lavoro a seguito dell’esaurirsi del periodo di comporto.
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