Gli interventi della nuova disciplina di cui in oggetto sulla legislazione previgente si possono sostanzialmente ridurre a due tipologie.
La tutela del lavoratore transnazionale
Sotto un primo aspetto vengono in considerazione le innovazioni apportate dal D.lgs. n. 186/05 all’art.2, del D.lgs n. 80/92 (nel quale viene aggiunto un comma 2 – bis) e, correlativamente, all’art. 2, della legge n. 297/82, in materia di trattamento di fine rapporto, nel quale viene inserito un comma 4 – bis.
Le norme in questione, come è noto, prevedono l’intervento del Fondo di garanzia INPS a tutela dei crediti del lavoratore in caso di insolvenza del datore di lavoro. La garanzia riguarda, rispettivamente, il t.f.r. e i crediti inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, rientranti nei 12 mesi precedenti la data di proposizione della domanda diretta alla apertura della procedura concorsuale, o la data di proposizione dell’atto di iniziativa volto a far valere in giudizio il credito del lavoratore.
La novità apportata dal decreto n. 186/05 consiste nell’estendere, in entrambi i casi, l’intervento del Fondo di garanzia Inps all’ipotesi in cui il datore di lavoro : “sia un’impresa, avente attività sul territorio di almeno due Stati membri, costituita secondo il diritto di un altro Stato membro ed in tale Stato sottoposta ad una procedura concorsuale, a condizione che il dipendente abbia abitualmente svolto la sua attività in Italia”.
Viene in tal modo recepito l’art. 8 – bis, comma 1, della direttiva n. 80/1987 secondo il quale, appunto: “quando un’impresa avente attività sul territorio di almeno due Stati membri si trovi in stato di insolvenza l’organismo di garanzia competente per il pagamento dei diritti non pagati dei lavoratori è quello dello Stato membro sul cui territorio essi esercitano o esercitavano abitualmente il loro lavoro”.
A parere della scrivente, l’intervento in questione si inserisce in una linea di tendenza propria della recente legislazione italiana di derivazione comunitaria, orientata ad una tutela del lavoratore legata al luogo di prestazione dell’attività (il territorio italiano) piuttosto che alla fonte di regolamentazione del rapporto di lavoro (l’ordinamento straniero). Basti pensare al D.lgs. n. 72/2000, attuativo della direttiva n. 96/71/CE sul distacco transazionale.
Cumulo tra intervento Inps e retribuzioni
La seconda innovazione di rilievo è contenuta nell’art. 1, comma 2, del D.lgs n.186, il quale sopprime la lett.b) dell’art.2, comma 4, del D.lgs. n. 80.
Quest’ultima norma prevede la non cumulabilità delle somme erogate dal Fondo di garanzia, rispettivamente :
a) con il trattamento Cigs fornito nei dodici mesi di cui al comma 1;
b) con le retribuzioni comunque erogate dal datore di lavoro nell’arco dei tre mesi di cui al comma 1;
c) con l’indennità di mobilità riconosciuta al lavoratore nell’arco dei tre mesi successivi alla risoluzione del rapporto di lavoro.
In particolare, in merito alla previsione di cui alla lett.b) del comma 4 si sono formati, in giurisprudenza, due orientamenti divergenti.
Secondo il primo, la somma versata dal datore di lavoro al lavoratore quale acconto sugli importi retributivi relativi al periodo considerato dalla legge devono essere detratti dal massimale erogabile dal Fondo di garanzia.
In base ad un diverso e più recente orientamento, invece, tali acconti vanno detratti dalla cosiddetta retribuzione reale, e cioè dal credito di lavoro effettivamente vantato dal lavoratore; l’importo residuo deve essere colmato dall’intervento del Fondo, ovviamente nei limiti del massimale stabilito per legge. Cio’ in quanto, come osservato dalla Cassazione, occorre dare la possibilità al lavoratore che abbia ottenuto acconti dal datore di lavoro di ottenere, potenzialmente, l’intero massimale Inps, che diversamente – seguendo il primo indirizzo – non potrebbe mai raggiungere.
Questo più attuale indirizzo è stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 19 agosto 2004, n. 16268, che a sua volta si è adeguata all’indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia con la decisione 4 marzo 2004, intervenuta su sollecitazione della stessa Cassazione.
La Corte di Giustizia ha formulato il principio interpretativo secondo il quale: “gli artt. 3, n.1 e 4, n.3, comma 1, della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980 n. 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, devono essere interpretati nel senso di non autorizzare uno Stato membro a limitare l’obbligo di pagamento degli organismi di garanzia a una somma che copre i bisogni primari dei lavoratori interessati e da cui sarebbero sottratti i pagamenti versati dal datore di lavoro durante il periodo coperto dalla garanzia”. Ai principi dettati dalla Corte di Giustizia si è conformato anche l’Inps.
Sulla base di tale quadro interpretativo, si ritiene che la modifica legislativa introdotta con il citato art. 1, comma 2, del D.lgs n. 186 di che trattasi ha il significato di ulteriore conferma e adeguamento al principio stabilito dalla Corte di Giustizia e ribadito dalla Corte di Cassazione nel 2004. Ciò non solo perché il decreto n. 186/05 è deputato a dare attuazione alla normativa comunitaria in materia di tutela nei casi di insolvenza del datore di lavoro, che,come interpretata dalla Corte di Giustizia, forma un “complesso unitario di regole” con la normativa nazionale: ma anche perché il criterio di calcolo che è prevalso in sede interpretativa (detrazione degli acconti dalla retribuzione reale anziché dal massimale) già comportava di fatto la cumulabilità dell’intervento del Fondo con gli acconti erogati dal datore di lavoro, nei limiti del massimale.
Pertanto l’intervento legislativo in parola, non fa che ribadire ulteriormente il criterio secondo cui il credito del lavoratore, a fronte della insolvenza datoriale, va tutelato nella misura massima possibile, consentendo a tal fine il cumulo dell’intervento pubblico con l’importo eventualmente versato dal datore di lavoro a titolo di acconto sulle retribuzioni.
Le altre previsioni
L’art. 3, comma 1, del D.lgs. n. 186 impegna lo Stato italiano a notificare alla Commissione Europea, ed agli altri Stati membri, le tipologie di procedure nazionali di insolvenza rientranti nel campo di applicazione del D.lgs n. 80/92, nonché tutte le modifiche legislative che le riguardano.
Infine, l’art. 3, comma 2 del più volte citato D.lgs n. 186 esclude la retroattività della nuova disciplina, prevedendo che le disposizioni ivi contenute trovino applicazione alle procedure concorsuali aperte successivamente alla data di entrata in vigore del decreto stesso ( 6 ottobre 2005).
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