Si è svolta il 12 aprile c.m. l’audizione informale dell’ANCE presso la Commissione Ambiente della Camera nell’ambito dell’esame, in seconda lettura, in sede referente, del disegno di legge “Delega al Governo in materia di contratti pubblici” (DDL 3514/C).
L’Associazione era stata, già, ascoltata nel corso dell’iter, in prima lettura, al Senato (si veda, al riguardo, notizia del 19 ottobre 2021).
Il Vice Presidente ANCE per le opere pubbliche, Edoardo Bianchi, ha ricordato, in premessa, come nel settore dei lavori pubblici si è assistito, da oltre 15 anni, ad una fortissima contrazione degli investimenti. Ciò non bastando, il comparto delle costruzioni patisce, da decenni, l’assenza di una politica industriale che sia effettivamente orientata al rilancio degli investimenti infrastrutturali. Il PNRR rappresenta quindi un’occasione unica per traghettare il Paese verso la crescita e la modernità, dove il “peso delle riforme” è addirittura superiore al “peso degli investimenti”. In questo processo, il settore delle costruzioni ricopre un ruolo prioritario, rappresentando quel “debito buono” che potrà gettare le basi per una crescita duratura e finalizzata agli obiettivi della sostenibilità e della transizione verde.
A tal fine, è tuttavia indispensabile un “cambio di passo”: occorre riorganizzare il settore in maniera più snella, tempestiva ed organica, a partire anzitutto dalla normativa, ossia definendo una disciplina in linea con quello che l’Europa sta chiedendo da anni.
Ha, quindi, rilevato la necessità di prendere atto del fallimento del Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 50/2016), che risulta del tutto disapplicato. Ciononostante, continuano a dispiegarsi i suoi effetti, a partire da quelli delle sue (gravi e numerose) lacune.
Restano in vigore, infatti, una serie di disposizioni extravaganti, quali alcuni stralci del Codice “De Lise”, o anche intere parti del previgente regolamento di attuazione – di cui al d.p.r. 207/2010 – per giungere, in attesa del nuovo regolamento attuativo, alle diverse linee guida ANAC sinora adottate. Queste, solo per citarne alcune. In poco più di 4 anni, inoltre, il Codice ha subito almeno due interventi normativi profondi – rappresentati dal primo decreto correttivo n. 56/2017 e dal Dl Sblocca cantieri n. 32/2019 – che ne hanno completamente rivisto e/o sospeso gli aspetti fondamentali, a riprova dell’intrinseca irrealizzabilità e/o dell’erroneità di alcune scelte fatte.
Con il Dl semplificazioni n. 76/2020, addirittura, si è optato per la creazione di un sistema normativo “in deroga” fino al 31 dicembre 2021; termine poi prorogato dal DL Semplificazioni “bis” n. 77/2021 fino al 2023, con l’aggiunta di procedure derogatorie ad hoc per gli affidamenti del PNRR; il tutto, accompagnato dalla nomina di – numerosi – nuovi commissari “Sbloccacantieri”, dotati di “super poteri”.
A fronte di tale impasse normativo, il Governo, con il ddl delega, ha scelto di avviare la stagione della riforma del Codice, in tempi auspicabilmente veloci. Anche se tenuto conto dei tempi di approvazione della legge delega in esame, a cui si aggiungono quelli per l’adozione del nuovo Codice – almeno 6 mesi – verosimilmente, detta riforma non troverà applicazione alcuna con riferimento alla prima tranche di opere del PNRR, che andranno in gara, quindi, con le procedure “derogatorie”, previste del citato dl “semplificazione bis” fino al 2023.
Affinché il legislatore possa dar vita ad una normativa sui lavori pubblici moderna ed efficace, è tuttavia necessario che vi siano alcune “precondizioni essenziali”, senza le quali non sarà possibile ovviare ai limiti del precedente impianto regolatorio. In particolare, occorre anzitutto superare la “presunzione di colpevolezza”, in cui versa il comparto delle imprese di imprese e che porta all’ormai sistematico sacrificio delle legittime aspettative di giustizia degli operatori privati, e sulla contrapposta tendenza a dare più spazio alle ragioni della parte “forte” (alias pubblica) del rapporto. Inoltre, non è più rinviabile uscire dalla logica “suddito/sovrano” che pervade la contrattualistica pubblica, di matrice ottocentesca, con definitivo abbandono della tendenza ad accentuare la posizione di sudditanza delle imprese esecutrici, di fronte al “sovrano – committente”.
