Le indennità erogate ai lavoratori specializzati, chiamati a svolgere la propria attività al di fuori del Comune dove è situata la “sede amministrativa d’assunzione”, sono assoggettabili alla disciplina previdenziale e fiscale della cosiddetta “trasferta abituale” (di cui all’art.51, co.6, del TUIR – D.P.R. 917/1986), anche qualora le stesse non costituiscano un elemento “stabile e forfetario” della retribuzione, ma vengano corrisposte solo in occasione dell’effettiva trasferta ed in base alla destinazione della stessa.
Così si è espressa la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la recente Sentenza n.396 del 13 gennaio 2012, nella quale, con un orientamento che suscita perplessità, viene tra l’altro superata la tesi dell’Amministrazione finanziaria che, nella Circolare n. 326/E del 23 dicembre 1997, ha fornito gli elementi necessari a differenziare l’istituto della “trasferta abituale” da quello della “trasferta occasionale”, ai fini dell’applicazione del corretto trattamento fiscale e previdenziale.
Come noto, infatti, l’art.51 del TUIR – D.P.R. 917/1986, nell’ambito della determinazione del reddito da lavoro dipendente ai fini fiscali e previdenziali , impone una diversa disciplina per i 2 citati istituti, stabilendo:
• al comma 5, il trattamento da riservare alle indennità erogate in funzione della cosiddetta “trasferta occasionale” (missione fuori dal territorio comunale o all’estero), che concorrono alla formazione del reddito imponibile del lavoratore solo per la parte eccedente 46,48 euro al giorno (77,47 euro per le trasferte all’estero), al netto delle spese di viaggio e trasporto,
• al comma 6, il trattamento applicabile alle indennità per la cosiddetta “trasferta abituale”, ossia a quelle somme o maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti, per contratto, all’espletamento delle attività in luoghi sempre variabili e diversi (cd. lavoratori “trasfertisti”), che concorrono alla determinazione del reddito in misura pari al 50% del loro ammontare (senza applicazione, quindi, di alcuna “franchigia” esclusa da imposizione, come accade invece per la “trasferta occasionale”).
La linea di demarcazione tra i due istituti è stata oggetto, in passato, di chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria che, con la citata Circolare n. 326/E/1997, ha tenuto a precisare che l’istituto della “trasferta abituale” (di cui al comma 6 del citato art.51) presuppone l’assenza di una determinata sede di lavoro e l’attribuzione al lavoratore, per contratto, di una maggiorazione di retribuzione, o di una indennità forfetaria, con carattere continuativo e senza alcun controllo circa l’effettuazione o meno di prestazioni in trasferta, riconosciuta a ristoro del disagio costituito dal dover assolvere la propria prestazione in luoghi sempre diversi.
Con la citata Sentenza 396/2012, la suprema Corte ha oggi superato tale orientamento ministeriale, respingendo il ricorso di un’impresa assoggettata a verifica INPS che, per alcuni operai specializzati assunti presso la sede amministrativa, aveva applicato la disciplina della “trasferta occasionale” (di cui al comma 5, del citato art.51 del TUIR), proprio in ragione dell’assenza degli elementi caratterizzanti l’istituto della “trasferta abituale”.
L’indennità corrisposta a tali lavoratori, infatti, non aveva carattere “forfetario e continuativo”, essendo riconosciuta solo in caso di effettiva trasferta fuori dal Comune della sede amministrativa d’assunzione e per un importo variabile in ragione della specifica destinazione della stessa.
Sul punto, la Sezione Lavoro della Cassazione si è espressa nel senso che la disciplina della “trasferta abituale” (di cui al comma 6, dell’art.51) «non richiede per la sua applicazione che le indennità e le maggiorazioni … siano corrisposte in maniera fissa e continuativa, anche indipendentemente dall’effettuazione della trasferta e dal tipo di essa», quanto piuttosto che le medesime indennità o maggiorazioni siano «erogazioni corrispettive dell’obbligo contrattuale assunto dal dipendente di espletare normalmente le proprie attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi e quindi al di fuori di qualsiasi sede di lavoro prestabilita».
Proprio sul concetto di “sede di lavoro” la Corte ha individuato l’elemento essenziale, precisando che se in tale sede il lavoratore non è chiamato a svolgere normalmente la propria attività lavorativa, ma la stessa si configura come mera sede di assunzione o riferimento per la sola gestione burocratica del rapporto di lavoro, la fattispecie in esame non può essere assoggettata alla disciplina prevista per la “trasferta occasionale”, di cui al comma 5 dell’art. 51 del TUIR, che presuppone una sede fissa dove il dipendente svolge effettivamente e concretamente la propria attività di lavoro, essendo chiamato solo occasionalmente all’espletamento di questa in un luogo situato al di fuori del territorio comunale.
Pertanto, nel respingere l’opposizione proposta dall’impresa nei confronti della decisione della Corte d’appello di Milano, che la condannava al pagamento dei contributi dovuti all’INPS sul 50% dell’indennità di trasferta corrisposta ai propri operai specializzati, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto:
“L’art. 51, comma 6 del T.U.I.R. – il quale prevede che le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità, concorrono a formare il reddito, anche ai fini contributivi, nella misura del 50% del loro ammontare – si riferisce al caso in cui la normale attività lavorativa si debba svolgere contrattualmente al di fuori di una sede di lavoro prestabilita – ancorché l’assunzione del dipendente sia formalmente avvenuta per una determinata sede – e con riguardo al pagamento una indennità o una maggiorazione retributiva erogata in ragione di tale caratteristica, anche se non nei giorni di assenza dal lavoro per ferie, malattia, etc. e anche se in misura variabile in relazione alle località di volta in volta assegnate”.
Con ciò, quindi, la Corte Suprema ha confermato che, ai fini della qualifica dei c.d. “trasfertisti”, non rileva il fatto che l’indennità venga corrisposta in importi variabili in relazione alla destinazione, quanto, piuttosto, il fatto che l’attività venga normalmente svolta in luoghi sempre diversi.
L’orientamento di tale sentenza non è condivisibile e rappresenta per il settore delle costruzioni un precedente negativo, sia per le imprese edili che per gli operai, usualmente assunti presso la sede legale per svolgere la propria attività nel Comune di appartenenza e inviati in trasferta, per specifiche occasioni di lavoro “temporanee” e “variabili”.
A tal proposito si comunica che l’ANCE, in accordo con Confindustria, è intervenuta nelle sedi istituzionali richiedendo una norma interpretativa nel senso che «per le attività lavorative effettuate al di fuori del territorio comunale ove è ubicata la sede di lavoro, o la sede di assunzione, s’intendono comunque applicabili le disposizioni di cui all’articolo 51, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917, qualora, nel contratto individuale di lavoro, non sia espressamente stabilito che l’espletamento delle stesse debba avvenire in luoghi sempre variabili e diversi».
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