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L’INPS fornisce chiarimenti sui criteri di calcolo per la determinazione dell’importo del ticket di licenziamento

Inps, Inail e ammortizzatori sociali, Lavoro, welfare e sicurezza

INPS – Contributo di licenziamento – Chiarimenti su determinazione importo – Circ. n. 137/21

23 Settembre 2021
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  • Inps, Inail e ammortizzatori sociali
  • Lavoro, welfare e sicurezza
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Con la circolare n. 137 del 17 settembre 2021, l’INPS fornisce chiarimenti in merito alla determinazione dell’importo del c.d. ticket di licenziamento.

 

I criteri di calcolo del contributo di licenziamento sono stabiliti dall’art. 2 co. 31 della legge n. 92/2012[1]:

 

“31. Nei casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASpI [oggi NASpI], intervenuti a decorrere dal 1° gennaio 2013, è dovuta, a carico del datore di lavoro, una somma pari al 41 per cento del massimale mensile di ASpI [oggi NASpI] per ogni dodici mesi di anzianità aziendale negli ultimi tre anni. Nel computo dell’anzianità aziendale sono compresi i periodi di lavoro con contratto diverso da quello a tempo indeterminato, se il rapporto è proseguito senza soluzione di continuità o se comunque si è dato luogo alla restituzione di cui al comma 30.”

 

La misura del contributo di licenziamento è scollegata dall’importo della prestazione di disoccupazione eventualmente spettante al lavoratore ed è identica sia in caso di lavoro a tempo pieno che a tempo parziale.

 

Per determinare esattamente l’importo dovuto, si deve preliminarmente determinare l’anzianità lavorativa del dipendente cessato. Il contributo deve essere, infatti, calcolato in proporzione ai mesi di anzianità aziendale, maturati dal lavoratore nel limite massimo di 36 mesi. Dal momento che l’importo dovuto è pari al 41% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di durata del rapporto di lavoro (negli ultimi 3 anni), per i periodi di lavoro inferiori all’anno il contributo va riproporzionato al numero dei mesi di durata del rapporto di lavoro.

 

A tal fine, si applicano i criteri di calcolo già illustrati dall’INPS nel paragrafo 3.1 della circolare n. 40 del 19 marzo 2020[2], che si riportano di seguito:

 

  • deve essere computato come mese intero quello in cui la prestazione lavorativa si sia protratta per almeno 15 giorni; in proposito, l’Istituto ha precisato che i mesi di lavoro diversi dal primo e dall’ultimo devono essere considerati mesi interi, indipendentemente dal numero di giornate lavorate, fermo restando che nel computo dell’anzianità aziendale non vanno considerati eventuali periodi di congedo di cui all’art. 42 co. 5 del D. Lgs. n. 151/2001, né eventuali periodi di aspettativa non retribuita.

 

  • Oltre ai periodi di lavoro a tempo indeterminato, sono considerati periodi utili anche quelli in cui il lavoratore sia stato assunto alle dipendenze dello stesso datore con contratto a termine, qualora il datore di lavoro abbia beneficiato della restituzione del contributo addizionale (ossia in caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato senza soluzione di continuità ovvero in caso di assunzione del lavoratore con contratto a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine).[3]

 

  • Nell’ipotesi in cui il lavoratore sia passato alle dipendenze del datore di lavoro in seguito a trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. o cessione del contratto ex art. 1406 c.c., l’anzianità aziendale deve essere stabilita considerando anche il rapporto intercorso con l’azienda cedente.[4]

 

Nella circolare qui illustrata, l’INPS riporta alcuni esempi di calcolo, differenziati in base all’anzianità aziendale del lavoratore al momento della cessazione del rapporto di lavoro:

 

  • anzianità di 12 mesi: il ticket di licenziamento è pari al 41% del massimale Aspi/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro;

 

  • anzianità di 6 mesi: il ticket di licenziamento è pari a 6/12 del 41% del massimale Aspi/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro;

 

  • anzianità di 28 mesi: il ticket di licenziamento è pari al 41% del massimale Aspi/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro moltiplicato per 2 + 4/12 del 41% del massimale Aspi/NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto di lavoro.

