L’occasione del nuovo intervento della Consulta in materia di apprendistato professionalizzante è il giudizio di legittimità costituzionale promosso dal Presidente del Consiglio contro la legge regionale 22 novembre 2005, n. 13, con cui la Puglia ha disciplinato l’apprendistato professionalizzante.
Le norme impugnate che costituiscono l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale sono gli artt. 2, comma 2, e 3, commi 4 e 7, della citata legge regionale. L’Avvocatura dello Stato lamenta, in generale, il contrasto con i principi fondamentali in materia di “tutela e sicurezza del lavoro”.
Osserva il ricorrente che la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 50/05, ha riconosciuto che la materia della formazione, lungi dall’essere di esclusiva competenza regionale, può riguardare il rapporto privatistico contrattuale relativo alla formazione all’interno delle imprese; di conseguenza la disciplina di questo aspetto rientra nell’ordinamento civile.
Invece, sempre alla luce della richiamata sentenza n. 50, spetta alle Regioni e alle Province autonome disciplinare la formazione esterna. Tuttavia, né l’uno né l’altro profilo appaiono separati nettamente tra di loro e da altri aspetti dell’istituto. Sulla base di tali interferenze, l’Avvocatura ricorda che la Corte ha affermato che la commistione di competenze giustifica e rende costituzionalmente legittima l’apposizione di principi da parte del legislatore statale avvenuta con il D.lgs n. 276/03; così operando, il legislatore stesso non ha inciso in modo illegittimo sulle competenze regionali e ha correttamente applicato il principio di leale collaborazione.
Nel merito delle singole norme, la prima censura si appunta contro l’art. 3, comma 2, della legge regionale. Tale norma prevede che, nell’ipotesi in cui entro un certo termine non sia raggiunta l’intesa tra i vari soggetti interessati in merito alla definizione dei profili formativi, questi siano determinati dalla Giunta regionale.
Secondo l’Avvocatura dello Stato, la norma si porrebbe in contrasto con l’art. 49, comma 5, del citato decreto n. 276 che, nel dettare precisi principi e criteri direttivi cui devono attenersi le discipline regionali, impone che la regolamentazione di detti profili formativi sia effettuata dalle Regioni “di intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale”.
Il legislatore statale – prosegue il ricorrente – con questa norma ha ritenuto fondamentale, per la determinazione dei profili formativi, il concorso di tutti i soggetti indicati, non ammettendo che la relativa intesa sia sostituita da un atto unilaterale della Regione, che invece potrebbe limitarsi – secondo la norma censurata – ad acquisire i pareri delle parti sociali, in tal modo declassandole ad organi meramente consultivi.
La seconda norma impugnata è l’art. 3, comma 4, il quale prescrive che la formazione formale si svolga “prevalentemente all’esterno dell’azienda”.
Secondo l’Avvocatura, la norma sarebbe costituzionalmente illegittima sotto un duplice aspetto: essa contrasterebbe innanzitutto – per violazione del riparto di competenza concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro – con il comma 4, lett.a), dell’art. 49 del più volte citato D.lgs. n. 276, che fa riferimento alla formazione aziendale o extra – aziendale, senza porre alcune precostituite gerarchie tra i due tipi di attività.
Sotto un secondo aspetto, la disposizione in parola violerebbe la competenza riconosciuta dalla legge alla contrattazione collettiva circa la determinazione delle “modalità di erogazione e dell’articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende”.
La terza ed ultima norma impugnata è l’art. 3, comma 7, della legge regione Puglia, il quale prevede che “la formazione interna deve avere per oggetto, per un periodo minimo iniziale della durata di venti ore nel primo mese di svolgimento del rapporto, i metodi di organizzazione della produzione e i sistemi di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali”.
Secondo l’Avvocatura, la norma di cui sopra risulterebbe illegittima, in quanto incide su una materia di competenza legislativa statale esclusiva, cioè la modalità della formazione interna.
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La Regione ha contestato le censure promosse dalla Presidenza del Consiglio, osservando innanzitutto che la richiamata sentenza n. 50/05 muove correttamente dall’ idea che la formazione attenga sia al rapporto di lavoro e quindi rientri nella sfera di competenza dell’ordinamento civile, sia a quello della formazione professionale, di potestà legislativa delle Regioni.
Pur non contestando tale principio, la Regione osserva che la concreta applicazione dei criteri di ripartizione tra le due forme di competenza legislativa dovrebbe essere meglio specificata.
In particolare, la formazione privata aziendale è sempre connessa ad un profilo di crescita e di qualificazione delle conoscenze del lavoratore; tale percorso deve quindi ritenersi compreso nell’ambito della formazione propriamente detta, di competenza regionale. Alla competenza legislativa statale residuerebbero quegli aspetti della formazione professionale che influenzano direttamente il contratto di lavoro nel profilo interno del medesimo, mentre la determinazione del contenuto formatico, sia esterno sia interno, non può che essere attribuita alle Regioni.
