E’ stato pubblicato dal Ministero del Lavoro, unitamente ad ISTAT, INPS, INAIL e ANPAL, il Rapporto annuale sul Mercato del Lavoro 2020, dal titolo “Il mercato del lavoro 2020: una lettura integrata”, volto a fornire una base empirica e analitica utile a favorire lo sviluppo del dibattito pubblico sul tema del lavoro, anche nell’attuale contesto emergenziale.
Il rapporto è suddiviso nei seguenti sette capitoli:
L’analisi del Rapporto ha, in primo luogo, evidenziato le conseguenze che l’attuale emergenza sanitaria e la conseguente sospensione delle attività di interi settori produttivi ha generato sul mercato del lavoro. In particolare, nel secondo trimestre 2020, si è assistito a un crollo dell’attività economica, seguito da un recupero nel terzo trimestre e da una nuova riduzione nel quarto trimestre dovuta all’aumento della diffusione dei contagi.
Nella media dei primi tre trimestri del 2020, secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro, gli occupati sono diminuiti di 470 mila unità (-2,0% rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente) tornando poco sopra ai livelli del 2016. Contestualmente è stato registrato un calo di 304 mila disoccupati e un deciso aumento di inattivi tra 15 e 64 anni (+621 mila). A ciò sono corrisposti diminuzioni del tasso di occupazione e di quello di disoccupazione (rispettivamente -1,0 e -0,9 punti percentuali in un anno) e un aumento del tasso di inattività (+1,8 punti).
Data la natura dei provvedimenti di sostegno alle imprese e ai lavoratori ( ammortizzatori sociali e divieto di licenziamento), gli effetti della crisi si sono manifestati più sulle ore lavorate che sull’occupazione. Il numero delle persone rimaste senza lavoro è stato comunque considerevole, soprattutto a seguito delle cessazioni dei contratti a termine non rinnovati e del venir meno di nuove assunzioni in un generalizzato clima di “sospensione” delle attività, inclusa quella della ricerca di lavoro.
Le categorie più colpite dall’emergenza sanitaria sono state, in particolare, le donne, i giovani e i stranieri.
Con riferimento al numero delle attivazioni dei nuovi rapporti di lavoro è stato rilevato che, nel 2020, proprio a causa della crisi dettata dall’emergenza sanitaria da Covid-19, il saldo medio è sceso a +61 mila nel primo trimestre, diventando negativo nel secondo trimestre (-47 mila) e di poco positivo nel terzo (+23 mila posizioni).
Anche con riferimento alle modalità di erogazione della prestazione lavorativa è stato evidenziato che l’attività lavorativa è stata resa, laddove possibile, da remoto (lavoro agile, telelavoro, altre modalità). Ciò ha concorso a creare una nuova segmentazione nel mercato del lavoro, distinguendo tra chi può lavorare da casa e chi, per la natura della prestazione, è strettamente legato al luogo di lavoro.
In tale contesto, gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono nettamente calati per il ridimensionamento dell’esposizione al rischio indotto dalla pandemia da nuovo coronavirus che ha ridimensionato l’esposizione al rischio di infortunio di molti lavoratori a seguito della sospensione di alcune attività lavorative e il rallentamento di altre, per le politiche di arginamento del contagio.
La pandemia ha creato una nuova generazione di infortuni, quelli da contagio da COVID-19, che hanno in parte compensato la riduzione delle complessive denunce tradizionali e, per l’importante letalità dell’evento, aggravato il numero degli infortuni mortali.
Con riferimento alle misure di sostegno al reddito e all’occupazione, adottate dalla legislazione emergenziale per fronteggiare le conseguenze della pandemia, uno specifico approfondimento è dedicato alla cassa integrazione con causale “Covid-19” (CIGO, CIGD, ASO), che viene definita “la misura regina per rilevanza qualiquantitativa”.
I dati esaminati nel rapporto si riferiscono all’effettivo utilizzo dei trattamenti di integrazione salariale, come comunicati all’INPS dalle imprese attraverso il flusso di dati amministrativi, e risentono quindi della tempistica delle relative procedure. Pertanto, le elaborazioni presentate – sviluppate nel mese di dicembre 2020 – si limitano al periodo marzo-settembre 2020, per il quale si dispone di dati ritenuti sostanzialmente esaustivi.
Tra marzo e settembre 2020 sono stati più di 6 milioni (6,1) i lavoratori che hanno avuto almeno un trattamento di cassa integrazione, con un numero medio di ore integrate pari a 263. Il picco di lavoratori sospesi è stato registrato nel mese di aprile: 5,3 milioni con una media pro capite di 108 ore integrate. A settembre, termine del periodo di osservazione, i lavoratori sospesi risultavano poco meno di un milione. Il numero medio mensile di ore integrate si è invece stabilizzato fin da giugno, attestandosi a 60-70.
Esaminando la dinamica mensile dei flussi di entrata[1] e di uscita dalla condizione di sospensione, si rileva che per quasi tutti i dipendenti che sono stati sospesi con la causale Covid-19 l’esordio in tale stato è avvenuto tra marzo (4,2 milioni) e aprile (1,4 milioni). Successivamente il numero di nuovi sospesi si è ridotto a valori molto modesti (26 mila in settembre). Tuttavia, il tasso di entrata negli ultimi due mesi (agosto-settembre) ha mostrato una netta tendenza alla risalita, imputabile pertanto ai ritorni in Cig di lavoratori già sospesi nei mesi precedenti; inoltre, a settembre anche il tasso di uscita risulta in flessione: queste due inversioni di tendenza restituiscono il “segnale” del mutamento congiunturale che sarà avvertito più intensamente nel corso del quarto trimestre 2020.
Assai elevata risulta la variabilità del ricorso alle sospensioni per settore. In termini di ore integrate per cassintegrato, al primo posto si colloca l’alloggio-ristorazione con 341 ore, mentre all’ultimo posto viene il comparto delle utilities con 169 ore. Relativamente basso anche il numero medio di ore integrate nei settori meccanico (231) e altre manifatturiere (221). Anche per incidenza sul totale dei dipendenti è ancora il comparto dell’alloggio-ristorazione a distinguersi, con circa il 70% dei dipendenti che risultano beneficiari di Cig. In altri comparti invece, come i trasporti e i servizi alle imprese, la quota di cassintegrati oscilla attorno al 30-35%. Il livello minimo è, anche per questo indicatore, quello delle utilities (15%).
Per quanto riguarda specificamente il settore delle costruzioni, nel periodo considerato (marzo-settembre 2020) sono stati destinatari di almeno un trattamento di integrazione salariale 516.000 lavoratori (corrispondenti all’8,5% del totale dei lavoratori interessati dagli ammortizzatori), con un numero medio di ore integrate pari a 281 (9,1% del monte ore integrate). Molto elevata risulta l’incidenza dei lavoratori beneficiari di cassa integrazione sul totale dei dipendenti del settore (760.000), pari al 67,9%.
Per quanto non riportato nella presente, si rinvia al Rapporto allegato.
[1] Sono identificati come “entrati” i dipendenti sospesi che non erano in tale condizione nel mese precedente a quello di osservazione (sia che si tratti di “esordienti” sospesi per la prima volta che di “rientri”) e come “usciti” i dipendenti che risultavano sospesi nel mese precedente e non lo sono più nel mese di osservazione.
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