 

 

Nel caso di licenziamento collettivo, per ciascun dipendente cessato si devono considerare, oltre ai criteri di calcolo di cui sopra, anche le ulteriori previsioni di legge:

 

  • a decorrere dal 1° gennaio 2017, qualora la dichiarazione di eccedenza del personale di cui  all’art. 4 co. 9 della legge n. 223/1991 non abbia formato oggetto di accordo sindacale, l’importo del contributo di licenziamento è moltiplicato per 3 volte[5];

 

  • inoltre, dal 1° gennaio 2018, per ciascun licenziamento effettuato nell’ambito di un licenziamento collettivo da parte di un datore di lavoro rientrante nel campo di applicazione della CIGS[6], l’aliquota di calcolo del ticket di licenziamento è pari all’82% (anziché al 41%).[7]

 

Come precisato dall’Istituto nella citata circolare n. 40/2020, da quanto sopra consegue che per ogni interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intervenuta a decorrere dal 1° gennaio 2018 nell’ambito di un licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza del personale non abbia formato oggetto di accordo sindacale, da parte di un datore di lavoro tenuto alla contribuzione per il finanziamento dell’integrazione salariale straordinaria (CIGS), il ticket di licenziamento, pari all’82% del massimale mensile NASpI, è moltiplicato per tre volte.

 

Nella circolare qui illustrata, l’INPS riporta ulteriori esempi di calcolo del ticket di licenziamento, relativi all’ipotesi di licenziamento collettivo:

 

  • Azienda non rientrante nell’ambito di applicazione della CIGS:

 

  • licenziamento collettivo con accordo sindacale:

per ciascun lavoratore cessato, il contributo dovuto è pari al 41% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni;

 

  • licenziamento collettivo senza accordo sindacale:

per ciascun lavoratore cessato, il contributo dovuto è pari al 41% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, moltiplicato per 3.

 

  • Azienda rientrante nell’ambito di applicazione della CIGS:

 

  • licenziamento collettivo con accordo sindacale:

per ciascun lavoratore cessato, il contributo dovuto è pari all’82% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni;

 

  • licenziamento collettivo senza accordo sindacale:

per ciascun lavoratore cessato, il contributo dovuto è pari all’82% del massimale NASpI dell’anno in cui è cessato il rapporto per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni, moltiplicato per 3.

 

 

L’INPS fornisce, inoltre, un chiarimento sul criterio di calcolo del ticket di licenziamento nel caso di cessazione del rapporto di lavoro, durante il periodo di vigenza del c.d. blocco dei licenziamenti previsto dalla legislazione emergenziale, per adesione del lavoratore all’accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.[8] Per questa specifica fattispecie, il contributo è dovuto nella misura pari al 41% del massimale mensile NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale del lavoratore negli ultimi 3 anni, anche qualora si verifichi la contestuale risoluzione di più rapporti di lavoro di dipendenti che aderiscono al citato accordo.

 

 

L’Istituto chiarisce, altresì, che la base di calcolo per determinare la misura del ticket di licenziamento è il massimale di ASpI (oggi NASpI).

 

Pertanto, antecedentemente all’istituzione della NASpI, ossia fino al 30 aprile 2015, la misura del contributo è stata determinata tenendo conto del massimale ASpI, il quale era individuato annualmente ai sensi di quanto disposto dall’art. 2 co. 7 della legge n. 92/2012.[9]

 

A decorrere dal 1° maggio 2015 (data di istituzione della NASpI), l’importo del relativo massimale è invece determinato da una diversa disposizione di legge, ossia l’art. 4 co. 1 e 2 del d. lgs. n. 22/2015. [10]

 

L’INPS ricorda che il massimale dell’indennità di disoccupazione (ASpI/NASpI) è annualmente determinato e comunicato dall’Istituto stesso con apposita circolare.[11]

 

Nella circolare qui illustrata, l’INPS riporta la seguente tabella riassuntiva degli importi annui del massimale di cui sopra, sulla base dei quali calcolare il ticket di licenziamento:

 

