Si è svolta il 7 novembre l’audizione dell’ANCE presso le Commissioni Bilancio di Camera e Senato, in seduta congiunta, sul disegno di legge di Bilancio 2024 (DDL 926/S recante “Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026”).
La Presidente Federica Brancaccio, che ha guidato la delegazione associativa, ha evidenziato, in apertura, che la manovra di finanza pubblica per il triennio 2024-2026 si inserisce in un contesto molto incerto che vede l’economia italiana perdere slancio, a partire dalla scorsa primavera, dopo un inizio d’anno caratterizzato da un’ulteriore variazione positiva del PIL al di sopra delle attese (+2% nel primo trimestre su base annua) e quasi doppia rispetto alla crescita rilevata per la media dell’area euro (+1,1%).
A conferma di ciò, la stima preliminare dell’Istat indica che l’economia italiana rimane stabile nel terzo trimestre, interrompendo una crescita che durava da dieci trimestri consecutivi.
Tale rallentamento è dovuto alla dinamica sottotono dei consumi e ad una stazionarietà degli investimenti. Questi ultimi, in particolare, sono stati frenati dai continui rialzi dei tassi di interesse operati dalla BCE in reazione all’aumento dei prezzi a consumo, risultando in contrazione a causa della scarsità del credito e del suo elevato costo.
Alla luce di questo scenario, caratterizzato da una crescente incertezza, le più recenti stime ISTAT, indicano un aumento del PIL nel 2023 del +0,7% su base annua.
Il settore delle costruzioni, nel biennio 2021-2022, ha giocato un ruolo decisivo per la crescita del Paese, contribuendo per circa un terzo alla crescita del Pil. Le stime formulate dall’Ance per gli anni considerati, infatti, indicano tassi di incremento del settore pari, rispettivamente, a +26,7% e +17,6% su base annua.
A tale dinamica positiva hanno certamente contribuito il Superbonus 110% e la possibilità della cessione del credito o dello sconto in fattura per lo stesso Superbonus, così come per i bonus ordinari. Tutto ciò ha permesso al comparto del recupero abitativo di continuare ad avere un ruolo decisivo come driver di sviluppo per il settore e di volano di crescita per l’intera economia, grazie alla rapidità nella trasmissione dei suoi effetti economici.
Le prospettive per il settore delle costruzioni, per il 2023 e per i prossimi anni, vanno valutate con cautela. Le modifiche intervenute sul Superbonus, che ne hanno determinato il depotenziamento (da un’aliquota del 110% si passerà a una del 70% nel 2024) e soprattutto il venir meno della possibilità di cedere il credito o di optare per lo sconto in fattura, avranno sicuramente un effetto negativo sui livelli produttivi del comparto della manutenzione.
A ciò si aggiungano i ritardi nell’attuazione del PNRR, confermati nella recente NADEF che ha previsto una rimodulazione del profilo temporale della spesa finanziata dal Piano con una revisione al ribasso nel 2023 e nel 2024 e una conseguente maggiore concentrazione della stessa negli anni 2025-2026. Ulteriori incertezze sono dovute all’esito della proposta di rimodulazione del Piano europeo che il Governo ha presentato ad inizio agosto alla Commissione Europea e al peggioramento del contesto economico generale con una inflazione ancora elevata, tassi di interesse in aumento e incertezze geopolitiche, riconducibili al conflitto in Ucraina e alle tensioni in Medio Oriente.
Nel contesto economico descritto, al fine di continuare a sostenere l’economia, occorre mantenere alta l’attenzione su misure in grado di rilanciare la crescita con effetti duraturi sul PIL.
Una possibile soluzione alla carenza di risorse pubbliche da destinare a misure per la crescita potrebbe essere quella di impiegare le risorse provenienti dal sensibile aumento della tassazione sugli immobili che, nella manovra in commento, appare ingiustificatamente punitiva.
Dalla Relazione Tecnica al DDL, emerge, infatti, un consistente aumento del prelievo fiscale dal settore immobiliare, quantificato in termini di effetti di gettito, e, quindi 1,9 miliardi di euro. Risorse che avrebbero potuto finanziare interventi di sviluppo, sfruttando l’ampia leva che gli investimenti possono offrire alla creazione di ricchezza.
Sotto il profilo fiscale, ed in particolare in tema di Superbonus, il Disegno di Legge di Bilancio non affronta le 2 principali criticità legate all’agevolazione, ossia la necessità di una limitata proroga per i lavori condominiali in corso, colpiti da numerosi rallentamenti, e lo sblocco dei crediti incagliati.
