Nella motivazione della sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione, allineandosi alle decisioni rese all’esito dei precedenti gradi di giudizio, sancisce consolidati principi in tema di procedimento disciplinare ex art.7, legge n. 300/70, soffermandosi sulle caratteristiche relative ai requisiti di “precisione” e di “immediatezza” della contestazione dell’addebito.
Nella fattispecie oggetto della pronuncia che si commenta, un istituto di credito aveva licenziato un lavoratore avendo lo stesso consentito ai clienti diversi finanziamenti non assistiti da idonee garanzie, nonché la negoziazione di assegni privi di coperture.
Il lavoratore, ricorrente per la cassazione della sentenza della Corte di Appello che aveva accertato la piena validità del recesso, lamenta la genericità e la tardività dell’addebito, ma tale tesi non è stata condivisa dal giudice di legittimità.
La Corte di Cassazione osserva innanzitutto che, in relazione alla censura di legittimità della contestazione degli addebiti, era stata messa a disposizione dell’incolpato, su esplicita richiesta dello stesso, la analitica documentazione dei rapporti in sofferenza con la clientela.
Il comportamento datoriale era quindi pienamente in linea con i principi dettati dalla giurisprudenza in materia, posto che così facendo la banca associava alla lettera di contestazione disciplinare, manifestamente rispondente alla esigenza di fornire l’indicazione degli elementi di fatto essenziali e sufficienti ad evidenziare il significato univoco degli addebiti implicanti la responsabilità del lavoratore, i risultati della istruttoria compiuta al fine di consentirgli una idonea e completa difesa. (cfr. Cassazione n. 12621/00).
D’altra parte, costituiscono principi condivisi sia l’affermazione che il grado di precisione della contestazione è funzionale al concreto esercizio di quel diritto (cfr. Cass. n. 16249/04), sia che la tipicità della contestazione disciplinare non obbedisce a rigidi canoni che presiedono alla formulazione dell’accusa nel processo generale (cfr. Cass. n.8853/02).
Circa la violazione del principio di immediatezza, l’intervallo di tempo tra lettera di contestazione e successiva intimazione del licenziamento, nel caso di specie piuttosto lungo atteso che fra l’ispezione che aveva scoperto i comportamenti inadempienti e la comunicazione dell’addebito erano trascorsi due mesi e che tra la contestazione e il licenziamento ulteriori due mesi – doveva ritenersi, ad avviso della Suprema Corte, tutt’altro che sproporzionato. Infatti, la discrezionalità del giudice nel valutare il carattere della tempestività della contestazione disciplinare deve svolgersi nell’ambito di presupposti alla base del principio della immediatezza, ossia del riconoscimento del pieno ed effettivo diritto di difesa garantito ex lege al lavoratore e del comportamento datoriale secondo buona fede.
Il carattere della immediatezza della contestazione di disciplinare va inteso, afferma la Corte Suprema, secondo una “ragionevole elasticità”, nel senso ben preciso che il giudice possa da esso discostarsi indicando correttamente le ragioni che lo hanno indotto a non ritenere illegittima tale contestazione fatta non a ridosso immediato dell’infrazione (cfr. Cass. n. 6925/00).
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