Si osserva – preliminarmente all’esame della sentenza in oggetto – che la giurisprudenza ha più volte affermato il principio secondo cui, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro subordinato, requisito determinante è la configurabilità della nozione giuridica di subordinazione individuata dall’ art. 2094 c.c. vale a dire il vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore di lavoro al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro (cosiddetta eterodirezione), con la conseguente limitazione dell’autonomia del lavoratore e l’inserimento dello stesso nell’organizzazione d’impresa (cfr. Cass. 2 aprile 2002, n. 4682; Cass. 4 febbraio 2002, n. 1420).
Accanto all’elemento essenziale di cui sopra, la giurisprudenza ha poi individuato – sulla base della figura socialmente prevalente di lavoro subordinato e della normale disciplina contrattuale e legislativa del relativo rapporto – degli indici sintomatici della situazione di subordinazione, i quali svolgono un ruolo sussidiario e complementare rispetto all’elemento dell’assoggettamento al citato potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Potendo quindi concorrere alla qualificazione del rapporto di lavoro qualora, per il concreto atteggiarsi dello stesso, la suddetta subordinazione non sia agevolmente appressabile. Tali indici sono l’inserimento nell’organizzazione d’impresa, la continuità, la collaborazione.
Un ruolo residuale è invece attribuito a indici ulteriori sussidiari, i quali, pur non rivestendo una autonoma valenza qualificatoria, possono tuttavia avere la funzione di rafforzare gli indici richiamati sopra.
Sotto questo profilo assumono rilevanza il fatto che il lavoratore si rechi quotidianamente e in orari predeterminati sul luogo di lavoro; non sostenga alcuna spesa gestionale; non sopporti alcun rischio economico; utilizzi beni aziendali e non disponga di alcuna organizzazione lavoratrice propria, neppure di tipo elementare; il corrispettivo erogato per l’attività svolta sia fisso e non venga modificato per effetto di periodi malattia o di ferie (cfr. Cass. 26giugno 2003, n. 9900).
Nè può avere valore assorbente la qualificazione formale che le parti abbiano dato al rapporto di lavoro (cfr. Cass. 23 luglio 2004, n. 13884).
Richiamati i criteri utilizzati dalla giurisprudenza sia di legittimità che di merito ai fini della qualificazione di un rapporto lavorativo come subordinato o autonomo, si evidenzia – con riferimento alla pronuncia in commento – come la Cassazione abbia anche in questa occasione aderito a tali principi e rinviato pertanto la decisione al giudice di merito per un accertamento ed un esame più approfondito di tre circostanze ritenute essenziali al fine della decisione della controversia. Si tratta, precisamente, dell’inserimento o meno del ricorrente all’interno della struttura organizzativa dell’impresa; dell’esistenza in capo al lavoratore di una autonoma struttura organizzativa e dell’importanza per l’impresa stessa del risultato della prestazione lavorativa medesima.
Nel caso di specie, infatti, la Corte ha ritenuto che gli elementi – alla luce dei quali la Corte di Appello aveva affermato la natura autonoma della prestazione svolta dal lavoratore – non fossero né unitariamente, né nel loro complesso decisivi.
La Cassazione, analizzando gli stessi, ha infatti evidenziato come il fatto che il ricorrente svolgesse autonomamente la propria attività potesse agevolmente spiegarsi con il contenuto tecnico – professionale della medesima. Era, infatti, da considerarsi significativa la flessibilità del proprio orario di lavoro, posto che un rapporto di lavoro può essere a part – time, e lo svolgimento effettivo della prestazione va correlato al contenuto di essa e, ancora, come fosse del tutto irrilevante la circostanza che il lavoratore avesse a disposizione, o meno, una propria autonoma scrivania presso gli uffici della impresa.
Da ultimo, la Corte ha rilevato che non è significativa nemmeno la circostanza che mancassero provvedimenti disciplinari, i quali, secondo Corte stessa, vengono adottati soltanto quando vi siano mancanze da censurare e quindi un dipendente può non averne ricevuti semplicemente perché non ha commesso illeciti disciplinari da sanzionare; anzi questo è quanto si verifica nella normalità dei casi.
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