Invece, il DdL interviene nuovamente sulla disciplina dei bonus fiscali in edilizia con delle misure che rivelano un’ostilità ingiustificata nei confronti dei contribuenti e delle imprese che ne hanno fruito.
Una di queste è l’aumento dall’8% all’11% della ritenuta a titolo di acconto operata dalle Banche e da Poste sui bonifici di pagamento delle spese agevolabili con i bonus edilizi. La disposizione interessa tutti i benefici fiscali, non solo il 110%, e andrà ad incidere sulla liquidità delle imprese, anticipando l’effetto di cassa delle imposte sui redditi che le stesse devono versare all’erario.
Quindi, oltre a non risolvere il problema dei crediti incagliati, si incide ulteriormente sull’equilibrio finanziario delle imprese che eseguono gli interventi di recupero e di riqualificazione.
Se la ratio della ritenuta sui bonifici fosse poi quella di garantire la tassazione dei proventi relativi all’esecuzione dei lavori, sarebbe sufficiente l’aliquota dello 0,1%. Quindi anziché aumentarla sarebbe stato opportuno addirittura una sua riduzione, considerando l’8% già una misura elevata.
Altra norma critica deriva dall’introduzione della nuova forma di tassazione delle plusvalenze connesse alla vendita di immobili oggetto di interventi agevolati con il Superbonus, che avvenga entro dieci anni dalla fine dei lavori.
Si tratta di una nuova imposizione a carico dei fruitori del Superbonus, per altro declinata, nel suo ammontare, in maniera differente a seconda che il cedente abbia o meno optato, nell’utilizzo del 110%, per le cosiddette modalità alternative di fruizione.
Questo tipo di disposizioni non ha molto a che vedere con la rigenerazione urbana, né con gli obiettivi green fissati dall’Europa, perché in qualche modo tali norme vanno ad ostacolare la circolazione di immobili “performanti”.
Per altro, queste posizioni male si conciliano anche con i criteri fissati dalla delega fiscale laddove, anche nell’ottica della tax expenditures, la legge 111/2023 prevede, tra i principi guida di riforma degli incentivi, la “tutela del bene casa” in funzione del miglioramento dell’efficienza energetica, della riduzione del rischio sismico, e della rifunzionalizzazione edilizia.
La manovra 2024, quindi, aumentando nel complesso il prelievo fiscale sugli immobili, non sembra andare nella direzione di un uso della leva fiscale come strumento di sviluppo e indirizzo delle operazioni immobiliari, verso l’obiettivo della rigenerazione urbana. L’Europa ci spinge in una direzione e il Governo adotta provvedimenti che sembrano andare nella direzione opposta.
Si auspica, quindi, che, sulla base di quanto già disposto normativamente, le maggiori entrate che deriveranno dall’attuazione di dette misure (1,9 miliardi di euro) siano quantomeno destinate alla riduzione della pressione fiscale sulla casa e servano a finanziare incentivi utili alla rigenerazione urbana delle nostre città, e non riservate ad altri obiettivi, pur di interesse generale.
In primis, quindi, va trovato spazio per garantire il compimento di quei progetti di riqualificazione dei condomini agevolati dal Superbonus in dirittura d’arrivo e che, per effetto delle continue modifiche normative, hanno subito rallentamenti involontari e rischiano oggi di non ultimare i lavori in tempo utile.
Per questi, è necessario ammettere una proroga semestrale, a condizione di aver eseguito, a fine anno, una congrua percentuale di lavori (30% o 60). Per limitare l’impatto sul gettito per gli esercizi successivi al 2023, si potrebbe ulteriormente prevedere l’obbligo di emissione di un SAL “straordinario”, sempre entro dicembre 2023, relativo a tutto l’intervento eseguito in concreto entro la stessa data.
Sempre in tema di rigenerazione urbana, si ritiene poi necessario che nel DdL di Bilancio 2024 trovi spazio la proroga biennale della detrazione IRPEF pari al 50% dell’IVA pagata sull’acquisto di abitazioni in classe A e B cedute dalle imprese costruttrici, che è in scadenza a fine anno. Questa misura, infatti, risponde ad un duplice obiettivo: incentiva la domanda di abitazioni di nuova generazione, e supera uno dei principali paradossi dell’attuale prelievo fiscale che sembra penalizzare chi investe nel prodotto nuovo di qualità e premiare invece chi compra un prodotto immobiliare con caratteristiche costruttive ed energetiche completamente da rinnovare.
