Si è svolta oggi, in videoconferenza, l’audizione dell’ANCE sul DL 89/2024 “recante disposizioni urgenti per le infrastrutture e gli investimenti di interesse strategico, per il processo penale e in materia di sport” (DDL 1937/C), all’esame della Commissione Ambiente della Camera, in prima lettura.
Il Direttore generale, Massimiliano Musmeci, ha evidenziato, in premessa, che il provvedimento risulta positivo nella parte in cui si propone di adottare un piano di razionalizzazione dei compiti e delle funzioni dei commissari straordinari. Tra gli obiettivi del Piano vi è anche quello di ridurne il numero, tenuto conto dell’omogeneità del settore di intervento, dell’ambito territoriale di riferimento, della rilevanza economica degli interventi e delle esigenze di razionalizzazione delle strutture di supporto.
Al contempo, viene tuttavia prevista la possibilità di nominare nuovi commissari, dotati sempre di poteri derogatori alle disposizioni in materia di contratti pubblici, ai fini dell’affidamento e della realizzazione delle opere “commissariate” , fatto salvo il rispetto dei principi generali , nonché delle disposizioni del codice delle leggi antimafia, e dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE, e delle disposizioni in materia di subappalto.
L’Ance ha sempre espresso forte preoccupazione per la diffusione del modello commissariale e dei relativi poteri derogatori.
Per realizzare celermente gli interventi infrastrutturali prioritari o le opere da “sbloccare”, è infatti senz’altro indispensabile semplificare le procedure “a monte” della gara, relative alle fasi di programmazione e approvazione dei relativi progetti. Ma la fase di affidamento e di realizzazione delle opere dovrebbe avvenire sempre nel pieno rispetto delle procedure previste dal Codice dei contratti e dalla legislazione ad esso connessa, in omaggio al principio di concorrenza ed a garanzia di una corretta esecuzione.
Il ricorso al suddetto modello dovrebbe, dunque, essere consentito solo in presenza di reali presupposti emergenziali e di urgenza che lo giustifichino.
Il Direttore ha poi evidenziato che il provvedimento potrebbe costituire la sede opportuna per apportare alcuni fondamentali chiarimenti in tema di applicazione dell’articolo 26 del DL “Aiuti” che, come noto, rappresenta una misura di sostegno strategica e di primario rilevo per le imprese che realizzano infrastrutture ed opere pubbliche.
Con tale disciplina, infatti, il legislatore ha inteso introdurre uno speciale meccanismo di aggiornamento dei prezzi attraverso il quale riconoscere alle imprese appaltatrici gli extra-costi subiti a causa dei rincari straordinari in atto sul mercato, attraverso l’applicazione dei prezzari aggiornati, sempre che le offerte siano state presentate ante 31.12.2021 ovvero comprese nel periodo 1.1.22 – 30.6.23.
Tuttavia, nella prassi operativa si sono verificati alcuni problemi interpretativi e applicativi da parte delle committenti che, se non adeguatamente corretti, rischiano di vanificare l’efficacia della disposizione e di innescare forte contenzioso con le amministrazioni appaltanti.
Anzitutto, si registrano fortissimi ritardi nella liquidazione di tali “maggiori importi”, dovuti alla scarsità di risorse interne utilizzabili dalle committenti.
Le somme interne alle quali è possibile ricorrere, infatti, sono puntualmente individuate dalla norma, la quale le limita fortemente; ciò produce come conseguenza pressoché generalizzata la necessità di attivare la richiesta di accesso ai Fondi ministeriali preposti, con tutti i ritardi ed i rallentamenti che ne conseguono.
Inoltre, il Fondo ministeriale opera nei limiti delle risorse ad esso assegnate, con il risultato che, ove le istanze presentate superassero la capienza dello stesso, si dovrebbe procedere ad una ripartizione proporzionale rispetto alle richieste pervenute. Il che potrebbe pregiudicare il diritto degli appaltatori di ottenere i riconoscimenti ad essi spettanti fino ad integrale soddisfazione.
Pertanto, sarebbe quanto mai opportuno ampliare la possibilità per le stazioni appaltanti di far ricorso a risorse interne per coprire tali “extra costi”.
Ciò, in particolare, potrebbe avvenire, anzitutto, consentendo alle committenti il ricorso alle somme accantonate per imprevisti anche oltre il limite del 50% (attualmente posto dalla normativa).
Inoltre, sarebbe opportuno prevedere espressamente la possibilità di utilizzare anche somme derivanti da eventuali varianti in diminuzione. Ciò, peraltro, in linea con quanto previsto dall’articolo 7, commi 2-ter e 2-quater del DL PNRR 3 (DL 36/2022) che – sia pure con riferimento al precedente codice 50/2016 – ha incluso tra le varianti per fatto imprevisto ed imprevedibile quelle connesse all’alterazione significativa del costo dei materiali necessari alla realizzazione dell’opera. In tali casi, la SA o l’aggiudicatario possono proporre una variante in corso d’opera che assicuri risparmi rispetto alle previsioni iniziali, da utilizzare esclusivamente in compensazione per far fronte alle variazioni in aumento dei costi dei materiali.
