[Il Sole 24 Ore – 27/02/2012 – di Andrea Biondi]
Uno studio Intesa Sanpaolo sottolinea l`impatto sui territori legato alle difficoltà del comparto immobiliare
Il sistema casa perde 20 miliardi
Elettrodomestici, edilizia e mobili sono i settori con il calo maggiore
A conti fatti all`appello mancano 18,5 miliardi di euro. Le elaborazioni del Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo su dati Istat lasciano poco spazio a dubbi: i settori legati al “sistema casa” rappresentano la parte di Made in Italy più avvinghiata nelle sabbie mobili di una crisi che fra vari stop and go va avanti da oltre 4 anni e che – viste le ultime previsioni sul Pil 2012 (dal -1,3% stimato dalla Ue al -1,5% di Bankitalia) non promette nulla di buono.
Elettrodomestici, prodotti e materiali da costruzione e mobili sono i settori il cui fatturato, a fine 2011, ha accusato il più grave ritardo rispetto al picco pre-crisi. Tutti settori legati alla casa, dunque, e tutti settori che hanno vissuto il momento migliore nel 2007. Da allora la discesa è stata inesorabile con un quadro peggiore, in termini percentuali, per gli elettrodomestici (-26,6% e fatturato a prezzi correnti sceso da 14 a 10,2 miliardi di euro), seguiti da prodotti e materiali da costruzione (-21,6% con fatturato calato da 45 a 35,3 miliardi) e mobili (-17,5% con fatturato passato da 28,7 a 23,7 miliardi). Insomma una buona fetta del Made in Italy inghiottita dalla crisi e non ancora tornata ai legittimi proprietari. «Sui settori legati al sistema casa – afferma Giovanni Foresti, del Servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo – pesano soprattutto la debolezza del mercato interno e le criticità presenti nel settore immobiliare».
Non che gli altri settori stiano messi meglio, visto che a parte farmaceutica (+6,8%), alimentari bevande (+3) e prodotti di largo consumo (+2,3%), per tutti gli altri comparti si contano flessioni per un risultato finale – su tutto il manifatturiero – che rispetto al periodo pre-crisi indica un gap di fatturato di 52,7 miliardi (erano 930,8 nel 2008 e 878,1 nel 2011). Il sistema casa resta però quello più in ritardo, con difficoltà che si evidenziano da Nord a Sud nei vari distretti della Penisola. Sul fronte export (unici dati a disposizione su scala distrettuale) risalta il tracollo delle cappe ed elettrodomestici di Fabriano (-60,9% con vendite oltreconfine scese a 1,4 miliardi dei primi nove mesi del 2007 ai 555 di gennaio-settembre 2011). Po si va dal -38% del mobile imbottito della Murgia fino al -10% del distretto del mobile del Livenza e Quartiere del Piave. «Entro marzo contiamo di essere ricevuti al ministero dello Sviluppo
economico», afferma Andrea Sasso, presidente di Confindustria Ceced, l`associazione dei produttori di elettrodomestici.
Del resto il 2011 si è chiuso con tutti segni meno (-10,5% i frigoriferi; -16% le lavastoviglie; -11% i forni) e per la prima volta è calato anche il numero di lavatrici vendute (-7%). «è necessario intervenire su vari fronti, dal costo dell`energia alle infrastrutture al cuneo fiscale che non ci permette di essere competitivi. Il rischio – conclude Sasso – è quello di vedere aumentare ancora di più quelle delocalizzazioni che, è innegabile, ci
sono state». Insomma, «c`è bisogno di capire se si vuole tenere in Italia un settore oppure no». Che un`azione del governo sia da considerare vitale è convinzione anche di Roberto Snaidero, presidente Federlegno-Arredo. «A breve presenteremo delle proposte. Il governo deve dare una mano a questo settore che sta soffrendo per un mercato interno asfittico che vanifica tutti i buoni risultati che molte aziende ottengono con l`export». Alla base delle
difficoltà c`è tuttavia una dinamica che va oltre il settore: «Il problema vero – aggiunge Snaidero – è che è tutto fermo nelle nuove costruzioni. Per questo un comparto come quello delle cucine è in particolare sofferenza». Su tutto grava quindi la crisi dell`edilizia. «Negli ultimi quattro anni – spiega il presidente dell`Ance, Paolo Buzzetti – abbiamo registrato un taglio del 43% nelle risorse per le nuove opere pubbliche». Meno fondi, dunque, «per un settore che da solo vale il 10 per cento del Pil. Temiamo che ci sia il grosso rischio di vedere
un`esplosione di libri portati in tribunale». I correttivi posso essere molteplici, ma per il presidente dei costruttori edili non si può prescindere dalla revisione del Patto di stabilità e, in tempi di credit crunch, dall`azione «sui ritardati pagamenti della pubblica amministrazione. Ora si sta veramente esagerando, con punte di due anni e media di pagamenti non inferiore ai nove mesi. Se solo si scendesse a quattro sarebbe una gran cosa».