Occorre ripristinare, quantomeno fino a tutto il 2025, gli incentivi alla valorizzazione edilizia introdotti nel 2019 e in vigore sino a fine 2021 che, detassando l’acquisto (con imposta di registro e ipo-catastali in misura fissa) degli immobili da rigenerare in chiave energetica da parte degli operatori specializzati per la successiva vendita, hanno avuto un ruolo chiave nei processi di recupero urbano.
Infine, si segnala la mancata proroga, nel testo del disegno di legge, delle agevolazioni fiscali connesse all’acquisto della prima casa per i giovani under 36 (esenzione dall’imposta di registro o credito d’imposta pari all’IVA), in scadenza al prossimo 31 dicembre 2023, a fronte della proroga, invece, della disposizione riguardante la garanzia sui mutui a favore dei medesimi soggetti.
Tra le misure per il sostegno del mercato dei lavori pubblici, particolare apprezzamento va espresso per l’articolo 57 del provvedimento, con il quale viene prorogato ai lavori eseguiti o contabilizzati nel corso di tutto il 2024, lo speciale meccanismo di aggiornamento dei prezzi previsto dall’articolo 26 del DL “Aiuti”. Con tale scelta il legislatore ha dimostrato di comprendere l’importanza della misura, per garantire il regolare svolgimento dei lavori in corso di esecuzione, confermando il meccanismo attuato nel 2023 che ha dimostrato di funzionare bene.
L’ANCE ha fortemente auspicato tale proroga in quanto, nonostante segnali di rallentamento, i prezzi dei principali materiali da costruzione continuano a rimanere su livelli ancora molto elevati. Basti considerare che realizzare oggi un intervento stradale in Italia vuol dire spendere il 48% in più rispetto a 5 anni fa.
La situazione è ancora preoccupante e fonte di gravi distorsioni per il settore delle costruzioni. Le imprese, quindi, necessitano di un sostegno adeguato, al fine di scongiurare il rischio che, a causa del forte squilibrio economico subito, possano verificarsi, proprio malgrado, rallentamenti nella regolare esecuzione dei contratti.
Sotto il profilo della copertura finanziaria, i fondi aggiuntivi previsti, pari a 300 milioni tra il 2024 e il 2025, appaiono, però, insufficienti a garantire la regolare prosecuzione dei lavori in corso. L’auspicio è che nella Legge di bilancio sia possibile trovare lo spazio per ulteriori risorse da destinare a tale finalità, anche al fine di dare sostegno alle opere del PNRR in corso di realizzazione, per le quali occorre mantenere alta l’attenzione al fine di rispettare i tempi previsti dal Piano europeo.
Ciò premesso, sarebbe opportuno che la disposizione apportasse, altresì, alcuni importanti chiarimenti sulle modalità attuative del meccanismo di aggiornamento dei prezzi; ciò al fine di evitare prassi ed interpretazioni eterogenee da parte delle committenti, foriere di potenziale contenzioso con le imprese appaltatrici.
In tal senso, sarebbe opportuno, anzitutto, chiarire che, in nessun caso, il meccanismo di aggiornamento dei prezzi può comportare pagamenti in riduzione rispetto ai prezzi contrattuali. Non si è, infatti, in presenza di un sistema revisionale che produce la modifica dei prezzi contrattuali, ma di un meccanismo di sostegno alle imprese, finalizzato a riconoscere le maggiori somme derivanti dagli straordinari rincari in atto. Pertanto, i prezzi contrattuali devono rappresentare sempre il limite al di sotto del quale non possono scendere i pagamenti dei SAL.
Infine, sarebbe opportuno chiarire, al comma 6-bis, che il lasso temporale compreso tra il 1° gennaio 2022 e il 30 giugno 2023, contemplato dalla norma per individuare le offerte alle quali è applicabile l’aggiornamento, comprende anche il periodo di pubblicazione del bando di gara, e non solo quello di presentazione dell’offerta. Ciò per evitare possibili disparità di trattamento.
In materia di investimenti pubblici per le infrastrutture, dopo anni di manovre ampiamente espansive, l’impostazione del DDL di bilancio 2024-2026 appare più prudente con misure di sostegno certamente valide negli obiettivi, ma molto limitate dal punto di vista delle risorse stanziate, ad eccezione dei cospicui finanziamenti previsti per il Ponte sullo Stretto di Messina (11.630 milioni tra il 2024 e il 2038).
