Si è svolta il 20 maggio scorso l’audizione ANCE presso la Commissione Bilancio del Senato sul DL 60/2024 recante ulteriori disposizioni urgenti in materia di politiche di coesione (DDL 1133/S).
Il Vicedirettore generale Ing. Romain Bocognani ha ricordato in premessa che il Decreto-legge 60/2024, cosiddetto DL Coesione, è stato approvato dal Governo in attuazione della nuova riforma introdotta con la revisione del PNRR, che prevede l’adozione entro il primo trimestre 2024 di una nuova disciplina finalizzata ad accelerare l’attuazione e l’efficienza della politica di coesione, in complementarità con il PNRR.
Tale esigenza risponde, inoltre, alle Raccomandazioni specifiche della Commissione Europea per l’Italia, approvate a luglio 2023, che hanno richiamato l’esigenza di “procedere alla rapida attuazione dei programmi della politica di coesione in stretta complementarità e sinergia con il piano per la ripresa e la resilienza”.
In considerazione dell’importante contributo che la politica per la coesione può apportare al Paese, attraverso il recupero dei divari territoriali, e delle difficoltà realizzative che continuano a caratterizzare l’attuazione di questi programmi di spesa, l’Ance non può che condividere gli obiettivi della riforma che intende utilizzare in modo coordinato e sinergico i fondi, nazionali ed europei, per la coesione e quelli del PNRR al fine di velocizzarne l’attuazione e migliorarne l’efficienza.
I dati sull’attuazione dei fondi strutturali continuano a restituire un quadro molto preoccupante. La programmazione 2014-2020, chiusa il 31 dicembre 2023, vede il livello della spesa attestarsi al 74% con riferimento al Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR) e al Fondo Sociale Europeo (FSE). Ciò equivale a dire che ci sono 16,6 miliardi di euro a rischio definanziamento.
Gli stessi dati, riferiti alla nuova programmazione 2021-2027, mostrano preoccupanti lentezze nell’attivazione dei programmi operativi nazionali e regionali. A fronte di una dotazione complessiva di circa 75 miliardi di euro, dopo circa tre anni dall’inizio del ciclo di programmazione, risultano spesi solo 544 milioni, pari allo 0,73% e impegnati circa 4,4 miliardi di euro, ovvero il 5,8% dei fondi disponibili.
Al fine di accelerare l’impiego di tali fondi, il decreto individua alcuni settori strategici, quali, le risorse idriche, il rischio idrogeologico, la protezione dell’ambiente, i rifiuti, i trasporti, la mobilità sostenibile, e l’energia oltre che il sostegno allo sviluppo e all’attrattività delle imprese. Per tali settori, le amministrazioni titolari dei programmi dei Fondi strutturali 2021-2027 devono individuare gli interventi prioritari in coordinamento con la programmazione attuata nell’ambito degli Accordi per la coesione del FSC e del PNRR e in coerenza con le previsioni del Piano strategico della Zes Unica e del Piano strategico nazionale delle aree interne.
L’impostazione della riforma appare condivisibile perché interviene su ambiti essenziali per i cittadini e le imprese che, soprattutto nelle aree del Mezzogiorno, versano ancora in condizioni di arretratezza, e su settori strategici, quali l’energia e il sostegno alle imprese, che possono concretamente aumentare la competitività e favorire le transizioni digitale e verde in atto.
Inoltre, l’individuazione di quei settori consente di dare effettiva attuazione agli strumenti di pianificazione richiesti dalle cosiddette “condizioni abilitanti” definite dal regolamento europeo sulla politica di coesione 2021-2027, che devono essere rispettate da tutte le Regioni che vogliano accedere ai finanziamenti europei.
Altrettanto condivisibile è la scelta del Governo di rafforzare il coordinamento tra i Programmi nazionali e regionali della politica di coesione 2021-2027 e la programmazione del Fondo Sviluppo e Coesione e del PNRR, nonché la coerenza con gli ulteriori documenti di orientamento previsti, quali il Piano strategico della Zes Unica e il Piano strategico nazionale delle aree interne.
I programmi di investimento interessati dalla misura sono cospicui (42 miliardi di euro di risorse europee e 32 miliardi di euro di risorse nazionali) e la loro corretta programmazione consentirà di definire un quadro pluriennale organico, fino alla fine del 2029, che potrà proseguire il processo di ammodernamento del Paese che il PNRR avrà avviato.
Un processo che vede nella componente infrastrutturale un elemento centrale, se si considera che una quota importante dei fondi per la coesione è destinata al superamento dei divari infrastrutturali e di servizio delle diverse aree del Paese.