Si dovrebbe altresì consentire alle committenti di utilizzare anche somme derivanti da eventuali variazioni apportate alla programmazione triennale e annuale. Infatti, il pagamento dell’aggiornamento dei prezzi ha carattere prioritario e, dunque, dovrebbe essere realizzato anche posticipando eventuali lavori in programmazione.
Da ultimo, considerato che il mancato pagamento di tali somme riguarda spesso importi ingenti, tali da mettere in difficoltà l’esecutore nella prosecuzione del contratto, in ossequio ai fondamentali principi civilistici in materia contrattuale, ed in coerenza con quanto un tempo espressamente previsto anche per gli appalti pubblici dal Codice De Lise (d.lgs. 163/2006), sarebbe opportuno prevedere che, ove il pagamento di tali somme non dovesse avvenire, l’appaltatore ha il diritto di agire in giudizio per sollevare eventuale eccezione di adempimento e sospendere i lavori.
Nella prassi applicativa della norma, è emerso anche un problema di carattere interpretativo, che rischia di causare contenzioso con le Amministrazioni.
Infatti, alcune committenti stanno interpretando erroneamente l’articolo 26 – che, come noto, riconosce alle imprese esecutrici i maggiori importi derivanti dall’applicazione dei prezzari aggiornati – applicando, se del caso, prezzi anche inferiori a quelli contrattuali.
Tale interpretazione, tuttavia, non appare corretta sotto molteplici aspetti.
Anzitutto, non appare sostenuta dal dettato letterale della norma che, espressamente, prevede solo il riconoscimento delle “maggiori somme” derivanti dall’applicazione del prezzario aggiornato e, viceversa, mai prevede la possibilità di operare riduzioni al di sotto dei prezzi contrattuali.
L’unico punto in cui la norma prevede possibili aggiustamenti dei prezzi in riduzione, oltre che in aumento, è quello del “conguaglio” che, tuttavia, è un’operazione contabile di pareggiamento, finalizzata unicamente a riallineare gli incrementi già riconosciuti all’impresa sulla base dell’ultimo prezzario disponibile, rispetto a quelli riportati nell’ultimo aggiornamento approvato.
Si tratta, inoltre, di una interpretazione incoerente con la ratio legis che, come si evince dalla disposizione stessa, è quella di fornire un sostegno straordinario alle imprese in considerazione degli incrementi eccezionali dei prezzi dei materiali, dei carburanti e dei prodotti energetici operanti sul mercato, e non quella di procedere ad una generale modifica dei prezzi contrattuali.
Infine, è contraria al principio civilistico, che vale anche per la contrattualistica pubblica, secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere modificato unilateralmente, soprattutto in pejus.
La possibilità di applicare riduzioni di prezzo, infatti, è attuabile solo se conosciuta dall’appaltatore in fase di gara, trattandosi di un profilo che incide significativamente sulla formulazione dell’offerta.
Questa è, peraltro, la precondizione che ha reso e rende possibili eventuali variazioni del prezzo in diminuzione, come emerge sia dal sistema compensativo di cui alla legislazione previgente, sia dal meccanismo revisionale di cui all’art. 60 del nuovo Codice.
Caratteristica che, viceversa, non è – e non poteva essere – presente nel DL Aiuti che, infatti, ha voluto prevedere una misura di sostegno ex lege per i contratti in corso di esecuzione “travolti” dal rincaro eccezionale dei materiali, occorso nel 2022 a causa dell’evento pandemico e dello scoppio del conflitto russo-ucraino.
Con riferimento alle misure di promozione delle pari opportunità nell’ambito degli appalti PNRR/PNC (articolo 47 DL 77/2021), l’Ance propone, inoltre, di specificare che la quota del 30% da destinare all’occupazione femminile si applica, nel caso di appalti di lavori, soltanto nel caso di assunzioni di personale non rientrante nella categoria degli operai.
Infine, è opportuno intervenire sul d.lgs. n. 148/2015 per risolvere una criticità che riguarda la concessione della cassa integrazione guadagni ordinaria alle imprese edili a fronte di determinate intemperie stagionali che si verificano durante l’inverno, soprattutto nei territori montani (es. gelo). In questi casi, la ragione del diniego alla concessione della CIGO consiste sostanzialmente nella “prevedibilità” delle invocate intemperie stagionali. Si propone quindi di esplicitare che tra le causali di accesso a tale ammortizzatore rientrano le intemperie stagionali “a prescindere dalla prevedibilità delle medesime e dall’eventuale emissione di verbali di sospensione del cantiere”.
Per il dettaglio sulle valutazioni ANCE sulle singole norme e le ulteriori proposte si rinvia al documento allegato, consegnato agli atti della Commissione per la pubblicazione sul sito web.
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