Con l’allegata nota n. 18 del 18 luglio scorso, il Ministero del Lavoro ha fornito alcune indicazioni operative relative alla Riforma del Mercato del Lavoro ovvero, in particolare, in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, a contratto di apprendistato, contratto di lavoro intermittente, a lavoro accessorio, disciplina del collocamento dei disabili e delle dimissioni in bianco.
Contratto a tempo determinato
In materia di contratto a termine, sono stati forniti, in primo luogo, chiarimenti in merito alla possibilità, introdotta al comma 9 dell’art.1 della L. n. 92/2012, di poter stipulare il primo rapporto a tempo determinato senza dover indicare le ragioni di carattere “tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo” (c.d.”causalone”).
A tal riguardo, il Ministero del Lavoro ha precisato che tale possibilità, riferita esclusivamente al primo rapporto di lavoro a tempo determinato intrattenuto tra due medesimi soggetti può, chiaramente, trovare applicazione un’unica volta.
Sarà, dunque, necessaria l’apposizione della causale, nel caso in cui tra il lavoratore e il datore di lavoro/somministratore sia già intercorso un precedente rapporto lavorativo di natura subordinata.
Nel ricordare che tale contratto acausale, della durata massima di 12 mesi, non potrà essere oggetto di proroga, anche qualora fosse di durata inferiore ai 12 mesi, il dicastero ha precisato che il suddetto limite temporale non costituisce una “franchigia” né, tantomeno, può essere in qualche modo frazionato.
Relativamente alla possibilità, da parte della contrattazione collettiva comparativamente più rappresentativa, di stabilire una disciplina alternativa alla precedente, nel limite del 6% dei lavoratori e nell’ambito delle condizioni indicate, è stato chiarito che il riferimento è, prioritariamente, al livello interconfederale o di categoria e in via delegata ai livelli decentrati.
Pertanto, non sarà possibile, al livello decentrato, introdurre discipline diverse da quelle previste dal Legislatore, se non espressamente delegate a livello interconfederale o di categoria.
Con riferimento al periodo di occupazione a tempo determinato, fissato nel limite massimo di 36 mesi, ivi compresi i periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, è stato chiarito che i datori di lavoro dovranno considerare, per il calcolo del suddetto limite temporale, anche i periodi di lavoro svolti con contratto di somministrazione a tempo determinato stipulati a partire dall’entrata in vigore della legge (18 luglio 2012).
Non sussistendo però un limite massimo al ricorso alla somministrazione, raggiunti i 36 mesi, sarà comunque possibile ricorrere alla somministrazione a tempo determinato con lo stesso lavoratore.
Apprendistato
Il dicastero fornisce, inoltre, chiarimenti in ordine al principio della “stabilizzazione”, che dovrà osservarsi per procedere a nuove assunzioni con il contratto di apprendistato, disciplinato dal d.lgs. n. 167/2011, così come modificato dalla legge n. 92/12.
La riforma, per i soli datori di lavoro con almeno 10 dipendenti, dispone che l’assunzione di nuovi apprendisti è subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nei 36 mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il 50% degli apprendisti in forza.
Tale percentuale dovrà essere verificata con riguardo alle nuove assunzioni effettuate dal 18 luglio 2015, poiché, per un periodo di tre anni, decorrente dal 18 luglio 2012 (data di entrata in vigore della legge in esame), la percentuale di stabilizzazione è fissata nel 30%.
Dal computo sono, comunque, esclusi i rapporti cessati durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.
Qualora non sia rispettata la prevista percentuale, è consentita comunque l’assunzione di un ulteriore apprendista rispetto a quelli già confermati, nonchè di un apprendista anche nell’ipotesi di totale mancata conferma degli apprendisti pregressi.
Gli apprendisti assunti in violazione dei limiti sopra richiamati saranno considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
La circolare rammenta quindi che il Testo Unico dell’apprendistato demanda alle parti sociali la possibilità di prevedere forme e modalità per la conferma in servizio degli apprendisti al fine di ulteriori assunzioni.
