Con la sentenza del 5 aprile 2016, n. 68 la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale promossa dalla Regione Veneto in riferimento all’art. 17, comma 1, lettera g) del Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 133 convertito in Legge 11 novembre 2014, n. 164 (cd. Sblocca Cantieri) che al punto 3) e 3bis) ha introdotto nel DPR 380/2001 (art. 16, comma 4, lettera d-ter e comma 4bis) un criterio per la determinazione del maggior valore generato da operazioni di trasformazione urbanistica ed edilizia in variante, in deroga o con mutamento d’uso (cd. contributo straordinario).
Si ricorda che ai sensi del nuovo articolo 16, comma 4, lettera d-ter) e comma 4bis), del DPR 380/2001 si è espressamente previsto che nella definizione delle tabelle parametriche gli oneri di urbanizzazione sono determinati anche in relazione “alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d’uso. Tale maggior valore, calcolato dall’amministrazione comunale, viene suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata e da quest’ultima versato al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l’interesse pubblico vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l’intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche. Sono fatte salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali con riferimento a quanto previsto dal secondo periodo della lettera d ter) del comma 4”.
La norma introduce a livello statale un istituto che era già presente in alcuni prassi locali nonché era stato anche oggetto di alcune controversie giurisprudenziali come nel caso del PRG del Comune di Roma (poi, per quest’ultima, successivamente legittimata con una norma statale dal DL 78/2010, convertito in legge 122/2010) ossia quello del versamento di un contributo “aggiuntivo” nel caso di aumento del valore di immobili/aree per effetto di varianti urbanistiche, deroghe o cambi di destinazione d’uso.
La Regione Veneto nel ricorso proposto avanti la Corte Costituzionale ha impugnato la suddetta disposizione contestandone la legittimità sotto molteplici profili (violazione degli articoli 3, 23, 117, 3 e 4 comma, 118, 119, 120 Cost) ed in particolare:
– il contributo straordinario viene determinato autoritativamente, senza possibilità di contrattazione da parte del privato, assegnando ai Comuni un’ampia discrezionalità nell’individuazione della percentuale da ripartire in contrasto con la competenza concorrente regionale in materia di governo del territorio. La norma, da un lato, si configura quale principio fondamentale in materia di urbanistica, dall’altro fa “salve le diverse disposizioni delle legislazioni regionali e degli strumenti urbanistici generali comunali”. Si tratta di un principio fondamentale con una struttura del tutto irragionevole poichè lo scopo di questo dovrebbe essere quello di garantire l’uniformità su tutto il territorio nazionale mentre in questo caso lo stesso è “cedevole” anche nei confronti di atti amministrativi ovvero degli strumenti urbanistici generali comunali;
– la norma è contraria al principio di ragionevolezza in quanto afferma che il contributo straordinario attesta l’interesse pubblico sovrapponendo lo stesso allo specifico “interesse pubblico urbanistico” con possibili compromissioni sul piano ambientale, paesaggistico ed idrogeologico;
La Corte Costituzionale, con la sentenza in esame, ha respinto le censure sollevate dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 17, comma 1 lettera g) in quanto:
– la contestata discrezionalità assegnata alle amministrazioni locali nel determinare la quota di plusvalenza da suddividere tra la stessa e la parte privata non incide sulle competenze legislative regionali dato che nulla impedisce alle Regioni di introdurre, eventualmente, specifiche regole che modulino l’attribuzione della stessa in termini percentuali ritenuti coerenti con le realtà locali;
– gli interessi urbanistici non sono compromessi dalle vicende relative alla corresponsione del contributo in quanto la norma non fornisce prescrizioni cogenti né indicative del rischio paventato e la Regione è comunque libera di assumere proprie determinazioni “di dettaglio”.
In merito alla violazione di altri parametri la Corte ha, infine, rilevato l’assenza di un concreto e attuale interesse a ricorrere in considerazione della previsione della norma che fa “salve le diverse discipline regionali” e, come tale, non lede la relativa competenza legislativa.
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale del 5 aprile 2016, n. 68
24274-Sent. Corte Cost. n. 68 del 5 aprile 2016.pdfApri