Infine, non è concepibile il solo ritorno allo schema operativo della “Legge Obiettivo” e del “General Contractor” solo per ovviare alla carenza organizzativa della pubblica amministrazione. Si tratta infatti di un modello che non ha raggiunto gli obiettivi auspicati, in termini di certezza dei tempi e costi di realizzazione.
Ciò posto, è necessario prevedere una nuova legge sui contratti pubblici, più snella e maggiormente equilibrata dell’attuale Codice degli Appalti, contenente le regole e i principi comuni per lavori, servizi e forniture, e un nuovo Regolamento attuativo, espressamente dedicato ai lavori pubblici, distinto da servizi e forniture, in cui recepire anche talune norme comunitarie. L’esperienza della “soft law” infatti è stata fallimentare: si è creato un quadro normativo disomogeneo, non coordinato, in continuo divenire, incapace di dare certezza agli operatori del mercato.
Il Vicepresidente, dopo aver sottolineato i punti di forza della legge delega, ha quindi rilevato che i criteri di delega andrebbero integrati con una serie di ulteriori principi. In particolare, ha individuato, tra l’altro, i seguenti:
Regolamento
Risulta assolutamente necessaria l’emanazione di un nuovo Regolamento attuativo, espressamente dedicato ai lavori pubblici, distinto da servizi e forniture, in cui recepire anche talune norme comunitarie.
L’adozione di un tale Regolamento, peraltro, era già stata prevista dall’attuale Codice degli appalti (art. 216, comma 27-octies), sulla falsariga della previgente disciplina. La sua mancata adozione ha costituito nel tempo un fattore di disorientamento per le stazioni appaltanti e di appesantimento della normativa primaria con norme di dettaglio.
Occorre quindi rendere cogente, già in sede di legge delega, la ridefinizione della disciplina secondaria mediante adozione di regolamenti attuativi distinti – uno per i lavori ed un altro per servizi e forniture – che tengano in considerazione le peculiarità delle diverse tipologie contrattuali.
Cause di esclusione -Illecito professionale
È necessario ricondurre la disciplina delle cause di esclusione di cui all’art. 80 dell’attuale Codice entro confini precisi, che ne garantiscano una equilibrata applicazione, nell’interesse sia delle imprese che delle amministrazioni appaltanti.
In tale ottica, è positiva l’introduzione di un principio di delega volto a razionalizzare e semplificare le cause di esclusione, al fine di rendere le regole di partecipazione chiare e certe, individuando le fattispecie che configurano l’illecito professionale.
Il grave illecito professionale – di cui all’art. 80, comma 5, lettera c), dell’attuale Codice degli appalti pubblici – ha costituito, infatti, fin dall’entrata in vigore della normativa del Codice 50, una causa di esclusione particolarmente critica e foriera di contenzioso.
Andrebbe altresì precisato, sempre in un’ottica di chiarezza e oggettività delle regole di partecipazione, che l’esclusione di un concorrente non possa poter essere disposta sulla base di valutazioni meramente soggettive dei fatti contestati ed in assenza di qualsivoglia certezza sulla loro fondatezza, prevedendo che il “mezzo adeguato” alla comprova dell’illecito dovrebbe essere sempre rappresentato da un accertamento giudiziale almeno di primo grado.
Concessionari autostradali ”senza gara”
Positiva è l’introduzione di un criterio di delega volto a disciplinare, tra le altre cose, le concessioni in essere alla data di entrata in vigore del nuovo Codice affidate “senza gara”, con l‘obbligo per tali soggetti, secondo criteri di gradualità e proporzionalità e tenendo conto delle dimensioni e dei caratteri del soggetto concessionario, dell’epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto e del suo valore economico, di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, parte dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle medesime concessioni.
