La Corte costituzionale, con l’allegata sentenza n. 303/2011, si è pronunciata in merito alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Trani e dalla Corte di Cassazione relativamente alla nuova disciplina sanzionatoria del contratto a tempo determinato, di cui ai commi 5, 6 e 7 dell’art. 32 della L. n. 183/2010 – cd. Collegato lavoro, dichiarandole non fondate.
Tali disposizioni prevedono, nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il riconoscimento al lavoratore di un’indennità omnicomprensiva, a carico del datore di lavoro, nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (co.5).
Il limite massimo della suddetta indennità è ridotto della metà in presenza di contratti collettivi di qualsiasi livello, purché stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie (co.6).
Si precisa, inoltre, che in base al co.7 dette disposizioni troveranno applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della norma.
Secondo il Tribunale di Trani e la Corte di Cassazione, le succitate previsioni sono da considerarsi sproporzionate rispetto all’ammontare realmente sofferto dal lavoratore, lesive dei diritti costituzionali dei cittadini nonché in contrasto con la normativa comunitaria, in quanto l’apposizione di un limite massimo all’indennità riconosciuta al lavoratore non è sufficiente a garantire allo stesso un’adeguata copertura per tutto il periodo di astensione dal lavoro e dunque sino all’effettiva ripresa dell’attività stessa.
A tal proposito, la Corte costituzionale ha chiarito che l’indennità omnicomprensiva prevista va ad integrare la garanzia della conversione del rapporto di lavoro a termine in un contratto di lavoro ordinario a tempo indeterminato, compensando, di fatto, il danno subito dal lavoratore dalla scadenza del contratto fino alla sentenza che ne dichiari la nullità.
E’ stato precisato, inoltre, che dal momento della sentenza fino all’effettiva riammissione del lavoratore il datore di lavoro è indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva.
In conclusione, la Corte ha ritenuto che la trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, congiuntamente alla corresponsione di un’indennità di ammontare certo, soddisfa, di fatto, la sanzione più incisiva a tutela del posto del lavoro e, pertanto, non può essere considerata in contrasto con le direttive comunitarie, né tanto meno con i diritti costituzionali.
La Corte inoltre ha chiarito che anche la riduzione della metà del limite superiore dell’indennità, prevista al co. 6 dell’art. 32, nonché l’applicazione delle disposizioni previste al co. 7, sono da considerarsi legittime.
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