L’articolato del disegno di Legge dispone, infatti, nuovi stanziamenti per circa 13,3 miliardi di euro nel periodo 2024-2038, di cui 4,1 miliardi per il triennio 2024-2026. Gli stanziamenti triennali risultano destinati per oltre 3/4 alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. Tale quota raggiunge l’87% dei fondi stanziati se si considera la totalità degli stanziamenti pluriennali previsti fino al 2038.
Rispetto alla realizzazione di tale infrastruttura, l’Ance conferma il suo giudizio positivo sottolineando, tuttavia, la necessità di garantire, parallelamente alla realizzazione del Ponte, risorse adeguate a tutte le opere prioritarie e ordinarie di cui, soprattutto nel Mezzogiorno, vi è assoluta e urgente necessità, anche al fine di rafforzare e proseguire il processo di potenziamento infrastrutturale avviato con il PNRR L’utilità del collegamento tra Calabria e Sicilia, infatti, sarà massima solo se verranno realizzati quegli investimenti sulla rete trasportistica del Sud, ancora molto lontana dagli standard minimi presenti in altre regioni italiane, e quegli interventi diffusi sul territorio, che possano rendere veramente competitive quell’area del Paese.
Le scelte operate dal legislatore non sembrano andare in questa direzione: il finanziamento del Ponte sullo Stretto, di fatto, ha drenato gran parte delle risorse destinate dalla manovra alle infrastrutture.
Tra gli altri stanziamenti previsti per le infrastrutture, si segnalano, in particolare:
un Programma di mitigazione strutturale della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici, dotato di 285 milioni di euro, nel quinquennio 2024-2028. Tali risorse potranno contribuire ad avviare un processo di messa in sicurezza ma occorrerà prevedere ulteriori finanziamenti, da aggiungere alle risorse già disponibili a legislazione vigente, nonché a quelle europee e nazionali della coesione destinate alle stesse finalità, per mettere al sicuro il patrimonio immobiliare, molto vetusto e in pessime condizioni manutentive, localizzato in aree ad alta sismicità (zone 1, 2 e 3), che interessano l’81% della superficie nazionale e oltre il 77% dei comuni italiani;
risorse per investimenti di Regioni a statuto ordinario, da destinare a interventi in ambiti prioritari come la messa in sicurezza degli edifici e del territorio e la rigenerazione urbana. Le risorse previste, pari a 250 milioni di euro nel quinquennio 2024 – 2028 (50 milioni annui), appaiano abbondantemente sottodimensionate rispetto agli obiettivi;
Rifinanziamento di 300 milioni di euro del fondo per la progettazione degli enti locali, uno strumento di estrema importanza per garantire stabilità ad una politica infrastrutturale di lungo periodo.
Anche la sezione II del Disegno di legge, relativa a rifinanziamenti, riprogrammazioni e definanziamenti, interviene su numerosi capitoli di bilancio di interesse per il settore delle costruzioni.
In attesa di compiere gli approfondimenti necessari sulle tabelle del DdL, si segnalano, in particolare, il rifinanziamento del sisma per il Centro Italia per 1,5 miliardi di euro fino al 2030, e il definanziamento di 5 miliardi di euro, di cui 3 nel triennio 2024-2026, del Fondo per l’avvio delle opere indifferibili, oltre che numerose rimodulazioni che spostano in avanti gli stanziamenti a valere sul Fondo pluriennale degli investimenti pubblici.
Alle limitate misure di sostegno agli investimenti, si sommano alcune misure di spending review mirate al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti nella NADEF 2023, rivolte sia alle amministrazioni centrali sia a quelle territoriali, che con tagli indiscriminati alla spesa pubblica rischiano, come avvenuto in passato, di colpire la spesa più facilmente comprimibile, senza l’introduzione di alcun meccanismo di efficientamento della macchina pubblica.
Appare preoccupante in particolare, la scelta di tenere conto, nella definizione dei tagli da apportare agli enti locali, delle risorse PNRR assegnate. Tale condizione appare in contrasto con l’esigenza di disporre di risorse adeguate a garantire la gestione futura delle opere che verranno realizzate con il piano europeo.
Sotto il profilo del sostegno alle imprese, l’art. 55 del DDL relativo alle garanzie concesse dalla SACE S.p.A per sostenere investimenti in infrastrutture, risulta di fondamentale importanza per garantire la realizzazione delle opere previste dal PNRR, sebbene rimangano degli aspetti della norma che potrebbero creare degli ostacoli all’operatività di Sace. Inoltre, manca la proroga della norma contenuta nel DL 124/2022 “Mezzogiorno”, in scadenza a fine anno, che permette a Sace di farsi controgarantire.
