Con la sentenza in esame la Cassazione torna a pronunciarsi in tema di ambito di applicazione dei criteri di determinazione della giusta retribuzione ex art. 36 della Costituzione.
Nel caso di specie, con ricorso avanti al Tribunale di Trani, un lavoratore chiedeva il pagamento di una somma a titolo di differenze retributive, tredicesima mensilità, ferie, riduzione di orario e trattamento di fine rapporto.
Il Tribunale accoglieva la domanda limitatamente alla richiesta dei compensi sostitutivi delle ferie, di riduzione di orario e del trattamento di fine rapporto, mentre respingeva la richiesta di pagamento delle somme a titolo di differenze retributive.
La Corte di appello di Bari confermava la decisione del Tribunale. In particolare asseriva che non era stato giustificato il richiamo, né in alcun modo provata, la pretesa applicazione del c.c.n.l. di categoria e che la retribuzione corrisposta al lavoratore doveva essere considerata proporzionale alla qualità ed alla quantità del lavoro svolto in considerazione anche delle modeste dimensioni dell’impresa.
Il lavoratore proponeva, pertanto, ricorso in Cassazione lamentando che al fine dell’adeguamento retributivo ex art. 36 Cost. il giudice doveva fare riferimento al c.c.n.l. relativo all’attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro – come statuisce il dettato normativo dell’art. 2070 c.c. – e che qualsiasi valutazione sulle modalità di espletamento della prestazione lavorativa e sulla situazione patrimoniale dell’impresa doveva essere basata solo sull’analisi dei profili sostanziali del rapporto di lavoro e non su mere evidenze formali.
La Cassazione accoglie il ricorso sostenendo, in primo luogo, che è illegittima ogni statuizione del giudice del merito che determini la retribuzione ex art. 36 Cost. in misura inferiore ai minimi contrattuali nazionali con il solo richiamo a condizioni ambientali, territoriali e alle dimensioni dell’impresa del datore di lavoro e, in secondo luogo, che l’art. 36 della Costituzione è rivolto ad impedire ogni forma di sfruttamento del dipendente anche quando trova radice nella situazione socio economica del mercato del lavoro e, altresì, nelle condizioni patrimoniali – aziendali del datore di lavoro.
Inoltre, confermando un precedente orientamento (Cass. n. 3184/00) la Corte ha altresì specificato che il minimo retributivo non può essere derogato in considerazione della situazione economico – finanziaria dell’impresa che, in linea generale, può influenzare i livelli salariali attraverso il contemperamento dei contrapposti interessi operato dalla contrattazione collettiva.
Alla luce di queste precisazioni, la motivazione addotta dal giudice di appello appare alla Cassazione errata, perché l’esclusione della applicabilità dei minimi salariali fissata dai contratti collettivi di categoria, al fine della giusta retribuzione ex art. 36 della Cost. non può essere valutata in relazione alle modeste dimensioni dell’impresa e, alla valutazione arbitraria sul fatto che le mansioni svolte dal lavoratore non richiedono una capacità ed una abilità professionale elevata. La Corte solleva anche una carenza di logicità nel ragionamento dei giudici di merito che accolgono i capi della domanda concernenti la misura delle ferie e la riduzione di orario in conformità alla regolamentazione fissata dal contratto collettivo di categoria e poi, in modo sostanzialmente contraddittorio, disconoscono l’applicazione del c.c.n.l. stesso e non si avvalgono dei parametri salariali fissati dal medesimo al fine della determinazione dei minimi retributivi ex art. 36 citato.
Pare opportuno, infine, soffermarsi brevemente su un ulteriore aspetto della fattispecie in oggetto che la Cassazione affronta solo per inciso, ossia quello relativo alle voci che il giudice deve tenere in considerazione ai fini della determinazione del cosiddetto “minimo costituzionale”. Sul punto, la sentenza richiama una precedente pronuncia (Cass. n. 3362/92) secondo cui, ai fini della individuazione del “minimo costituzionale”, il giudice deve, appunto, ritenere rilevante la tredicesima mensilità – dato il carattere della stessa di retribuzione differita – mentre non può considerare le maggiorazioni per il lavoro (previste dal c.c.n.l. di riferimento in misura maggiore di quella legale), la durata delle ferie (stabilite dalla legge e dagli usi) e la quattordicesima mensilità (elemento di favore non generalizzato).
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