Tale eventuale previsione non è comunque correlata all’organico aziendale, a differenza della clausola di stabilizzazione sancita dalla legge che, come predetto, attiene esclusivamente i datori di lavoro con almeno 10 dipendenti.
Pertanto, qualora non sia applicabile la normativa di legge, dovrà rispettarsi il limite individuato dalla contrattazione collettiva, il cui superamento comporterà sempre la trasformazione del rapporto di apprendistato in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, trattandosi comunque di un previsione scaturente da una fonte legislativa.
Nel caso in cui, invece, vi sia tra la previsione “legale” e quella “contrattuale” coincidenza di ambito applicativo, dovrà osservarsi, in quanto prevalente, la disposizione specifica sancita dalla legge n.92/12.
Lavoro intermittente
L’importante novità introdotta dal legislatore è la variazione del requisito soggettivo per accedere a tale tipologia contrattuale, che, infatti, riguarda ora soggetti con più di cinquantacinque anni di età e meno di ventiquattro anni di età, fermo restando in quest’ultimo caso che la prestazione contrattuale deve essere svolta entro il venticinquesimo anno di età.
Pertanto, come ha specificato il Ministero, il ventiquattrenne potrà, sino al giorno antecedente al compimento dei 25 anni, essere chiamato a svolgere la prestazione lavorativa. In caso di violazione vi sarà la trasformazione del contratto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato.
La legge ha inoltre abrogato l’art. 37 del D.Lgs. n. 276/2003 che prevedeva la possibilità di ricorrere comunque al lavoro intermittente per prestazioni da rendersi nei fine settimana, nonché nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali nonché in ulteriori periodi predeterminati dai contratti collettivi.
E’ stato quindi sintetizzato dal dicastero che, attualmente, il contratto di inserimento può essere utilizzato:
La disciplina transitoria introdotta dal legislatore prevede che i contratti di lavoro intermittente in essere alla data di entrata in vigore della legge, non compatibili con le nuove disposizioni legislative in materia, cessino di produrre effetto decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
È evidente, pertanto, sottolinea il Ministero che, alla data di entrata in vigore della legge, non possano concludersi contratti di lavoro intermittente con la vecchia disciplina, soprattutto per ciò che concerne i limiti di età e le modalità di cui all’art. 37 ormai abrogato. Nel caso in cui le prestazioni proseguano in violazione di tale dettato, il Ministero ha sancito che verranno considerate prestazioni in “nero”.
Come noto il legislatore ha, inoltre, introdotto un obbligo di comunicazione connesso non alla stipula del contratto ma alla chiamata del lavoratore, prima dell’inizio della prestazione lavorativa o di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni. In tal caso, infatti, il datore di lavoro ha l’obbligo di comunicare la durata del contratto alla Direzione territoriale del lavoro competente, mediante sms, fax o posta elettronica, o ulteriori modalità da individuarsi con apposito decreto ministeriale.
Il Ministero ha fornito, inoltre, le specifiche modalità con le quali dovrà compiersi la comunicazione in relazione ai dati del lavoratore e alle giornate, nell’ambito di un periodo non superiore a 30 giorni, che saranno lavorate.
È stato sottolineato che, in mancanza di annullamento o modificazione della comunicazione, le giornate ivi indicate si considereranno comunque lavorate, con tutte le conseguenze retributive e contributive.
Se poi il lavoratore sarà chiamato a lavorare anche in giornate aggiuntive a quelle comunicate senza modifica della comunicazione, vi saranno le conseguenze di cui sopra oltre alla sanzione per mancata comunicazione preventiva di cui all’art. 35 del D.Lgs. n. 276/2003.
Il dicastero ha sottolineato che il personale ispettivo, fino a quando non verranno date specifiche indicazioni sulle modalità di effettuazione delle comunicazioni, soprattutto tramite sms, adotterà la massima prudenza e cautela nella individuazione dei fenomeni sanzionatori.
Lavoro accessorio
Sul tema il Ministero del Lavoro ha fornito importanti precisazioni in ordine alla natura “meramente occasionale” di tale tipologia contrattuale, specificando che l’unica limitazione apportata all’utilizzo di tale istituto ha carattere puramente economico.