Proprio per sostenere la liquidità necessaria in un contesto economico così complesso potrebbero essere inseriti nel testo anche altri strumenti, come la proroga al 30 giugno 2024 le Temporary Crisis Framework per un accesso più immediato al Fondo di Garanzia per le PMI e l’approvazione di norme che consentirebbero alle imprese classificate in sofferenza o UTP di stipulare un piano di rientro con gli istituti bancari, in modo da evitarne la cessione a fondi specializzati.
Si evidenzia altresì che all’art. 24 è stato inserito un obbligo assicurativo per rischi catastrofali a carico delle imprese che risultino iscritte nell’apposito registro.
La norma dovrebbe favorire un immediato ristoro per i danni direttamente cagionati dall’evento calamitoso a terreni, fabbricati; impianti macchinari e attrezzature di proprietà dell’impresa. Tuttavia, la norma presenta alcuni aspetti di dubbia chiarezza e finalità. Tra cui, in particolare, la possibilità che l’inadempimento dell’obbligo assicurativo possa essere valutato ai fini dell’assegnazione di contributi, comunque denominati diversi da quelli dovuti per la ricostruzione e alla esclusione generalizzata dell’obbligo assicurativo relativamente agli immobili abusivi o costruiti in carenza delle autorizzazioni previste.
La disposizione non indica tuttavia le modalità operative rimandando ad un decreto attuativo. Si nutrono forti perplessità sull’attuazione della norma specialmente nei territori caratterizzati da maggior rischio, dove i premi assicurativi potrebbero essere proibitivi e tradursi in un peso finanziario difficilmente gestibile.
Sotto il profilo ambientale, appare positiva la proroga dei termini in materia di trattamento e trasporto del materiale derivante dal crollo parziale o totale degli edifici e delle misure per incentivare il recupero dei rifiuti non pericolosi, prodotti a seguito del sisma del 2016. Al contempo, però, si rileva la costante e perdurante mancanza di qualsiasi previsione atta a favorire ed incentivare l’utilizzo e il reimpiego di materiali derivanti da processi di recupero al posto dei materiali vergini. Tali previsioni appaiono infatti assolutamente necessarie, anche coerentemente con quelle che sono le politiche direttrici di questo governo nelle quali rientra, tra le altre, proprio l’obiettivo di favorire l’economia circolare che ben si realizzerebbe mediante il reimpiego dei materiali recuperati.
Con riferimento alle disposizioni in materia di lavoro e previdenza, si valutano positivamente la misura di promozione del welfare aziendale, la proroga della riduzione dell’aliquota fiscale sui premi di risultato e l’esonero sui contributi a carico dipendente.
Si rileva, tuttavia, l’assenza di misure strutturali di riduzione del costo del lavoro per le imprese, sia di carattere generale che specifiche per il settore edile (ad esempio, in quest’ultimo caso, in materia di cassa integrazione ordinaria o di ripristino della riduzione contributiva per l’edilizia con riferimento ai premi Inail).
Si evidenzia, in particolare, che non viene prorogata, né tantomeno resa strutturale, la misura introdotta dall’art. 1 del DL n. 98/2023, c.d. Decreto emergenze climatiche, che, per il periodo dal 1° luglio al 31 dicembre 2023, estende anche alle imprese edili l’esclusione degli eventi oggettivamente non evitabili (es. eventi meteo) dal computo del limite massimo di durata della cassa integrazione ordinaria, come già previsto per gli altri settori produttivi e come richiesto da tempo dall’Ance. Peraltro, gli oneri derivanti da tale misura, stando a quanto indicato nello stesso art. 1 del citato DL n. 98/2023, che li valuta in 8,6 milioni di euro per l’anno 2023 (per una disposizione relativa al periodo dal 1° luglio al 31 dicembre), sarebbero relativamente contenuti (pari a 17,2 milioni di euro su base annua).
Pertanto, in assenza di correttivi, a decorrere dal 1° gennaio 2024 tornerà ad applicarsi la disciplina previgente, che determina un’ingiustificata disparità di trattamento per le imprese dell’edilizia, nonostante il fatto che queste ultime siano tenute a versare per gli operai un’aliquota contributiva CIGO notevolmente più elevata rispetto agli altri settori industriali (4,70% rispetto all’1,70%/2,00%).
Per il dettaglio delle osservazioni e proposte ANCE si veda il documento allegato consegnato agli atti delle Commissioni congiunte, per la pubblicazione sul sito web.
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