Si è svolta il 5 c.m. l’audizione informale dell’ANCE presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati nell’ambito del ciclo auditivo deliberato sui contenuti del disegno di legge di conversione del DL 124/2019 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” (DDL 2220/C).
Il Dott. Marco Dettori, Vice Presidente Economico-fiscale-tributario, che ha guidato la delegazione associativa, si è soffermato sui profili di maggiore criticità del testo. Al riguardo, in particolare, ha sottolineato come desti particolare preoccupazione ed allarme la misura in base alla quale, in tutti i casi in cui un committente affidi a un’impresa l’esecuzione di un’opera, il versamento delle ritenute fiscali per i lavoratori impiegati in quell’appalto venga effettuato direttamente dal committente stesso, a cui l’appaltatore o subappaltatore deve anticipare le somme.
La disposizione esclude, poi, la possibilità, per le medesime imprese appaltatrici/subappaltatrici, di versare i contributi previdenziali, assistenziali ed i premi assicurativi per i dipendenti impiegati nell’esecuzione della commessa, mediante la compensazione con propri crediti fiscali.
La misura, pur rispondendo al condivisibile obiettivo di combattere l’evasione, finalità da sempre perseguita dall’ANCE, si traduce in uno strumento che, ancora una volta, mette a rischio il già fragile equilibrio finanziario delle imprese.
Si tratta, infatti, di un meccanismo che comporta un ulteriore aggravio burocratico e un pesante drenaggio di risorse ai danni delle imprese e che va in senso contrario al principio di “compliance” tra fisco e contribuenti, con caratteristiche opposte a quelle necessarie ad un reale processo di semplificazione amministrativa, basata sul reciproco affidamento.
Problema reso più evidente dalla tipicità dell’attività edilizia, che spesso vede le imprese impegnare i propri lavoratori in più appalti nel corso dello stesso mese o, addirittura, dello stesso giorno (ad esempio, nell’ipotesi di imprese che hanno più appalti di manutenzione ordinaria, per i quali accade frequentemente che un operaio venga chiamato ad effettuare interventi diversi nell’arco della medesima giornata).
Anche per i committenti, soprattutto quelli pubblici notoriamente meno preparati ad accogliere nuovi adempimenti, la disposizione comporterà notevoli appesantimenti burocratici connessi, non solo al versamento effettivo delle ritenute fiscali, ma anche alla gestione amministrativa dei diversi accrediti sui vari conti correnti dedicati ai singoli contratti.
Secondo stime ANCE la disposizione determinerà, per le imprese operanti nel settore delle costruzioni, un maggior costo di circa 250 milioni di euro all’anno, a fronte di un recupero di evasione atteso da tutti i settori produttivi, di circa 127 milioni di euro l’anno. Un importo enorme, che appare quindi del tutto ingiustificato e che si aggiungerà ad una situazione già fortemente compromessa dall’operatività di meccanismi quali lo split payment, che drena alle imprese circa 2,4 miliardi di liquidità e i ritardati pagamenti dei corrispettivi contrattuali da parte delle pubbliche Amministrazioni, che incidono per ulteriori 8 miliardi.
La misura, quindi, incide pesantemente sul settore, creando disparità di trattamento a danno delle imprese di costruzione che vantano ingenti crediti fiscali, soprattutto connessi all’IVA, che non riusciranno più ad utilizzare e, tra l’altro, si pone in netto contrasto con le tutte le misure agevolative attribuite nella forma di credito d’imposta, il cui utilizzo viene così fortemente compromesso. Prima di introdurre simili meccanismi si dovrebbe valutarne esattamente l’impatto sul mondo produttivo. E’ un’analisi costi/benefici che andrebbe condotta perentoriamente per qualsiasi misura si intenda adottare e non solo quando si vogliono introdurre agevolazioni fiscali.
E’ pertanto necessario un ritiro della misura iniqua e dannosa che, così come formulata, punisce anche gli operatori sani del settore, mettendone a rischio la sopravvivenza.
Il Vice Presidente si è, quindi, soffermato su un’altra criticità tipica del settore, relativa al sistema di deducibilità IRES degli interessi passivi, che all’art.35 del testo viene affrontata solo relativamente ai finanziamenti contratti dalle società di progetto per la realizzazione di progetti infrastrutturali pubblici a lungo termine. La disposizione, pertanto, non incide sui soggetti già rientranti nelle eccezioni alla deducibilità degli interessi passivi, per i quali, quindi, è ammessa la deducibilità integrale degli oneri finanziari (anziché quella “generale” ammessa entro l’ammontare pari al 30% del ROL – Risultato Operativo Lordo). Tali modifiche non risolvono le criticità relative alle regole di deducibilità degli interessi passivi relativi a finanziamenti inerenti ai “beni merce” delle imprese edili, per le quali sono state introdotte limitazioni per effetto del D.Lgs. 142/2018 (con il quale il Governo ha recepito la Direttiva Europea “Antiabuso” n.2016/1164/UE -cd. Direttiva Atad).