Affinché la riforma disposta con il decreto possa concretamente contribuire ad accelerare l’attuazione della politica di coesione europea, è necessario che i 90 giorni previsti per l’individuazione degli interventi prioritari siano rispettati. Non sono ammissibili proroghe, se si vogliono recuperare i ritardi già evidenti per la programmazione 2021-2027.
Il decreto prevede inoltre un monitoraggio rafforzato, da parte delle amministrazioni titolari dei programmi, e un sistema di premialità in caso di rispetto dei cronoprogrammi previsti. Al contrario, in caso di ritardi, sono estesi alla politica di coesione le procedure previste per le opere del PNRR per l’esercizio dei poteri sostitutivi e nei casi di dissenso, diniego o opposizione.
Accanto a tali aspetti positivi, che qualificano un approccio del legislatore orientato al risultato, dal decreto emergono alcuni fattori critici.
In primo luogo, appare opportuno evidenziare il mancato coinvolgimento del partenariato economico e sociale che, in virtù delle proprie specificità e della loro capillare distribuzione sul territorio nazionale, possono dare un contributo sia nella selezione degli interventi prioritari sia nelle attività di monitoraggio e controllo.
L’attuazione della riforma delineata richiede ulteriori impegni a carico delle amministrazioni titolari dei programmi, già gravate dalla realizzazione del PNRR e degli Accordi per la coesione, rispetto ai quali il decreto prevede alcune misure di rafforzamento della capacità amministrativa che rischiano di essere del tutto inefficace, dal momento che i nuovi contratti di assunzione previsti sono a termine e difficilmente saranno appetibili per le professionalità necessarie per accelerare la realizzazione dei programmi.
Oltre alla riforma della politica di coesione, il decreto interviene anche sull’utilizzo del FSC prevedendo, la possibilità che possa essere disposta, attraverso delibera CIPESS, un’assegnazione di risorse del Fondo per quelle regioni che non hanno ancora sottoscritto l’Accordo per la coesione.
Con tale disposizione il legislatore ha voluto trovare una soluzione, per via normativa, alle difficoltà che alcune regioni del Mezzogiorno (Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia) stanno riscontrando nella sottoscrizione degli Accordi per la coesione. Nel comprendere le ragioni di tale disposizione, che vuole sbloccare una situazione ormai di stallo, che non consente di avviare la realizzazione di importanti investimenti infrastrutturali, non si può non esprimere qualche perplessità in merito all’esclusione delle Regioni stesse dal processo che vede l’individuazione degli interventi che viene demandato al Dipartimento per le politiche di coesione e per il Sud.
In merito all’attuazione della politica di coesione, sia europea sia nazionale, l’Ance coglie l’occasione della presente audizione per evidenziare un aspetto di estrema importanza per l’attuazione e accelerazione degli investimenti, quello dei pagamenti. La definizione dei cronoprogrammi degli investimenti da sola non basta se non verranno garantite le risorse di cassa necessarie a pagare le imprese esecutrici dei lavori, che devono poter contare su flussi di cassa regolari per portare a termine i lavori e pianificare la propria attività.
Nella politica di coesione, così come per il PNRR, rispettare i tempi di pagamento è ancora più rilevante se si vogliono evitare blocchi nelle lavorazioni, difficilmente recuperabili entro le scadenze previste.
Un ulteriore elemento della politica del Mezzogiorno che viene affrontato nel decreto è quello della ZES unica Mezzogiorno. Il provvedimento, correttamente, richiama più volte l’esigenza di coerenza tra la programmazione dei fondi strutturali 2021-2027 e il Piano strategico della ZES Unica Mezzogiorno, stabilendo il termine del 31 luglio 2024 per la sua approvazione.
Il Piano, che costituirà un documento di orientamento della programmazione, dovrà definire gli indirizzi per lo sviluppo della ZES Unica, individuando i settori da promuovere, quelli da rafforzare, gli investimenti e gli interventi prioritari per il rilancio del Mezzogiorno.
L’Ance evidenzia l’importanza che il Piano individui, accanto alle filiere prioritarie per lo sviluppo, le infrastrutture funzionali alla localizzazione degli investimenti.
La realizzazione delle infrastrutture per l’accessibilità delle aree industriali è, infatti, un presupposto essenziale per attrarre investimenti nel Mezzogiorno.
Un importante contributo in tal senso arriverà dalla realizzazione del PNRR che, come noto, ha come obiettivo strategico il superamento dei divari territoriali Nord-Sud e destina a tale finalità il 40% degli investimenti ripartibili a livello territoriale.
Tuttavia, secondo un recente studio dell’Ance sull’attuazione degli investimenti del PNRR di interesse per il settore delle costruzioni, emergono alcune difficoltà nell’avvio dei cantieri per le regioni del Mezzogiorno.