Anno

Circolare INPS

Retribuzione imponibile

Massimale

2013 (ASpI)

14/2013

1.180,00

1.152,90

2014 (ASpI)

12/2014

1.192,98

1.165,58

2015 (ASpI)

19/2015

1.195,37

1.167,91

2015 (NASpI)

94/2015

1.195,00

1.300,00

2016 (NASpI)

48/2016

1.195,00

1.300,00

2017 (NASpI)

36/2017

1.195,00

1.300,00

2018 (NASpI)

19/2018

1.208,15

1.314,30

2019 (NASpI)

5/2019

1.221,44

1.328,76

2020 (NASpI)

20/2020

1.227,55

1.335,40

2021 (NASpI)

7/2021

1.227,55

1.335,40

 

 

L’INPS segnala, infine, che da controlli recenti sulle proprie banche dati è emerso che, nel corso degli anni, la modalità di calcolo del ticket di licenziamento non sempre è stata effettuata in conformità alle disposizioni di legge sopra richiamate, non essendo stata correttamente valorizzata la base di calcolo del contributo, pari all’importo del massimale ASpI/NASpI.

 

Nello specifico, alcune aziende hanno versato importi maggiori di quelli dovuti nei casi di interruzioni di rapporto di lavoro a tempo indeterminato avvenute nel periodo di vigenza dell’ASpI. Invece, per le interruzioni avvenute dal 1° maggio 2015 (data di istituzione della NASpI), il contributo versato dalle aziende risulta in taluni casi di importo inferiore a quello dovuto.

 

Per quanto sopra, l’INPS preannuncia che, con apposito successivo messaggio, fornirà le indicazioni operative per la regolarizzazione dei periodi di paga scaduti alla data di pubblicazione della circolare in commento.

 

 

 


[1] Come modificato dall’art. 1 co. 250 lett. f) della legge n. 228/2012.

[2] Cfr. comunicazione Ance del 25 marzo 2020.

[3] Art. 2 co. 30 della legge n. 92/2012.

[4] Tipo cessazione “2T” sulla matricola di provenienza e Tipo assunzione “2T” sulla matricola del successivo datore di lavoro.

[5] Art. 2 co. 35 della legge n. 92/2012.

[6] Art. 20 del d. lgs. n. 148/2015.

[7] Art. 1 co. 137 della legge n. 205/2017. L’INPS ricorda l’esclusione  dall’innalzamento dell’aliquota per i licenziamenti collettivi la cui procedura fosse stata avviata entro il 20 ottobre 2017, ancorché le interruzioni del rapporto di lavoro fossero avvenute in data successiva al 1° gennaio 2018.

[8] Art. 14 co. 3 del D.L. n. 104/2020, convertito con modificazioni dalla legge n. 126/2020, e successivi. Sull’obbligo di versamento del ticket di licenziamento, cfr. comunicazione Ance dell’8 febbraio 2021.

[9] Art. 2 co. 7 della legge n. 92/2012:

“7. L’indennità mensile è rapportata alla retribuzione mensile ed è pari al 75 per cento nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore nel 2013 all’importo di 1.180 euro mensili, annualmente rivalutato sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente; nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore al predetto importo l’indennità è pari al 75 per cento del predetto importo incrementata di una somma pari al 25 per cento del differenziale tra la retribuzione mensile e il predetto importo. L’indennità mensile non può in ogni caso superare l’importo mensile massimo di cui all’articolo unico, secondo comma, lettera b), della legge 13 agosto 1980, n. 427, e successive modificazioni.”

[10] Art. 4 co. 1 e 2 del d. lgs. n. 22/2015:

“1. La NASpI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33.

 

2. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1.195 euro, rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente, la NASpI è pari al 75 per cento della retribuzione mensile. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia superiore al predetto importo l’indennità è pari al 75 per cento del predetto importo incrementato di una somma pari al 25 per cento della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo. La NASpI non può in ogni caso superare nel 2015 l’importo mensile massimo di 1.300 euro, rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati intercorsa nell’anno precedente.”

 

[11] Per l’anno 2021, cfr. comunicazione Ance del 27 gennaio 2021.

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