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La Commissione Lavoro, al termine dell’indagine a cui ha partecipato anche l’ANCE, ha evidenziato, tra l’altro, la necessità di valutare una semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti e rilevato che l’apprendistato resta tuttora uno strumento sottoutilizzato.

Archivio, Governo e Parlamento

Indagine conoscitiva sull’emergenza occupazionale: approvato il Documento conclusivo alla Camera

18 Ottobre 2013
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La Commissione Lavoro della Camera dei Deputati ha approvato il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l’emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile.
 
Nel Documento della Commissione, dopo essere stati evidenziati gli obiettivi dell’indagine ed i principali elementi emersi dal ciclo delle audizioni svolte a cui ha partecipato anche l’ANCE (si veda, al riguardo, la notizia di Interventi Ance del 17 settembre 2013), vengono illustrate le relative conclusioni e proposte della Commissione.
Al riguardo, viene innanzitutto evidenziato che la crisi occupazionale nel nostro Paese ha dei caratteri peculiari. Dal confronto con gli altri Paesi europei emerge infatti che in Italia il rischio di rimanere disoccupati è molto più alto per i giovani (sino a 4 volte) rispetto alle altre classi di età. Inoltre, “gli «scoraggiati» (ossia coloro che non sono classificati tra i disoccupati in quanto hanno abbandonato la ricerca attiva di un impiego) sono – caso unico in Europa – più numerosi (2,9 milioni) rispetto ai disoccupati (2,7 milioni)”.
Viene rilevato, altresì, che l’emergenza occupazionale si lega soprattutto a una carenza di domanda di lavoro, in calo costante dall’avvio della crisi e che “se non si rilanciano i consumi, non si aumenta il potere di acquisto dei lavoratori e non si adottano misure anti-recessive, è impossibile che le aziende aumentino i livelli produttivi e, quindi, il quadro occupazionale”.
 
In merito all’apprendistato, viene evidenziato come tale tipo di contratto “resta marginale e ancora non rappresenta lo strumento privilegiato di accesso al lavoro per i giovani”. Tale strumento resta “sottoutilizzato rispetto alle sue potenzialità, legate ai benefici economici e normativi previsti dal decreto legislativo n. 167 del 2011 e dalla legge di riforma del mercato del lavoro”. Inoltre, il ricorso all’apprendistato da parte dei datori di lavoro trova la sua motivazione principale nei benefici normativi citati, mentre la formazione in azienda, in un’ottica di investimento individuale finalizzato all’assunzione stabile, continua a rappresentare un elemento marginale. 
Nel documento viene, altresì, rilevato come nel definire la disciplina di altre fattispecie contrattuali e incentivi all’assunzione e stabilizzazione di giovani, occorre prestare particolare attenzione per evitare sovrapposizioni e che “talune norme contenute nel decreto-legge n. 76 del 2013 rischiano di «cannibalizzare» il contratto di apprendistato, riducendone la convenienza relativa rispetto ad altre forme contrattuali oggetto di nuovi e più ampi benefici”. Così come è necessario evitare la tendenza “all’eccessivo sbilanciamento del contratto di apprendistato sul lato del lavoro, che rischia inevitabilmente di penalizzare i veri e propri profili formativi, che sarebbero invece alla base di tale tipologia contrattuale”.
 
Co riferimento al tema del taglio del cuneo fiscale o alla concessione di incentivi per le nuove assunzioni, viene evidenziata l’importanza di “capire in che misura si debba incidere sul differenziale delle aziende, sicuramente in grado di produrre una riduzione della pressione contributiva sulle imprese, e in che misura sul fronte della diminuzione del carico contributivo delle famiglie e, dunque, sulle retribuzioni effettive dei lavoratori”.
 
Per quanto concerne il monitoraggio dell’attuazione della L.92/2012 (legge Fornero), viene sottolineato che dai dati dell’ISFOL emerge una “significativa riduzione dei contratti a tempo indeterminato (più sensibili all’andamento economico), a fronte di un incremento dei contratti a termine (soprattutto di breve durata e, quindi, senza causale), per effetto del travaso da altre forme contrattuali flessibili e parasubordinate.(per le quali il legislatore ha introdotto correttivi volti a contenerne l’uso incongruo). Ad avviso della Commissione, comunque, la  riforma, pur modificando la composizione delle forme contrattuali, non ha aiutato a rafforzare, nel suo complesso, il mercato del lavoro in un periodo di crisi. In merito vengono, altresì, evidenziati positivamente i correttivi apportati alla L.92/2012 dal DL 76/2013 (“Primi interventi urgenti per la promozione dell’occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonche’ in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti”, convertito dalla L.99/2013), citando, in particolare, riguardo ai contratti a termine, la riduzione dei periodi di sospensione tra successivi contratti.
Sui contratti a termine viene, altresì, evidenziato che “occorre chiedersi se il protrarsi della crisi occupazionale possa giustificare (fermo restando il quadro di garanzie delineato a livello comunitario) un momentaneo «allentamento» dei vincoli normativi che tuttora caratterizzano l’istituto”. Al riguardo la Commissione ha colto posizioni divergenti a seconda dei soggetti auditi: “per alcuni, infatti, si potrebbe agire, in particolare, sul requisito dell’acausalità (in sostanza muovendo nella direzione indicata dalla grande maggioranza delle associazioni datoriali e da una parte, sicuramente più delimitata, del mondo sindacale); per altri, invece, occorre mantenere fermi i vigenti vincoli, anche temporali, di causalità, che rappresenterebbero una garanzia irrinunciabile per i lavoratori (in tal senso, la parte ampiamente maggioritaria delle organizzazioni sindacali)”.
Ad avviso della Commissione, peraltro, in linea generale, “occorre valutare, alla luce dei numerosi interventi normativi che si sono stratificati negli ultimi anni, anche l’ipotesi di una semplificazione delle tipologie contrattuali esistenti”.
 
Nel documento viene, infine, rilevata la necessità dell’avvio di una complessiva riflessione sul lavoro autonomo e sulle cosiddette false partite IVA, evidenziando, al riguardo, che  se il contrasto a tale fenomeno passa anche attraverso la conversione dei rapporti di lavoro e, quindi, attraverso aliquote contributive più alte, “l’aggravio contributivo per i veri lavoratori autonomi non iscritti a ordini professionali (con il passaggio dal 27 per cento al 28 per cento dell’aliquota contributiva da versare alla gestione separata INPS nel 2014) appare ingiustamente penalizzante e andrebbe «congelato»”.
 
Si vedano precedenti del 17 giugno, del 10 luglio 2013 e del 16 settembre 2013.
 
 
In allegato il Documento conclusivo approvato dalla Commissione.

13386-Indagine conoscitiva sull’emergenza occupazionale.pdfApri
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