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La disciplina dell’esercizio dei poteri inibitori e sanzionatori della SCIA rientra tra i principi fondamentali della materia del “governo del territorio”. Lo afferma La Corte Costituzionale nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della normativa della Toscana

Archivio, Edilizia e territorio

SCIA: la Corte Costituzionale sui poteri inibitori

11 Marzo 2016
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Nell’ambito della normativa della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), costituisce principio fondamentale della materia del “governo del territorio” anche la disciplina relativa alle condizioni e modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione qualora siano decorsi i termini previsti dalla legge per l’assunzione dei relativi poteri inibitori e sanzionatori.
E’ quanto ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza del 9 marzo 2016, n. 49 con cui è stata dichiarata illegittimità costituzionale dell’articolo 84bis, comma 2, lettera b) della legge della Regione Toscana del 3 gennaio 2005, n. 1 che dettava una diversa disciplina rispetto a quella statale in merito all’esercizio dei poteri inibitori e sanzionatori della SCIA.
La Corte, basandosi su un consolidato orientamento della giurisprudenza che fa rientrare i titoli abilitativi tra i principi fondamentali nell’ambito della materia concorrente del “governo del territorio” (Corte Cost. n. 259/ 2014, n. 139 e n. 102 del 2013, n. 303/ 2003), afferma che lo stesso principio deve applicarsi con riguardo anche alla denuncia di inizio attività (DIA) o alla segnalazione certificata di inizio attività  (SCIA) le quali rientrano tra gli atti  legittimanti il privato ad effettuare gli interventi edilizi. Ne consegue, pertanto, che anche le condizioni e le modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione,  debbono considerarsi parte integrante del titolo abilitativo  costituendo il necessario completamento della relativa disciplina.
La norma della legge regionale della Toscana oggetto di censura, che è stata comunque già abrogata dalla successiva legge regionale (LR 64/2014), prevedeva per la SCIA la possibilità per la pubblica amministrazione di intervenire con i poteri inibitori e sanzionatori oltre il termine di 30 giorni anche “in caso di difformità dell’intervento dalle norme urbanistiche o dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, degli atti di governo del territorio o dei regolamenti edilizi”.
La normativa statale, vigente all’epoca dei fatti,  stabiliva che l’amministrazione deve accertare l’eventuale carenza dei requisiti e dei presupposti entro il termine di sessanta giorni dal ricevimento della SCIA (trenta giorni in caso di edilizia) (art. 19, comma 3 e 6-bis della Legge 241/90 testo vigente prima delle modifiche apportate dalla Legge 124/2015).La scadenza di tale termine, come sottolineato dalla Corte, costituisce “un evento decadenziale che preclude l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti, salvo che le dichiarazioni sostitutive attestanti fatti, qualità e stati personali posti alla base della SCIA si rivelino, successivamente false o mendaci, oppure nel caso in cui l’attività intrapresa in assenza dei requisiti e dei presupposti di legge metta in pericolo il patrimonio artistico e culturale, l’ambiente, la salute, la sicurezza pubblica o la difesa nazionale. Qualora tali ipotesi non sussistano, l’Amministrazione non perde ogni possibilità di intervento tardivo, ma il relativo potere non potrà essere correlato alla semplice verifica dell’ assenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per l’esercizio delle attività, ma alle valutazioni di opportunità e al bilanciamento degli interessi di cui agli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241 del 1990 ovvero al potere di annullamento e revoca.
Nel caso di specie, invece, l’amministrazione comunale in applicazione della normativa regionale, aveva dichiarato l’inefficacia di una SCIA oltre il termine dei 30 giorni senza tener conto della sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela.
La Corte Costituzionale con la decisione in commento ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma regionale affermando che siccome anche la disciplina relativa alle condizioni e modalità di esercizio dell’intervento della pubblica amministrazione rientra tra i principi fondamentali della materia del “governo del territorio” spetta alla regione di adottare una normativa di dettaglio. Il rapporto tra normativa di  principio e normativa di dettaglio deve essere inteso nel senso “che l’una è volta a prescrivere criteri ed obiettivi, mentre all’altra spetta l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi”. La legge regionale, invece, secondo la Corte non aveva adottato una normativa di dettaglio ma introdotto una normativa sostitutiva dei principi fondamentali dettati dal legislatore statale.
La Corte, inoltre, ha evidenziato il fatto che seppur la norma oggetto di censura fosse stata già abrogata, tale questione non assumeva alcun rilievo in quanto il giudizio di costituzionalità deve essere sempre valutato secondo il principio tempus regit actum. Sulla base dello stesso principio, si è affermato, che non assumono rilievo neanche le modifiche apportate alla disciplina della SCIA dalla legge 124/2015 (Riforma delle pubbliche amministrazioni ).
Sul punto si ricorda che attualmente, a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge 124/2015, la disciplina della SCIA prevista all’articolo 19, commi 3 e 4 è stata modificata. La nuova procedura prevede che:
– in caso di carenza dei presupposti e dei requisiti necessari per iniziare l’attività entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza la pubblica amministrazione può intervenire adottando motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi salvo il caso in cui sia possibile conformare l’attività intrapresa alla normativa vigente. In tal caso l’amministrazione, con atto motivato, invita il privato a provvedere, prescrivendone le misure necessarie, entro il termine non inferiore a 30 giorni. Nel frattempo l’attività rimane sospesa. In caso di mancata adozione delle relative misure prescritte, decorso tale ultimo termine, l’attività si intende vietata;
–  decorsi i 30 giorni l’amministrazione può sempre adottare i provvedimenti inibitori e ripristinatori se sussistono le condizioni di legge previste per l’annullamento d’ufficio ossia se:
           – sussistono ragioni di interesse pubblico;
           – sono stati contemperati gli interessi coinvolti;
           – si sia tenuto conto della valutazione degli interessi dei destinatari e dei controinteressati;
           – non siano trascorsi 18 mesi “dall’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici”.
In pratica per la SCIA/DIA non è più possibile adottare atti in via di autotutela (andando cosi a risolvere un problema interpretativo dell’annullamento di un atto non avente natura provvedimentale come la SCIA/DIA), ma decorsi i 30 giorni potranno essere adottati i provvedimenti inibitori e ripristinatori solo se sussistono interessi ulteriori rispetto a quello della mera legalità. Tali provvedimenti non potranno mai superare i 18 mesi. Dopo, pertanto,  18 mesi l’amministrazione non ha nessun potere di intervenire salvo i casi in cui una sentenza passata in giudicato abbia accertato delle condotte costituenti reato e che abbiano prodotto un falso presupposto del provvedimento assunto.
 
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale del 9 marzo 2016, n. 49

 

24020-Allegato Sentenza Corte Cost. 9.3.16 n. 49.pdfApri
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