Occorre intervenire per rendere obbligatoria l’applicazione dei contratti collettivi nazionali, e territoriali per l’edilizia, stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e strettamente connessi all’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente. Ciò garantirebbe l’applicazione, per le lavorazioni edili o prevalentemente edili, della contrattazione, con il conseguente riconoscimento di tutte le relative tutele e prestazioni, anche in termini di formazione e sicurezza sul lavoro. Sono queste, in sintesi, le considerazioni espresse dall’Ance nel corso dell’audizione in commissione Lavoro del Senato sulle proposte di legge in seconda lettura (S. 957, S. 956, S. 1237) volte, tra l’altro, a disciplinare l’istituzione del salario minimo. Nel corso dell’intervento sono state anche avanzate una serie di proposte per garantire certezza ed equità nei trattamenti economici e normativi per i lavoratori, peraltro minati, nell’ambito della normativa sugli appalti pubblici, dal principio delle “analoghe tutele” che, comunque, nel settore edile, di fatto, non possono essere applicate in considerazione della specificità di istituti normativi, quali congruità e Durc. In particolare, per quanto riguarda l’Autonomia negoziale e contrattazione collettiva, Ance ritiene che l’introduzione di un salario minimo debba preservare l’autonomia delle parti sociali più rappresentative per evitare fenomeni di dumping salariale e la fuga dai contratti collettivi esistenti, soprattutto nel settore edile. Nel settore delle costruzioni, poi, la contrattazione collettiva nazionale e territoriale già garantisce trattamenti economici adeguati e superiori ai valori proposti per il salario minimo (10 euro nel DdL n. 956 e 9 euro nel DdL n. 1237), integrando voci retributive specifiche del settore.
Secondo l’Ance, è positivo il richiamo ai contratti collettivi nazionali maggiormente rappresentativi previsto dai disegni di legge, purché venga chiaramente definito il criterio della rappresentatività comparativa. L’Associazione esprime, invece, perplessità sull’ipotesi di intervento diretto del Ministero per determinare trattamenti economici minimi in caso di contratti scaduti o non rinnovati tempestivamente, poiché ciò limiterebbe gli spazi di autonomia contrattuale. Mentre è apprezzabile l’idea di incentivare (e non sostituire) la contrattazione collettiva con misure che compensino la perdita di potere d’acquisto dei lavoratori.
L’introduzione di un salario minimo fisso – sempre secondo i rappresentanti dell’Ance – potrebbe indebolire il potere negoziale delle parti sociali, non considerando differenze di qualifica e specificità settoriali. Inoltre, se il salario minimo fosse inferiore ai minimi contrattuali, potrebbe favorire imprese che non applicano alcun contratto, danneggiando quelle regolari. L’associazione sottolinea, infine, l’importanza delle voci retributive stabilite dalla contrattazione integrativa territoriale, parte integrante del trattamento economico complessivo obbligatorio nel settore edile.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia al documento allegato presentato in Commissione.
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