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«Serve al più presto uno stock di case a disposizione di ogni sindaco: per agganciare i primi segnali di ripresa e rispondere a una domanda che, altrimenti, rischia di rimanere inevasa». Lo ha dichiarato il presidente dell’Ance Paolo Buzzetti in un’intervista

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Buzzetti: dal recupero degli edifici pubblici dismessi la risposta all’emergenza casa

4 Dicembre 2013
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[Corriere della sera – SetteGreen – 04/12/2013 – di Maria Egizia Fiaschetti]

 
Le proposte – Il presidente dell’Ance Paolo Buzzetti
«Gli edifici pubblici dismessi servano all’housing sociale»
Boom di sfratti e clausole proibitive dei mutui aggravano l’emergenza casa.
«Ogni sindaco ne abbia a disposizione uno stock al più presto»
 
Cresce la fame di casa: da capitale (anche simbolico) irrinunciabile per le famiglie a bene sempre più volatile. Lo confermano gli ultimi dati diffusi dall’Ance-Associazione nazionale costruttori edili: in Italia, solo il 4 per cento degli immobili rientra in piani di housing sociale, a fronte di una richiesta di oltre 650 mila alloggi. Non solo. Nel quinquennio 2007-2012, gli sfratti sono aumentati del 54,5 per cento: l’anno scorso, i provvedimenti sono stati 67.790, di cui quasi il 90 per cento per morosità.
Paolo Buzzetti, presidente Ance, la crisi sta erodendo anche uno del pilastri più solidi della società Italiana?
«L’emergenza casa sta aumentando per la perdita di reddito e di lavoro. Nel 2007, una coppia under 35 con un reddito di 2.500 euro al mese, in tre anni riusciva a coprire la quota fissa del prestito per l’acquisto di un immobile da 170 mila euro. A parità di condizioni, oggi, ne servono otto, quasi il triplo del tempo».
Colpa della recessione, la stessa che costringe a vivere con i genitori, a volte anche fino a quarant’anni?
«Il problema sono anche i mutui: prima coprivano l’80 per cento del prezzo dell’immobile, adesso solo il 50. Bisogna riportarli a tassi ragionevoli e a clausole meno proibitive. L’accordo siglato dalla Cassa depositi e prestiti con l’Abi, che ha messo a disposizione delle banche oltre due miliardi per i mutui, va in questa direzione».
Nell’ultimo decreto sulle Politiche abitative, l’esecutivo ha varato un pacchetto di misure a sostegno degli affitti e per agevolare l’accesso al credito.
«Ottima iniziativa, ma i 40 milioni del Fondo per la morosità incolpevole sono insufficienti,
servirebbero miliardi».
L’Ance denuncia da tempo l’inerzia dei governi negli ultimi 15 anni, ma quali sono le vostre proposte?
«Serve al più presto uno stock di case a disposizione di ogni sindaco: per agganciare i primi segnali di ripresa e rispondere a una domanda che, altrimenti, rischia di rimanere inevasa».
Quando si parla di edilizia sociale non si può non pensare a opere di cementificazione selvaggia, spesso a scopo speculativo, che in passato hanno deturpato il paesaggio e impoverito la qualità della vita delle persone.
«il nostro punto fermo è zero consumo dl territorio: recuperare gli edifici pubblici dismessi e adibirli a housing sociale. I piani di zona del comuni, tra l’altro, prevedono la possibilità di cambi di destinazione d’uso e di completamenti».
Rimane l’incognita delle risorse: come finanziare questi interventi?
«I privati, a condizioni fiscali favorevoli, potrebbero riservare una quota ad alloggi popolari».
A proposito di tasse, come la mettiamo con l’Imu?
«Basta incertezze. Se dopo le voci contrastanti che si sono rincorse in questi mesi, per i prossimi tre anni sapessimo quanto versare all’Erario, e se a dircelo fossero i Comuni, sarebbe un ottimo passo in avanti».
Veniamo al nervo scoperto dell’edilizia sociale: la trasparenza sui requisiti e nelle graduatorie per l’assegnazione degli immobili.
«Negli ultimi anni è saltato il meccanismo di controllo. Serve una normativa nazionale ma, sul territorio, sono i sindaci a dover vigilare sul rispetto delle regole».
Come arginare favoritismi e clientele?
«I vizi ci sono, in Italia i cambiamenti non sono mai stati radicali, è uno Stato da 150 anni, ma le riforme non sono più rinviabili: per prima cosa, bisogna rilanciare l’occupazione».
Dopo aver assicurato a quei 650mila un tetto sulla testa, chi garantirà la manutenzione? Spesso, gli alloggi popolari sono fatiscenti o non rispettano i requisiti minimi di sicurezza.
«Serve una cabina di regia, tra pubblico e privato, che assicuri una manutenzione continua».
L’housing sociale, oltre che per il mercato immobiliare e il mondo del lavoro, può essere un’opportunità per le nostre città?
«In tutti i periodi di crisi, la ripresa è iniziata proprio dall’edilizia: dobbiamo cogliere la rivoluzione tecnologica per fare uno scatto, pur rimanendo in linea con la nostra tradizione».
Immagina una svolta sul modello nord-europeo?
«Non penso a case uguali a quelle di Copenaghen, ma dobbiamo migliorare sul fronte della sostenibilità e del risparmio energetico: nel 2007, solo il 21 per cento delle nuove costruzioni era di classe A o B, oggi è il 60 per cento».
Edilizia popolare vuol dire anche spazi comuni di aggregazione…
«Da un sondaggio che abbiamo commissionato al Censis, è emerso il fortissimo bisogno delle persone di piazze e luoghi di ritrovo nel quartieri. La chiave, come succede nel Regno Unito, è la partecipazione: inviare i moduli agli abitanti, raccogliere le loro osservazioni e, trovata la quadra, partire».
E se i cittadini, al posto di un parcheggio multiplano finanziato dall’impresa privata, volessero un giardino?
«L’importante è mettersi d’accordo prima. In Gran Bretagna, una volta che il progetto è stato approvato, non può cambiarlo nemmeno la regina».
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