[La Repubblica – Affari & Finanza – 01/10/2012 – di Luisa Grion]
Buzzetti: “La bolla non c’è, mancano 600 mila case”
Il presidente dell’Ance sostiene che la domanda di abitazioni esiste e che il problema è solo finanziario. Propone il ritorno alle cartelle fondiarie, come nel dopoguerra: “È ciò che ha fatto la Fed negli Usa. Qui potrebbe farlo la Cdp”
Una vecchia ricetta, riveduta e corretta, ispirata a quanto già fatto dall’Italia nel dopoguerra e alle operazioni avviate da Stati Uniti, Francia e Germania. Un pacchetto d’investimenti e sgravi fiscali per rilanciare l’edilizia e far ripartire la crescita, perché per Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, l’Associazione dei costruttori, non vi sarà l’una senza l’altra. «La casa è un’emergenza economica e sociale – dice – e l’edilizia è il settore sul quale tutti gli altri Paesi puntano per fare da traino alla ripresa, solo l’Italia non si è accorta che la strada è questa».
Presidente, in molti altri Paesi è stata proprio la bolla immobiliare a far esplodere la crisi, perché qui costruire dovrebbe essere la soluzione?
«Perché da noi la bolla non c’è stata e non ci sarà. Non abbiamo un problema di domanda: al contrario, mettendo insieme i dati delle abitazioni in cantiere con le esigenze delle famiglie, si può vedere che c’è un fabbisogno potenziale di altre 596 mila case. Non vi è stata, da parte delle banche, la politica di mutui facili praticata dagli Usa e le famiglie, nonostante la crisi, hanno mantenuto un livello d’indebitamento del tutto sotto controllo: i presupposti per rilanciare il mercato ci sono, quello che manca è il credito».
Tutta colpa delle banche allora?
«Hanno dovuto fare i conti con il debito sovrano, gli elevati costi della provvista a breve e l’indisponibilità di funding a lungo termine. Ma certo, il fatto che negli ultimi cinque anni l’erogazione di mutui sia crollata del 50 per cento ha massacrato un settore di traino come l’edilizia. Se mettiamo insieme il credit crunch, il mancato pagamento alle imprese da parte della pubblica amministrazione, ancora al palo, e la caduta degli investimenti pubblici e privati, ecco che sul settore si abbatte la tempesta perfetta. Direi che è arrivato il momento di svoltare».
Qual è la vostra proposta?
«Vorremo riattivare il circuito del credito dando rassicurazioni alle banche e partendo dall’esempio delle vecchie cartelle fondiarie».
E’ una idea del dopoguerra.
«Allora funzionò e funzionerebbe anche adesso. D’altra parte cos’ha fatto la Fed? Ha immesso liquidità nel settore immobiliare, si è impegnata con 40 miliardi al mese, fin quando sarà necessario, per acquistare mutui per investimenti, edilizia inclusa. E il mercato è ripartito».
E come dovrebbe funzionare questa nuova versione delle vecchie cartelle fondiarie?
«La Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe svolgere un ruolo centrale, perché può approvvigionarsi sul mercato a lungo termine con costi minori anche del 30 per cento rispetto ad una grande banca. La Cassa e altri investitori istituzionali potrebbero mettere a disposizione risorse da utilizzare per acquistare tranche senior di cartolarizzazioni o obbligazioni garantite da mutui residenziali. Basterebbe garantire l’operazione per 10 miliardi e destinare i prestiti ad obiettivi specifici, come l’acquisto della prima casa o l’aiuto alle coppie giovani, per esempio. Essendoci la garanzia sull’immobile, il rischio dell’operazione sarebbe basso e le banche si sentirebbero più tutelate. In alternativa, o accanto a questo strumento, si potrebbe pensare alla creazione di un Fondo di garanzia statale che protegga i mutui erogati dalle banche a vantaggio delle categorie disagiate. Sono idee che abbiamo già proposto tempo fa, ma si vede che i tempi non erano quelli giusti».
E ora cos’è cambiato? Perché la proposta dovrebbe essere accettata?
«Perché da una parte c’è l’esempio americano e dall’altra c’è la consapevolezza che puntando solo sul rigore non si va da nessuna parte. I tempi sono stretti, molte aziende del settore non sanno se arriveranno all’anno prossimo. Dobbiamo agire ora, fin tanto che godiamo di questa pur fragile e altalenante tregua sullo spread. Prima che scoppino nuove tensioni e prima che parta la campagna elettorale».
Fin qui il Governo ha sbagliato politica?
«Ha agito bene sul piano esterno, ma credo abbia sottovalutato gli effetti che le misure introdotte avrebbero avuto sul Paese: parlo dell’Imu sulla prima casa, che ha dato un forte impulso alla recessione edilizia, dei rigori di un Patto di stabilità che hanno fermato le economie locali, del fatto che vi è stata una deindustrializzazione non controllata. Non critico il Governo, ma credo che debba capire di cosa stiamo parlando. Invece si lascia che un settore chiuda per non pagare i 100 miliardi di debito che le amministrazioni hanno nei nostri confronti, e da tempo le risorse destinate a questo settore sono spesi in altro modo».
Perché, i soldi ci sono?
«Certo che ci sono, solo che quelli dedicati all’edilizia sono stati usati altrove: gli italiani, per esempio, hanno pagato 60 miliardi per il fotovoltaico, ma ne hanno tratto vantaggio solo le produzioni cinesi e tedesche. Il ministro Barca ha fatto un elenco imbarazzante dei mille rivoli in cui si sono persi gli investimenti pubblici».
Ma costruire, secondo lei, è l’unica soluzione?
Il Governo ha appena varato un decreto per evitare la cementificazione dei terreni agricoli. «Quando si parla di edilizia si parla anche di ristrutturazione e riqualificazione del territorio. Quanto al decreto, la tutela del suolo è fondamentale ed è vero che in questo Paese si sono fatti degli scempi. Ma quanta parte della devastazione è legata alle licenze di costruzione, e quanta all’abusivismo, al malaffare alla malavita? Vedremo come quel decreto sarà utilizzato».