[La Stampa – 15/06/2013 – di Francesco Spini]
I costruttori: le novità sono utili ma senza fondi pubblici non si riparte
Buzzetti (Ance): ogni miliardo investito nel settore edile ne mette in moto 3,3
Bene la semplificazione per l’edilizia residenziale, bene soprattutto l’intervento che rende più facile – in assenza di altri particolari vincoli architettonici o paesaggistici – compiere ristrutturazioni radicali rispettando le volumetrie ma senza più il vincolo della sagoma, finora intoccabile. «Quest’ultimo in particolare sarebbe un intervento molto importante, un passaggio verso la modernità, con una normativa finalmente in linea con quanto avviene negli altri Paesi europei: potrebbe cominciare il processo di riqualificazione delle nostre città», spiega Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance.
Forse col pacchetto-semplificazione saremmo più moderni, non fuori dall’emergenza, però. All’associazione che riunisce i costruttori edili dicono che per dare una vera scossa al settore ci vorrebbe dell’altro, guardando a investimenti pubblici e sblocco dei mutui alle famiglie. Sportello unico, fine del silenzio-rifiuto in caso di vincoli, agibilità light («un meccanismo in cui si può gradualmente chiedere agibilità su parti dell’edificio, e questo in un momento di crisi come questo dà un aiuto»), proroga di due anni dei permessi a costruire non bastano.
Il settore dal 2008 ha visto i volumi sgonfiarsi del 30%, perdere – incluso l’indotto – 550 mila lavoratori. Se poi scendiamo nei sottosettori delle nuove abitazioni e dei lavori pubblici il tracollo è stato anche superiore al 50%. «L’insieme delle norme che stanno in campo – ragiona Buzzetti – potrebbe sicuramente dare un aiuto. Ma per fare ripartire servirebbe un botta di denari pubblici attraverso le opere pubbliche. E occorre che le banche tornino a concedere credito, anche attraverso le tante proposte che da tempo andiamo facendo, come l’utilizzo dei covered bond. Senza un’iniezione di risorse, le norme che apportano semplificazione aiutano, sono valide per il futuro, ma non sono del tutto risolutive».
Comunque il provvedimento del governo è molto atteso: «Prendiamo la proroga dei termini di inizio e fine lavori e della durata delle convenzioni: con la crisi gli imprenditori non cominciano i lavori e in attesa della ripresa del mercato, i titoli scadono. La possibilità di avere delle proroghe è fondamentale».
C’è poi chi, come Luigi Filippini, ordinario di economia politica all’Università Cattolica di Milano che spesso si è occupato del settore immobiliare, dubita delle regole proposte dal governo. «Cambiamenti di sagoma, attestazioni di agibilità light e così via: andrei piano col permettere tutto questo». Avverte: «Il rischio è quello di imbattersi in ristrutturazioni ad alto impatto sul paesaggio, con possibili scempi da evitare». Tesi che, ovviamente, i costruttori respingono in pieno.
Ma l’economista vedrebbe meglio altre soluzioni. Preferirebbe, ad esempio, «che si puntasse sul social housing, in cui privati, attraverso progetti supportati dalle amministrazioni pubbliche, ristrutturano e riqualificano immobili, in parte da vendere o affittare a prezzi calmierati. Il finanziamento? Attraverso strumenti come covered bond bancari e con l’utilizzo di fondi regionali a garanzia».
Anche secondo l’Ance il social housing è una carta da giocare. «Ci vorrebbe un grande piano – dice Buzzetti – che manca da almeno 30 anni», coi meccanismi delineati dal piano-casa del 2008 che faticano ad andare a regime. Serve la scossa, secondo i costruttori: «Siamo tornati ai livelli di compravendite di metà Anni 80, solo di tasse in un anno ci sono state minori entrate per un miliardo di euro». Secondo i costruttori ne vale la pena: assicurano che per ogni miliardo investito se ne mettono in moto 3,3, con 17 mila nuovi posti di lavoro.