[Il Sole 24 Ore – 10/10/2012 – di Mauro Salerno]
Rapporto Cresme. Spesi ogni anno 3,5 miliardi ma oltre dieci milioni di abitazioni restano a rischio
Sgravi fiscali contro il dissesto
Buzzetti: territorio in abbandono – Clini: ok al credito d`imposta
In caso di terremoti o frane evitate scuole e ospedali. A rigor di logica dovrebbero essere gli edifici-rifugio, quelli più sicuri. Invece risultano tra quelli più a rischio. Un paradosso in un Paese che dal 1944 a oggi ha speso la cifra monstre di 245 miliardi di
euro – 3,5 miliardi all`anno – per riparare i danni derivanti da catastrofi naturali, ritrovandosi 80 anni dopo all`anno zero della messa in sicurezza del territorio. Quasi la metà della Penisola (il 44%) si distribuisce in aree a elevato rischio sismico interessando un Comune su tre (2893 in totale) e 21,8 milioni di persone. Mentre le zone a elevata criticità idrogeologica occupano il 10% della superficie, riguardando l`89% del Comuni e 5,8 milioni di abitanti. Eppure terremoti, frane, alluvioni sono considerati ancora oggi eventi eccezionali cui porre riparo con meccanismi di emergenza, invece che fenomeni ciclici che è possibile ridimensionare – almeno nelle conseguenze – con una buona politica di prevenzione.
La mappa italiana del rischio sismico-idrogeologico è contenuta nel primo rapporto Ance-Cresme su «Lo stato del territorio italiano. Rischio sismico e edifici industriali», presentato ieri a Roma nella sede nazionale dei costruttori. I dati fotografano come l`esplosione della spesa per interventi post-calamità: dal 2010 a oggi si contano 20,5 miliardi, considerando i 13,3 miliardi per il terremoto in Emilia Romagna. Nonostante ciò, lo stato del patrimonio edilizio e del territorio rimane largamente a rischio. Basta pensare che tra gli edifici esposti a un elevato rischio sismico ci sono 24.073 scuole e 1.822 ospedali. Oltre a ben 95.044 capannoni industriali. «Negli ultimi 20 anni – ha attaccato il presidente dei costruttori Paolo Buzzetti – il territorio è stato lasciato in uno stato di incuria eccezionale. Invece, la prima infrastruttura del Paese è la manutenzione diretta alla prevenzione del pericolo sismico e idrogeologico». Inutile opporre l`alibi delle risorse. «Un falso problema – è la risposta – c`erano 2 miliardi al ministero dell`Ambiente ma sono stati destinati ad altro». Su questo punto Buzzetti inaugura un`inedita alleanza con le categorie professionali (architetti e geologi) e Legambiente. «La priorità è politica – dice -. E per questo serve una provocazione politica: per avere i nostri voti al centro della prossima campagna elettorale ci deve essere un piano keynesiano per la manutenzione del territorio: per salvare vite umane e per creare sviluppo e occupazione».
Buzzetti incassa in diretta l`apertura del ministro dell`Ambiente Corrado Clini, che rilancia l`idea di bonus fiscali per gli interventi di prevenzione del rischio, coinvolgendo l`Ance nello studio degli effetti economici di una misura di defiscalizzazione. «Stiamo discutendo con la Ragioneria di un`ipotesi di credito di imposta per questo tipo di interventi – ha detto il ministro-. E’ necessario far capire che l`impatto sui conti non va considerato solo nell`anno di concessione del bonus, ma spalmato per tutto il ciclo economico dell`intervento finanziato». Clini ricorda anche che 870 milioni recuperati dal vecchio «piano Prestigiacomo» sono stati destinati alle Regioni, con effetti non proprio soddisfacenti. Da una parte, ha sottolineato «abbiamo assistito a una distribuzione di fondi a pioggia, tra migliaia di piccoli interventi legati a logiche di mandato elettorale». Dall`altra «abbiamo dovuto prendere atto di una capacità di realizzazione molto bassa, con il rischio che i fondi finiscano per non essere utilizzati».
Per il viceministro alle Infrastrutture Mario Ciaccia la soluzione potrebbe essere quella di applicare agli interventi sul territorio la logica del piano città: «con una cabina di regia da insediare al ministero dell`Ambiente» cui affidare «il compito di selezionare, sulla base di criteri predefiniti, i progetti di intervento presentati dai Comuni». Un`idea su cui si innesta anche la proposta degli architetti. Identificare con i Comuni zone di disagio territoriale e sociale su cui innestare piani di rigenerazione capaci di integrare risanamento sismico e idrogeologico, efficienza energetica, ciclo dei rifiuti e
qualità architettonica degli edifici. «Le politiche (e gli incentivi) settoriali – chiude il presidente degli architetti Leopoldo Freyrie -: non bastano più».