Con effetto dal 2019, infatti, gli oneri passivi relativi ai “beni merce” delle imprese edili rientrano nel limite di deducibilità pari al 30% del Risultato Operativo Lordo di periodo (cd. ROL), a differenza di quanto stabilito dalla disciplina previgente che ne ammetteva, invece, la deducibilità integrale, quantomeno fino all’ultimazione del fabbricato, attraverso la loro capitalizzazione nel costo di costruzione/ristrutturazione.
Tale meccanismo complica notevolmente il calcolo degli oneri deducibili, costringendo le imprese ad estrapolare, dal valore di iscrizione contabile degli “immobili merce”, l’ammontare degli interessi passivi capitalizzati nel costo degli stessi, per assoggettarlo al limite di deducibilità pari al 30% del ROL unitamente agli altri oneri finanziari passivi, connessi, più in generale, all’esercizio dell’attività.
Le nuove regole, inoltre, si traducono in una forte penalizzazione per le imprese del settore delle costruzioni, per le quali il ricorso all’indebitamento costituisce un aspetto fisiologico dell’esercizio dell’attività.
I progetti immobiliari complessi, compresi quelli di recupero urbano sempre più centrali per l’intera collettività, richiedono difatti ingenti risorse economico-finanziarie per la loro implementazione, che vengono reperite con il ricorso al capitale di debito.
La limitazione alla deducibilità degli interessi passivi, pertanto, comporta una lievitazione dei costi dell’attività caratteristica delle imprese, già colpita da oneri fiscali elevati, che incidono pesantemente sulla liquidità, distogliendo importanti risorse finanziarie altrimenti investibili in nuovi progetti di sviluppo immobiliare.
E’, quindi, quanto mai opportuno ed urgente ripristinare il regime di deducibilità in vigore sino allo scorso anno. Ciò anche alla luce del fatto che la finalità della Direttiva UE 2016/1164, recepita con il D.Lgs. 142/2018, non è quella di aumentare gli oneri fiscali connessi all’ordinario svolgimento dell’attività d’impresa, quanto piuttosto quella assai diversa di scoraggiare quelle pratiche poste in essere da alcuni gruppi societari che, al fine di ridurre l’onere fiscale globale del gruppo stesso, ricorrono a finanziamenti “infragruppo” pagando, e deducendo, interessi eccessivi.
Sempre con riguardo alle norme del testo, ha rilevato, altresì, l’opportunità di un intervento in tema di compensazione dei crediti fiscali, per la quale viene introdotto un ulteriore inasprimento delle regole di utilizzo di quelli relativi alle imposte dirette.
Dal 1° gennaio 2020, infatti, non sarà più possibile utilizzare liberamente in compensazione i crediti derivanti dalle imposte sui redditi, superiori a 5.000 euro, ma sarà necessario attendere il decimo giorno successivo a quello della presentazione della dichiarazione annuale con l’apposizione obbligatoria del visto di conformità.
In pratica, tenuto conto che la dichiarazione dei redditi deve essere presentata entro il 30 novembre, la compensazione dei crediti fiscali potrà avvenire solo dal 10 dicembre dell’anno successivo e previa apposizione del visto di conformità sulla dichiarazione medesima.
Tutti questi vincoli rendono sempre più oneroso e difficile il recupero di quanto versato in eccesso dalle imprese, sia in termini di imposte sul reddito che dell’IVA.
Occorre quindi rivedere tutto l’impianto normativo che oggi regola il tema della compensazione dei crediti fiscali e, nel frattempo, sarebbe auspicabile quantomeno limitare l’operatività di tali vincoli (visto di conformità e il posticipo del termine di utilizzo effettivo dei crediti) ai crediti di ammontare superiore a 30.000 euro (anziché gli attuali 5.000 euro).
In tal modo, l’ammontare di crediti compensabili senza vincoli verrebbe uniformato al tetto massimo dei crediti IVA che possono essere chiesti a rimborso senza adempimenti (visto di conformità o, per alcuni soggetti ritenuti “non affidabili” la presentazione di apposita fideiussione).
Il dott. Dettori ha, infine, evidenziato come, a giudizio dell’ANCE, il provvedimento andrebbe integrato con misure ritenute “indifferibili ed urgenti” per risolvere alcune importanti criticità che gravano in particolar modo sul settore delle costruzioni. Si tratta, in particolare:
In allegato il Documento con il dettaglio della posizione ANCE sul provvedimento consegnato agli atti della Commissione.
Si veda precedente del 4 novembre.
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