La finanziaria 2006 modifica parzialmente la disciplina della certificazione dei rapporti di lavoro.
Come noto, l’istituto è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla cosiddetta riforma Biagi, e trova la disciplina dello stesso negli artt. 74 e seguenti del D.lgs n. 276/2003 e nei successivi provvedimenti attuativi del Ministero del lavoro (Dm 14 giugno 2004; Dm 21 luglio 2004; circolare 15 dicembre 2004, n. 48; lettera 15 febbraio 2004).
La finalità della certificazione è quella di ridurre il contenzioso giudiziario in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, mediante una apposita procedura finalizzata a dare una efficacia “rinforzata” alla qualificazione contrattuale scelta dalle parti.
Tale procedura ha una valenza parziale, in quanto sia le parti che i terzi interessati alla qualificazione contrattuale (gli enti previdenziali, gli organi di vigilanza, l’amministrazione fiscale) possono sempre proporre ricorso presso il Tribunale in funzione di Giudice unico del lavoro al fine di correggere l’erronea qualificazione del contratto ed attribuirgli il corretto nomen juris , con tutti gli effetti che ne conseguono dal punto di vista civile, fiscale ed amministrativo.
Ciò non significa che la certificazione sia priva di valore, in quanto essa da un lato può costituire uno stimolo ad una maggiore aderenza contrattuale, e dall’altro è opponibile nei confronti degli organi ispettivi e di vigilanza interessati alla modifica della qualificazione del contratto, i quali subiranno notevoli limitazioni nella propria attività amministrativa.
L’atto amministrativo che conferisce al contratto l’efficacia cosiddetta “rinforzata” consiste nel provvedimento di certificazione; tale provvedimento può essere rilasciato da una Commissione istituita da uno dei soggetti espressamente abilitati nel citato D.lgs n. 276, e cioè dalla Provincia, dalle D.p.l., dagli Enti Bilaterali o dalle Università e Fondazioni Universitarie.
Il rilascio del provvedimento di certificazione del contratto può essere richiesto indifferentemente a qualsiasi Commissione istituita dai soggetti di cui sopra.
Tutte le Commissioni hanno poteri analoghi e debbono seguire il medesimo iter procedimentale, e si differenziano solo per la loro composizione, per l’ambito di competenza territoriale e, in alcuni casi, per l’attribuzione di specifiche competenze.
Per quanto concerne la competenza territoriale, l’art. 77, comma 1, del D.lgs n. 276 specifica il criterio della competenza territoriale soltanto per le Commissioni istituite in seno alla Provincia o alla Direzione Provinciale prevedendo, in conformità di quanto statuito dall’art. 13 comma 1, c.p.c., per le controversie di lavoro, che le medesime sono competenti a certificare esclusivamente i contratti di lavoro stipulati da aziende che hanno la sede, o una loro dipendenza, nella quale sarà addetto il lavoratore nei territori della provincia di riferimento.
Per le Università e le loro Fondazioni, nel silenzio della legge, la dottrina ritiene che non c’è alcun limite alla competenza; allo stesso modo, il limite non sembra sussistere per gli Enti bilaterali, e quindi questi potranno costituire Commissioni dotate di ambiti territoriali, più ampi del territorio provinciale.
La novità della finanziaria 2006
La legge in parola interviene su questa disciplina ampliando il numero dei soggetti abilitati alla costituzione di Commissione di certificazione.
In particolare, ai soggetti appena richiamati si aggiungono la Direzione Generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro, ed i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
Per quanto riguarda la Direzione Generale del Ministero, la legge prevede che tale organo potrà svolgere l’attività di certificazione esclusivamente in due ipotesi. La prima è quella in cui il datore di lavoro abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due Province anche di Regioni diverse; qui è evidente l’intento del legislatore di superare l’ambito esclusivamente provinciale della competenza delle Commissioni di certificazione istituite presso le D.p.l. o le Province.
La seconda ipotesi è quella in cui i datori di lavoro, anche con unica sede, siano associati ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto a livello nazionale schemi di convenzioni, e che questi schemi siano stati “certificati” dalla Commissione istituita presso il Ministero del lavoro. In questo caso, quindi, la condizione per accedere alla suddetta Commissione è l’adesione ad una organizzazione datoriale che abbia predisposto e certificato uno schema di convenzione.
Il riferimento alla necessità che i predetti schemi di conversione siano “certificati” appare, alla scrivente, poco chiaro, in quanto viene utilizzato un termine che allude al rilascio del provvedimento di certificazione, che ha un oggetto ed una efficacia completamente diversa; probabilmente, qui il legislatore allude ad una procedura di valutazione ed approvazione degli schemi di cui sopra da parte della Commissione ministeriale.
In entrambi i casi ricordati, la norma precisa che: “le Commissioni di certificazione istituite presso le direzione provinciali del lavoro e le province limitano la loro funzione alla ratifica di quanto certificato dalla Commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali”. Tale disposizione sembra lasciare intendere che sia possibile, per i soggetti che ottengono il rilascio di un provvedimento di certificazione avanti alla Commissione istituita presso il Ministero, l’esperimento di un secondo passaggio, e cioè la “ratifica” presso le Commissioni provinciali.
Tuttavia, questo adempimento non è previsto in nessuna delle disposizioni del D.lg s. n. 276, e soprattutto risulterebbe del tutto incoerente, a parere della scrivente, sottoporre l’atto di certificazione a procedure ulteriori di efficacia rispetto a quelle già previste per la formazione dello stesso.
La norma in parola si ritiene debba allora essere interpretata nel senso che le D.p.l. e le Province non possono rimettere in discussione quanto già certificato a livello ministeriale; ma se intesa in tal senso, la disposizione appare ridondante, in quanto il principio era già agevolmente desumibile dalla disciplina generale dell’istituto.
La norma precisa poi che la Direzione del Ministero del lavoro svolgerà la nuova attività: “nell’ambito delle risorse umane e strumentali già operanti” presso la stessa, quindi senza l’acquisizione di nuovo personale per lo svolgimento della medesima.
***
La seconda novità della novella consiste nell’estensione anche ai consigli provinciali dei consulenti del lavoro della facoltà di costituire Commissioni di certificazione.
Tali Commissioni (al pari di quelle istituite dalla DPL o dalle Province) avranno competenza solo per i contratti di lavoro instaurati nell’ambito territoriale di riferimento.
La norma precisa che i consulenti del lavoro dovranno svolgere l’attività: “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”; è pertanto esclusa la possibilità di ricevere forme di sostegno economico.
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