In particolare, dall’analisi, basata sui dati che il sistema delle Casse Edili (CNCE) raccoglie ai fini della congruità della manodopera, emerge che risulta aperto o concluso il cantiere di circa il 35% dei progetti PNRR (CIG), pubblicati a partire dal 1° novembre 2021 e fino a marzo 2024, di importo pari o superiore a 40.000 euro.
L’apertura dei cantieri procede in modo differenziato a livello territoriale: nel Mezzogiorno, solo il 29% dei cantieri è stato avviato, un dato inferiore rispetto al 40% del Nord e al 36% del Centro.
Tale andamento che, in parte, trova spiegazione nella maggiore presenza al Sud di lavori di importo elevato riferiti a nuovi progetti, che richiedono tempi di attivazione più lunghi, appare preoccupante ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio territoriale del PNRR.
A ciò si aggiungano gli effetti della revisione del Piano, approvata dalla Commissione Europea l’8 dicembre, che rischiano di alterare il bilanciamento territoriale originariamente previsto. Circa il 45% delle riduzioni dei fondi PNRR rischia, infatti, di colpire le regioni del Mezzogiorno.
Nel ringraziare il grande impegno del Governo nell’assicurare la copertura finanziaria a tutti gli investimenti usciti dal perimetro del PNRR, è innegabile che i tempi di realizzazione di queste opere si allungheranno perché perderanno la priorità che i tempi stringenti del Piano impongono.
Infine, un ulteriore canale per il recupero del gap infrastrutturale del Mezzogiorno è rappresentato dal Fondo perequativo infrastrutturale, istituito ai sensi della Legge 42/2009 sul federalismo fiscale, che il decreto in commento ha denominato «Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno» riformandone la disciplina.
Il fondo è destinato alla progettazione e realizzazione di infrastrutture essenziali quali strade, ferrovie, porti, aeroporti, infrastrutture idriche, e strutture sanitarie, assistenziali e scolastiche nelle regioni del Mezzogiorno.
L’ Ance apprezza l’attenzione che il Governo ha posto al riequilibrio delle dotazioni infrastrutturali, attraverso la promozione di misure per una maggiore equità tra il Nord e il Sud del Paese. Tuttavia, tale obiettivo dovrà essere accompagnato da adeguate risorse finanziarie su un orizzonte temporale di lungo periodo che superi le scadenze del PNRR e dei Fondi Strutturali.
Pertanto, è opportuno un rifinanziamento del Fondo perequativo infrastrutturale per il Mezzogiorno che, quantomeno, consenta di recuperare il taglio di 3,5 miliardi disposto con l’ultima Legge di bilancio.
Con riferimento alle disposizioni in materia di lavoro, si evidenzia in particolare che, in accoglimento delle istanze presentate dall’Ance, è stata modificata la disciplina del regime sanzionatorio in materia di congruità (che era stato introdotto dall’art. 29 del DL n. 19/2024, convertito con modificazioni dalla legge n. 56/2024), allineandone l’ambito di applicazione a quello previsto per la verifica della medesima congruità dal DM n. 143/2021.
Altrettanto positiva e condivisibile è la scelta di includere, tra i settori individuati, come strategici quelli relativi alla protezione dell’ambiente e ai rifiuti. Come più volte ribadito dall’Associazione, infatti, si tratta di ambiti fondamentali nell’attuazione di un’economia di tipo circolare e nel processo di decarbonizzazione, nonché obiettivi cruciali per il PNRR.
Sotto questo profilo, è essenziale intervenire per migliorare ed implementare la capacità impiantistica e di gestione dei rifiuti, rendendo il nostro sistema di recupero più efficiente e sostenibile. Nello stesso tempo, è altresì fondamentale adottare misure volte a favorire l’impiego di materiali derivanti dal trattamento di recupero, sviluppando un’economia sempre più circolare e virtuosa.
L’Ance, richiede da tempo l’avvio di politiche mirate alla realizzazione di questi obiettivi che, tra l’altro, troviamo declinati anche nella Strategia Nazionale per l’Economia Circolare (SEC) e nel Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR); entrambi i documenti, infatti, mirano proprio a promuovere e realizzare interventi volti a realizzare un’economia circolare effettiva.
Il decreto-legge in esame rappresenta quindi un’importante occasione in questa logica, sarà però necessario monitorarne l’attuazione, per verificare che le misure e le iniziative qui previste siano effettivamente sufficienti ad accelerare e incrementare politiche e interventi di questo tipo.
Per il dettaglio delle valutazioni e proposte ANCE sulle singole misure del testo si rinvia al documento consegnato agli atti della Commissione per la pubblicazione sul sito web.
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