E’ stato introdotto, infatti, un limite pari a 5.000 euro nel corso dell’anno solare, riferito alla totalità dei committenti “imprenditori commerciali o professionisti”, fermo restando il limite di 2.000 euro nei confronti di ciascun singolo committente.
E’ stato chiarito che per “imprenditore commerciale” è da intendersi, secondo l’orientamento ministeriale, qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, che operi su un determinato mercato, senza nessun esclusivo riferimento all’attività di intermediazione nella circolazione di beni.
Con riferimento ai buoni per le prestazioni di lavoro accessorio, c.d. voucher, è stato chiarito che resta fermo l’utilizzo dei buoni acquistati antecedentemente alla data di entrata in vigore della legge e comunque entro il 31 maggio 2013, nel rispetto della precedente disciplina.
Disciplina collocamento disabili
Rilevante novità introdotta dalla Riforma è l’inserimento nella base di computo, ai fini del calcolo dei soggetti disabili da assumere, di tutti i soggetti, compresi pertanto anche quelli impiegati con un contratto a tempo determinato inferiore ai nove mesi.
Il Ministero ha chiarito che i soggetti impiegati con contratto a tempo determinato dovranno essere computati pro quota (ad esempio due contratti a tempo determinato di sei mesi verranno conteggiati quale unità).
A tal proposito, viene citato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale i lavoratori con contratto a termine sono considerati nell’organico aziendale anche ai fini della disciplina applicabile per i licenziamenti individuali, qualora il loro inserimento sia indispensabile per la realizzazione del ciclo produttivo (escludendo, pertanto, quelli assunti per ragioni sostitutive).
Si segnala che è in discussione un emendamento alla L. n. 92/2012 sulla possibilità di escludere i contratti a tempo determinano fino a sei mesi dalla base di computo e per tale ragione il personale ispettivo è stato invitato alla massima cautela nella verifiche del rispetto degli obblighi.
Dimissioni “in bianco”
Al fine di contrastare pratiche illecite volte a mascherare licenziamenti illegittimi, la riforma prevede, per le dimissioni decorrenti dal 18 luglio 2012, una procedura specifica mirata a verificare la volontà del lavoratore di dimettersi o di prestare il proprio consenso alla risoluzione consensuale del rapporto.
In particolare, viene previsto che, tranne nelle ipotesi di cui all’art. 55, co. 4, del d.lgs. n. 151/2000, come modificato dalla L.n. 92/2012 (convalida negli specifici casi da parte del servizio ispettivo del Ministero del lavoro) le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono “sospensivamente condizionate” alla convalida presso la competente Dtl (ovvero presso i Centri per l’impiego o altre sedi individuate dalla contrattazione collettiva) o alla sottoscrizione di una dichiarazione apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro di cui all’art. 21 della legge n. 264/49.
Il dicastero ritiene che la convalida non sia richiesta nelle ipotesi in cui la cessazione del rapporto rientri nelle procedure di riduzione del personale effettuate in una sede qualificata istituzionale o sindacale, che garantiscono comunque la genuinità del consenso del lavoratore.
Le convalide presso le Dtl, ad eccezione di quelle legate alla tutela della genitorialità, dovranno poi consistere in una semplice constatazione, da parte dei funzionari competenti, della manifestazione di volontà del lavoratore a terminare il rapporto di lavoro.
La riforma stabilisce, infine, che nel caso in cui il lavoratore non proceda alla convalida o alla sottoscrizione, il rapporto di lavoro si intende risolto qualora il lavoratore interessato, entro 7 giorni di calendario dalla ricezione dell’invito, non si presenti presso le sedi indicate per la convalida o non provveda ad apporre la dovuta sottoscrizione della suddetta dichiarazione.
Durante tale periodo, il lavoratore può anche revocare le dimissioni; tale revoca, seppur non richiesta in forma scritta, dovrà opportunamente essere formalizzata, al fine di evitare possibili contenziosi.
Si rammenta, infine, che il datore di lavoro deve trasmettere al lavoratore l’invito a manifestare la propria volontà entro 30 giorni dalla data delle dimissioni e della risoluzione consensuale, altrimenti le dimissioni saranno prive di effetto.
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