Con la legge 7 agosto 2012, n. 135 è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 recante “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” (cosiddetta Spending Review 2).
Come già anticipato nella
news ANCE del 21 settembre scorso, tra le modifiche introdotte dalla Legge vi sono alcune interessanti disposizioni in materia di appalti pubblici di lavori.
Si tratta, anzitutto, dell’articolo 1, comma 2 del provvedimento, che introduce un’importante principio riguardante la partecipazione alle gare da parte delle piccole e medie imprese.
Infatti, viene aggiunto un ulteriore inciso nell’ambito del comma 1-bis dell’articolo 2 del codice dei pubblici contratti, che precisa che “I criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese”.
La previsione va valutata senz’altro positivamente. Essa, infatti, è finalizzata a tutelare l’accesso al mercato dei pubblici appalti da parte della piccola e media imprenditoria, obbligando le amministrazioni appaltanti a stabilire criteri di partecipazione non penalizzanti per gli operatori economici di più ridotte dimensioni.
Da un punto di vista letterale, la norma fa riferimento ai “criteri di partecipazione alle gare”. Tale dizione risulta particolarmente ampia e, pertanto, sembra prestarsi ad una interpretazione di tipo estensivo, che rende possibile il riferimento sia ai requisiti di qualificazione, funzionali alla selezione dei concorrenti, sia ai criteri di aggiudicazione, funzionali alla selezione delle offerte nel caso del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’ampiezza del dettato normativo si rivela particolarmente positiva, considerato che i bandi di gara possono contenere previsioni potenzialmente penalizzanti per le piccole e medie imprese sotto entrambi i profili.
Ora, per quanto riguarda i requisiti di qualificazione, va ricordato che nel settore dei lavori pubblici l’attestazione SOA è condizione necessaria e sufficiente per la partecipazione alle gare. Pertanto, in tale ambito, l’indicazione della norma sulla richiesta di criteri non discriminatori costituisce, anzitutto, enunciazione di un principio generale al quale deve sempre ispirarsi l’azione ammnistrativa. Essa, inoltre, assume una valenza più significativa se letta in correlazione con un altro importante principio in materia, introdotto nell’ambito del comma 1-bis dell’art. 2 del codice appalti dal decreto “Salva Italia” (Dl n. 201/2011).
Si tratta, in particolare, della previsione relativa all’obbligo per le amministrazioni di suddividere gli appalti in lotti funzionali, ogni qual volta ciò sia possibile ed economicamente conveniente.
Le due disposizioni, infatti, sembrano rispondere alla medesima ratio, consistente nella volontà di favorire la piccola e media imprenditoria, contrastando la tendenza al gigantismo degli appalti e la conseguente richiesta di requisiti qualificatori elevati, che in passato hanno sovente caratterizzato il mercato dei lavori pubblici.
La suddivisione dei contratti in lotti funzionali ed il correlato contenimento dei requisiti di accesso alle gare costituiscono, quindi, misure di forte sostegno alle piccole e medie imprese, al fine di tutelarne concretamente lo sviluppo, la crescita e le possibilità di accesso al mercato dei pubblici appalti.
Per quanto riguarda, invece, il profilo dei criteri di valutazione dell’offerta, in caso di offerta economicamente più vantaggiosa, l’indicazione della norma sembra potersi interpretare nel senso che nei bandi di gara non possono prevedersi modalità di individuazione della migliore offerta discriminatorie o penalizzanti per le piccole e medie imprese.
Altra importante previsione è contenuta, poi, nell’articolo 1, comma 2-bis del provvedimento, alle lettere c) e d), che introduce due importanti precisazioni in tema di garanzie.
In particolare, le due lettere richiamate precisano che, nel caso di procedure di gara gestite in forma aggregata da centrali di committenza, l’importo delle cauzioni provvisoria e definitiva va fissato, nel bando o nell’invito, nella misura massima, rispettivamente, del 2% del prezzo base e del 10% dell’importo contrattuale.
La previsione ha, dunque, uno specifico ambito di applicazione oggettiva, rappresentato dalle ipotesi in cui più gare siano gestite in forma aggregata da parte di una centrale di committenza. Al riguardo si ricorda che, in ambito regionale, sono già operative le cd. S.U.A. (Stazioni Uniche appaltanti), disciplinate dall’art. 13 della Legge 136/2010 e dal DPCM 30 giugno 2011. Inoltre, a partire da aprile 2013, inizieranno ad operare anche le centrali di committenza istituite da Unioni o Consorzi di piccoli Comuni (art. 33, comma 3-bis codice appalti).
La previsione in commento non risulta di immediata lettura, non essendone chiarissimo il dettato letterale. Tuttavia, secondo una prima interpretazione, sembra possibile ritenere che l’intento del legislatore sia stato quello consentire una limitazione delle garanzie nei casi in cui, per effetto della gestione in forma aggregata delle gare, l’importo del contratto risulti particolarmente elevato.
In altri termini, poiché la norma stabilisce che le percentuali del 2% (per la cauzione provvisoria) e del 10% (per la cauzione definitiva) devono costituire misure massime, sembrerebbe derivarne la possibilità per le centrali di committenza di scendere al di sotto di tali limiti, modulando in senso riduttivo l’importo delle garanzie in funzione dell’importo posto a base di gara ovvero dell’importo di aggiudicazione.
Se è questa l’interpretazione che verrà a consolidarsi, la norma va valutata positivamente, trattandosi di una previsione che, senza pregiudicare le garanzie previste a tutela dell’Amministrazione, consente di ridurre i costi a carico delle imprese, favorendo un’ampia partecipazione alle gare anche nei casi di procedure di importo più elevato.