Sul punto, tuttavia, occorre chiarire definitivamente che la nuova disciplina delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del nuovo Codice, che dovrà tenere conto dei principi espressi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 218 del 23 novembre 2021, non riguarderà i concessionari autostradali “senza gara”, rispetto ai quali continuerà ad applicarsi la disciplina prevista dall’articolo 177 del decreto-legislativo n. 50/2016.
Sussistono fortissimi dubbi, infatti, in merito al fatto che la sentenza della Corte Costituzionale n. 218/2021 – che ha censurato l’articolo 177 nella parte in cui obbligava i concessionari ad esternalizzare l’80 per cento dei contratti di loro competenza, potendo realizzare in house (se pubblici) o attraverso imprese collegate e/o controllate (se privati) la restante quota – abbia riguardato anche i concessionari autostradali, che quindi si ritiene continuino a soggiacere alla diversa quota del 60/40.
Nell’esporre le ragioni del giudizio di incostituzionalità delle norme censurate, infatti, la Corte fa costantemente ed esclusivamente menzione del riparto percentuale 80-20, mentre non viene mai citato il rapporto 60-40, relativo ai concessionari autostradali, che quindi deve ritenersi ancora vigente.
Di tale vincolo, quindi, si deve tener assolutamente conto anche in fase di riscrittura del Codice, verificandosi altrimenti un grave scostamento rispetto a quanto disposto dai principi eurounitari e una sottrazione di quote importanti di mercato dal libero gioco della concorrenza, con la conseguenza che l’ordinamento italiano si troverebbe nuovamente esposto al rischio di subire procedure di infrazione da parte della Commissione UE, come già avvenuto nel 2006.
I vincoli di cui all’articolo 177 sono stati, infatti, imposti proprio al fine di riallineare la disciplina interna ai principi imposti in materia dal diritto UE, recuperando il gap concorrenziale attraverso la messa in gara dei lavori di competenza dei predetti concessionari.
Revisione dei prezzi
La vicenda del caro materiali, su cui il Governo è dovuto intervenire in urgenza, pena il blocco generalizzato dei lavori, ha reso evidente la necessità di prevedere un meccanismo di revisionale “a regime”, attraverso il quale riconoscere alle imprese gli incrementi eccezionali intervenuti e ricondurre i rapporti negoziali nel perimetro dell’equilibrio sinallagmatico.
La revisione dei prezzi durante l’esecuzione del contratto, infatti, è uno strumento necessario per mantenere costante l’equilibrio sinallagmatico tra i contraenti, talché non può essere rimessa alla sola scelta unilaterale delle stazioni appaltanti, ma dovrebbe essere resa obbligatoria, in presenza di condizioni obiettive.
Positiva, quindi, è l’introduzione nel DDL in esame dell’obbligo per le stazioni appaltanti di prevedere un regime obbligatorio di revisione prezzi; occorre tuttavia eliminare la circostanza che tale meccanismo scatti al verificarsi di “particolari condizioni”, per renderlo idoneo a garantire in generale la sostenibilità dei contratti durante tutta la fase di esecuzione.
Potenziamento degli strumenti di ADR
Il contenzioso, sia in fase di gara che in quella esecutiva, rappresenta una delle criticità generale del sistema di realizzazione dei lavori pubblici.
Si sottolinea l’importanza di potenziare gli strumenti di tutela alternativi al contenzioso giudiziario, nell’ottica di risolvere in tempo utile eventuali contenziosi che dovessero originarsi in sede di esecuzione dei lavori.
In questo contesto, l’istituto del Collegio Consultivo Tecnico rappresenta una delle più importanti novità introdotte da ultimo, per addivenire in tempi rapidi al superamento delle controversie che possono sorgere in corso d’esecuzione, e cosi giungere celermente alla realizzazione delle opere.
È interesse generale, pertanto, che tale strumento diventi pienamente operativo e trovi un’applicazione generalizzata per tutti gli appalti di lavori, senza distinzioni in ragione degli importi, anche perché la stragrande maggioranza dei contratti pubblici affidati in Italia sono di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria.