Con riferimento alle singole censure, la Regione osserva che l’art. 2, comma 1, deve ritenersi legittimo in quanto il comma 5 dell’art. 49 del D.lgs n. 276 non include la previa intesa tra i principi fondamentali che devono essere rispettati dagli enti territoriali. Se la disposizione dovesse essere interpretata nel senso voluto dal Governo essa, secondo la resistente, sarebbe del tutto in contrasto con l’art. 117 della Costituzione, in quanto la potestà legislativa delle Regioni risulterebbe subordinata alla intesa obbligatoria con le parti sociali. In tal modo, si cambierebbe il procedimento di formazione della legge regionale e si attribuirebbe alle associazioni sindacali un potenziale potere di veto, finendo con l’espropriare la potestà legislativa degli enti territoriali.
In merito all’art. 3, comma 4, della legge regionale, la Regione afferma che non esiste nessuna disposizione che vieti di attribuire prevalenza ad un contenuto formativo piuttosto che ad un altro, in quanto la legge statale consente che la qualifica venga riconosciuta dopo la formazione interna od esterna, attribuendo alla Regione il potere di riconoscere soltanto la formazione aziendale o solo quella extra aziendale o anche entrambe.
La disposizione, prosegue la Regione, non contrasterebbe neanche con la competenza attribuita alla contrattazione collettiva, che mantiene intatta la facoltà di stabilire le modalità di erogazione e di articolazione della formazione svolta in prevalenza all’esterno ed in misura inferiore in azienda.
Con riferimento al terzo ed ultimo articolo impugnato – art. 3, comma 7 – la Regione osserva che le interferenze tra materie nella disciplina dell’apprendistato messa in luce dalla Consulta nella già citata sentenza n. 50/05 non consentono di affermare, come invece sostiene il ricorrente, che qualsiasi regolamentazione circa la materia della formazione interna costituirebbe una illegittima invasione delle competenze legislative statali.
Se la legge regionale può regolare aspetti riguardanti la formazione interna alle aziende, a maggior ragione può stabilire che essa debba riguardare per un numero minimo di ore alcune specifiche materie.
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La Corte ha accolto due delle tre censure proposte dalla Presidenza del Consiglio.
Ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, della legge regionale. La norma, come sopra ricordato, prevede che se l’ intesa con le parti sociali, in merito ai profili formativi, non è raggiunta entro il termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, provvede la Giunta regionale. Il ruolo attribuito alla Giunta, secondo la Corte, è incompatibile con il regime dell’intesa, caratterizzata quest’ultima dalla paritaria codeterminazione dell’atto in difetto di indicazioni della prevalenza di una parte sull’altra.
La norma non può essere giustificata in quanto necessaria a superare la situazione di stallo determinata dalla mancata intesa; per ovviare a questa esigenza e dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione, la Corte ritiene che sia compito del legislatore regionale stabilire, semmai, un sistema che imponga comportamenti rivolti allo scambio di informazioni e alla manifestazione della volontà di ciascuna delle parti e, in ultima ipotesi, contenga previsioni le quali assicurino il raggiungimento del risultato, senza la prevalenza di una parte sull’altra.
Pertanto, risulta in contrasto con i parametri costituzionali la drastica previsione, in caso di mancata intesa, della decisività della volontà di una sola delle parti, la quale riduce all’espressione di un parere il ruolo dell’altra.
La Corte ritiene fondata anche la questione avente ad oggetto l’art. 3, comma 7, della legge regionale; a sostegno di tale decisione, essa richiama le pronunce con cui ha più volte affermato che la disciplina della formazione interna attiene all’ordinamento civile e che, pertanto, spetta allo Stato stabilire la relativa normativa.
Ove una determinata materia risulti oggetto di competenze legislative diverse, queste interferenze devono essere risolte con gli strumenti della leale collaborazione o, qualora risulti la prevalenza di una materia sull’altra, con l’applicazione del criterio di prevalenza.
Nel caso in esame non serve applicare questi criteri, in quanto il legislatore ha già individuato un momento – la definizione dei profili formativi – nel quale la Regione può far valere i propri punti di vista e le proprie esigenze anche nella disciplina della formazione interna.
Infine, la Corte giudica non fondata la questione di legittimità costituzionale riguardante l’articolo 3, comma 4, il quale prevede la prevalenza della formazione esterna in tema di formazione formale, conclusione analoga a quella cui è giunta con la sentenza n. 425/06, in merito ad analoga disposizione della Regione Marche. Secondo la Corte, tale norma non costituisce invasione della sfera di attribuzioni statali in materia di formazione interna e pertanto, risulta pienamente legittima.
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