Con la sentenza n. 1116 del 15 maggio 2006, la Cassazione ribadisce l’importanza della comunicazione al datore di lavoro sia dell’impugnazione del licenziamento che della richiesta di avviare il tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nella fattispecie in esame un lavoratore, prima del decorso del periodo di 60 giorni dall’avvenuto licenziamento, depositava la richiesta di esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione. Ma tale richiesta non veniva inoltrata anche al datore di lavoro, il quale riceveva la convocazione dalla relativa Commissione di conciliazione quando erano trascorsi quasi tre mesi dal giorno dell’avvenuto licenziamento. Il tentativo di conciliazione non dava alcun esito data l’assenza del datore di lavoro.
Il lavoratore ricorreva in giudizio chiedendo l’accertamento dell’invalidità del licenziamento e la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione e al risarcimento del danno. I giudici di primo e secondo grado dichiaravano la non ammissibilità della domanda del lavoratore, dato il decorso del termine di decadenza per l’impugnazione del recesso ai sensi dell’art. 6 della legge n. 604/66.
Il lavoratore ricorreva in Cassazione avverso la sentenza di appello, affermando che l’impugnazione del recesso si poteva considerare tempestiva in quanto lo stesso aveva depositato la richiesta del tentativo di conciliazione nei termini previsti dalle norme vigenti.
Ma anche la Corte di Cassazione ha respinto la tesi del lavoratore. Nella sentenza n. 11116 si afferma, innanzitutto, come sia noto che l’impugnazione del licenziamento ha la natura di un negozio giuridico unilaterale a carattere recettizio, e, pertanto, deve pervenire anche al datore di lavoro ai fini di produrre propri effetti.
Nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva ricevuto alcuna comunicazione circa l’avvenuta impugnazione nel termine prescritto ex lege.
Secondo la Corte, il lavoratore poteva, al riguardo, invocare quanto previsto dall’art. 410 c.p.c., il quale dispone che la comunicazione di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del medesimo e per i 20 giorni successivi alla conclusione del predetto tentativo, il decorso di ogni termine di decadenza.
La Corte fa, infatti, notare che il testo della predetta norma è chiaro nell’evidenziare che è la sola comunicazione della richiesta a sospendere il termine sopra richiamato e non la mera e semplice presentazione della stessa. Tale interpretazione sistematica risulta coerente con la disciplina della domanda nel processo del lavoro. Infatti, anche in materia processuale, la costante giurisprudenza della Cassazione opera una distinzione tra gli effetti processuali e sostanziali del ricorso, che è l’atto con il quale ha inizio il giudizio.
Mentre gli effetti processuali sono dipendenti dal solo deposito del ricorso, i secondi sono strettamente condizionati alla notifica dell’atto al datore di lavoro.
In particolare, è prevalente in giurisprudenza l’indirizzo secondo il quale quando il ricorso contiene anche l’impugnativa del licenziamento, al fine di produrre gli effetti interruttivi della decadenza, lo stesso deve non solo essere depositato ma altresì notificato al datore di lavoro nel termine di 60 giorni.
In conclusione, la Corte afferma che il lavoratore, qualora abbia interesse ad ottenere una immediata sospensione dei termini di decadenza, ha l’onere di comunicare anche la richiesta del tentativo di conciliazione al datore di lavoro, senza dover rimanere in attesa della convocazione da parte della Direzione provinciale del lavoro.
Quanto detto sopra non equivale a gravare il lavoratore di compiti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge, ma è il risultato della scelta dello stesso di attivarsi per ottenere nel più breve tempo possibile gli effetti sospensivi della decadenza ed interruttivi della prescrizione. D’altro canto, il lavoratore è completamente libero di esercitare oppure no la scelta di cui sopra.
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