Con la pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale n. 67 del 21 marzo scorso dell’allegato D.lgs n. 25 del 6 febbraio 2007 il Governo – in attuazione della direttiva n. 2002/14/CE – ha individuato il quadro generale relativo agli obblighi di informazione e consultazione dei lavoratori nelle imprese con almeno 50 dipendenti.
Prima della nuova disciplina, la violazione dei suddetti obblighi poteva comportare, a carico del datore di lavoro inadempiente, una duplice conseguenza: condanna per condotta antisindacale ex art. 28, legge n. 300/70 e, nel caso in cui la mancata informazione e consultazione avesse inciso sul procedimento, annullamento, per esempio, dei licenziamenti intimati al termine di una procedura di mobilità.
Ora, invece, tale diritto alla informazione e alla consultazione si caratterizza per una specifica tutela: l’art. 7 del D.lgs n. 25/07 punisce il datore di lavoro inadempiente agli obblighi di cui sopra con una apposita sanzione amministrativa.
Datori di lavoro obbligati
I nuovi obblighi di informazione e consultazione riguardano i datori di lavoro, persone fisiche o giuridiche, che esercitano una attività in forma imprenditoriale – sia privata che pubblica – anche se volta per finalità non di lucro, e localizzata in Italia. La normativa in parola si applica soltanto alle imprese di una certa dimensione, tuttavia con una decorrenza che è scaglionata in relazione all’organico complessivo nel modo seguente:
– fino al 23 marzo 2007, soltanto alle imprese con almeno 150 lavoratori;
– dal 24 marzo 2007 al 23 marzo 2008, alle imprese con almeno 100 lavoratori.
Dal 24 marzo 2008 in poi, la disciplina in commento si applica a tutte le imprese che occupano almeno 50 dipendenti. Si precisa che i diritti di che trattasi non sono riconosciuti in modo generalizzato a tutti i lavoratori, ma solo ai rappresentati degli stessi.
I criteri di computo dei lavoratori
La determinazione dell’organico aziendale ai fini dell’applicazione degli obblighi di informazione e consultazione deve essere riferita in base alla media ponderata mensile dei lavoratori subordinati impiegati negli ultimi due anni. Risulterebbero pertanto esclusi da tale computo i collaboratori autonomi o parasubordinati, i soci e gli associati in partecipazione. Ai fini della determinazione del suddetto limite numerico si ritiene che non dovrebbero, inoltre, essere computati i dipendenti assunti secondo tipologie contrattuali generalmente escluse dal computo dei dipendenti quali i contratti di apprendistato e di inserimento.
Infine, sono escluse dal predetto computo, in base all’ art. 3, comma 1, del decreto in commento anche le assunzioni a termine di durata non superiore a nove mesi. Le assunzioni a tempo parziale devono essere computate invece in proporzione all’orario svolto rapportato al tempo pieno.
Obblighi del datore di lavoro
L’art.4 del D.lgs n. 25 rinvia alla contrattazione collettiva, anche preesistente, la disciplina delle sedi, dei tempi, dei soggetti, delle modalità e dei contenuti dei diritti di informazione e consultazione attribuiti ai lavoratori.
Al riguardo, si fa espresso riferimento agli accordi collettivi stipulati tra le organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, senza escludere – secondo la lettera della norma di cui sopra – la contrattazione decentrata, ovviamente nel rispetto degli accordi di livello superiore.
L’obbligo di informare e consultare i lavoratori è previsto in capo al datore di lavoro, in merito a:
a) l’andamento recente e prevedibile delle attività dell’impresa e la situazione economica della stessa;
b) la situazione, la struttura e l’andamento prevedibile dall’ occupazione nell’impresa, nonché, nel caso di rischi occupazionali, le relative misure di contrasto;
c) le decisioni suscettibili di comportare rilevanti cambiamenti dell’ organizzazione del lavoro e dei contratti di lavoro.
Le modalità con le quali il datore di lavoro deve procedere alla informativa in esame non sono state specificate dalla norma citata, la quale si limita a precisare che le stesse devono consentire ai rappresentanti dei lavoratori di procedere ad un esame adeguato delle informazioni così fornite e preparare, qualora ritenuto necessario, la vera e propria consultazione.
Circa la forma, pur non prevedendo nulla il legislatore al riguardo, si ritiene opportuno suggerire in ogni caso l’adozione di quella scritta.
Alla luce delle informazioni ricevute i rappresentanti dei lavoratori hanno diritto di formulare dei pareri e di ricevere, dal datore di lavoro, una motivata risposta.
Al riguardo, si sottolinea che non è necessario che le parti interessate debbano comunque raggiungere un accordo in materia. Quello che la norma in commento tende comunque a salvaguardare sono i diritti di informazione e di consultazione dei rappresentanti dei lavoratori, rimanendo ovviamente una prerogativa esclusiva del datore di lavoro l’esercizio del potere decisionale e organizzativo che gli è proprio.
La stessa norma, tuttavia, esonera il datore di lavoro dall’obbligo di procedere a consultazioni o a comunicare informazioni che, per comprovate esigenze tecniche, organizzative, e produttive, siano di natura tale da arrecare notevoli difficoltà al funzionamento della impresa o da provocarle, anche solo potenzialmente, un danno.
Obbligo di riservatezza
Ai destinatari delle informazioni di carattere aziendale è imposto, tuttavia, uno specifico obbligo di riservatezza. In aggiunta ai doveri di cui al Testo unico sulla privacy, l’art. 5 del D.lgs n. 25/07 stabilisce che i rappresentanti dei lavoratori, nonché gli eventuali esperti che li assistono, non sono autorizzati a rendere note né ai lavoratori né a terzi, le informazioni che siano state loro fornite in via riservata e come tali qualificate dal datore di lavoro o dai rappresentanti dello stesso, ciò nel legittimo interesse dell’impresa. Tale divieto, oltre che nel periodo di svolgimento dell’incarico, permane anche per i tre anni successivi alla scadenza del termine previsto dal relativo mandato, ed è indipendente dal luogo in cui i destinatari delle informazioni si trovino.
Nel caso di violazione dell’obbligo di che trattasi, oltre alla eventuale responsabilità a carattere risarcitorio che può derivarne, si applicano nei confronti dei trasgressori i provvedimenti disciplinari stabiliti dai contratti collettivi.
Inoltre, ma in tal caso solo a carico degli esperti che eventualmente assistono i rappresentanti dei lavoratori, l’art.7, comma 2, del decreto n. 25, punisce la violazione dell’obbligo di riservatezza con una sanzione amministrativa che ammonta da un minimo di 1.033 euro ad un massimo di 6.198 euro.
Conseguenze in caso di violazione degli obblighi
L’eventuale trasgressione degli obblighi, da parte del datore di lavoro, di comunicare le informazioni o di procedere alla consultazione ai sensi del decreto n. 25, è prevista con una sanzione amministrativa da un minimo di 3 mila ad un massimo di 18 mila euro per ciascuna violazione commessa. Tuttavia, dato che l’art.7, comma 3, richiama in proposito l’applicazione delle disposizioni sia della legge n. 689/81, sia del D.lgs n. 124/04, si ritiene – da parte dei primi commentatori – che tale ultima sanzione possa essere sanata qualora il datore di lavoro comunque adempia, anche se in ritardo, ai propri obblighi, ex art. 13 del decreto n. 124 stesso.
Infine, la competenza ad irrogare le suddette sanzioni spetta al personale ispettivo delle Direzioni provinciali del lavoro.
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