Qualificazione imprese
Nell’ambito del criterio di revisione e semplificazione del sistema di qualificazione generale degli operatori, occorre recuperare il ruolo centrale dell’appaltatore nell’esecuzione dell’appalto, bilanciando la responsabilità di quest’ultimo nei confronti della stazione appaltante con una disposizione che consente di utilizzare, ai fini della qualificazione della stessa impresa aggiudicataria, le lavorazioni affidate in subappalto.
Ciò, in coerenza sia con la normativa comunitaria sia con la giurisprudenza della Corte, che considerano coerente con i principi comunitari l’esecuzione dell’opera attraverso un subappaltatore. Infatti, secondo tale ricostruzione, un operatore economico è ammesso a presentare un’offerta, laddove si reputi idoneo a garantire l’esecuzione di detto appalto, in modo diretto oppure facendo ricorso al subappalto (ex multis, C-234/14 del 14 gennaio 2016 e C-305/08 del 23 dicembre 2009).
Le imprese italiane devono potersi qualificare al pari di quelle estere, anche attraverso i lavori eseguiti in subappalto.
Più in generale, occorre perfezionare la qualificazione delle imprese, al fine di garantire l’accesso al mercato di soggetti realmente idonei.
L’attestazione SOA è condizione necessaria per partecipare alla gara ma, di fatto, non è più sufficiente. Spesso, infatti, vengono richiesti ulteriori requisiti di consistenza di personale al momento della gara, oltre che di lavori identici/similari a quelli base d’asta.
In questo contesto, non va dimenticato che il legislatore nazionale, in sede di recepimento delle nuove direttive UE, ha optato per mantenere il sistema delle SOA, sia pure con le necessarie modifiche e correzioni.
Serve infatti un “sistema di qualificazione nazionale unico”, anche di natura pubblicistica, che abiliti le imprese a partecipare alle gare di appalto, almeno in una determinata fascia d’importo.
Occorre logicamente apportare alcune migliorie al sistema SOA, almeno per gli appalti contenuti al di sotto di una determinata fascia di importo, purché ciò non si traduca nella richiesta, gara per gara, di ulteriori requisiti aggiuntivi rispetto all’attestazione.
È indispensabile infine implementare la qualificazione SOA con i requisiti qualitativi/reputazionali, idonei a misurare il curriculum dell’impresa.
Snellimento della fase “a monte” dei lavori pubblici
La legge delega sul punto risulta molto positiva poiché parla di semplificazione delle procedure di approvazione dei progetti, anche mediante eventuale riduzione dei livelli progettuali, considerato che oggi le cd. “procedure a monte della gara” risultano altamente complesse e in grado di ritardare notevolmente la cantierizzazione delle opere.
È fondamentale lo snellimento delle procedure di approvazione dei progetti delle opere pubbliche – che attualmente si basano su tre livelli successivi di progettazione ciascuno oggetto di un autonomo procedimento approvativo – rafforzando su ciascun livello la funzione di raccordo, semplificazione e coordinamento che lo strumento della conferenza di Servizi è chiamato a promuovere e tutelare.
Più in generale, occorre snellire la fase che precede la messa a gara dei lavori, dove si concentra il 70% dei ritardi, portando “a regime” i poteri connessi al modello “commissariale” utilizzato per i lavori della tratta ferroviaria NA-BA, che hanno dato ottimi risultati in termini di accelerazione di tale segmento procedurale.
Molte stazioni appaltanti hanno infatti denunciato la necessità che, in sede di “conferenza dei servizi”, vi sia un coordinamento tra le previsioni del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile, quelle del Ministero della transizione ecologica e, infine, quelle del Ministero della Cultura.
In particolare, per quanto riguarda la conferenza di servizi, occorre sia un miglior coordinamento con la disciplina generale di tale istituto contenuta negli artt. 14 e ss della Legge 241/1990, sia la previsione di specifiche misure di semplificazione e accelerazione.
In allegato il documento consegnato agli atti della Commissione con il dettaglio delle osservazioni e proposte ANCE.
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