[Il Sole 24 Ore – 09/10/2012 – di Paolo Buzzetti]
La lettera
Subito un piano salva-casa
Caro Direttore,
sappiamo tutti quanto gli italiani abbiano a cuore la propria casa. Per ragioni legate alla cultura e ai valori sociali, oltre che economici, del nostro Paese, la casa è per le famiglie italiane un bene primario nel quale spesso sono state investite le fatiche di tutta una vita e sulla quale si ripone la prospettiva di un futuro sereno per i propri figli. Considerazioni che devono spingere a essere cauti nel preconizzare fantomatiche bolle immobiliari o cadute vertiginose dei prezzi degli immobili che altro non fanno che infondere ulteriore sfiducia nelle famiglie e in un mercato già messo a dura prova da una crisi senza precedenti.
Già nel 2008 l’Ance, dati alla mano, spiegò perché in Italia non avremmo assistito al deprezzamento repentino degli immobili e a bolle immobiliari, così come stava accadendo negli Stati Uniti e come sarebbe accaduto anche in Europa, vedi la Spagna. Un basso livello di indebitamento delle famiglie e un numero sempre elevato, e in aumento, di nuclei in cerca di un’abitazione, sono tra i motivi principali che mettono il nostro Paese al sicuro dal rischio di crisi finanziarie legate alla casa.
Anzi, proprio la richiesta costante di un’abitazione – preferibilmente a basso consumo energetico, sicura e dotata di tutti i servizi necessari al benessere familiare – è uno degli elementi che non risente di alcuna crisi. Eppure, il settore delle costruzioni avrebbe potuto fare da traino a tutta l’economia nazionale se in questi anni si fossero usati i fondi disponibili per investimenti infrastrutturali di dimensione piccola e media e si fossero adottate misure più coraggiose a favore del settore immobiliare. Invece abbiamo subito interventi penalizzanti (vedi Imu) e continuiamo a sopportare il peso inaccettabile dei ritardati pagamenti della P.a. Tutto questo ha messo in ginocchio un settore, quello delle costruzioni appunto, che prima della crisi rappresentava l’11% del Pil italiano con circa 3 milioni di occupati.
Appare quindi del tutto fuori luogo profetizzare un abbassamento incondizionato del valore delle case – e di conseguenza un ulteriore impoverimento delle famiglie – come qualcuno sembra fare negli ultimi tempi, quando invece si dovrebbero cercare, tutti insieme, soluzioni capaci di rispondere a un’esigenza sociale ed economica allo stesso tempo. Cominciamo allora con proporne alcune.
La prima cosa da fare è riattivare il circuito del credito, sia per le famiglie che per le imprese. Le nostre analisi rilevano chiaramente che la vera causa del ridimensionamento del settore immobiliare non è l’invenduto, ma il calo del 50% di mutui erogati. Questo vuol dire che, per gran parte dei nuovi nuclei familiari che si formano ogni anno, l’acquisto di una casa è ormai una chimera. Finora però le conseguenze e le ripercussioni economico-sociali di questo fenomeno sono state, a nostro avviso, molto sottovalutate e, nonostante gli sforzi fatti negli ultimi mesi dal Governo, che ha avviato un importante lavoro di rilancio delle nostre città, non si sono trovate ancora risposte efficaci ad evitare quella che si profila come un’autentica emergenza che sta investendo i giovani e le fasce meno abbienti della popolazione.
Ci vuole, quindi, subito un piano “salva-casa”. E per farlo è necessario ritornare allo spirito che animò le politiche di ricostruzione del Dopoguerra e che, non a caso, proprio in queste ultime settimane la banca centrale americana (Fed) sta mettendo in campo. Noi pensiamo che anche in Italia si debba e si possa fare.
Mi riferisco alla possibilità che investitori istituzionali, come ad esempio la Cdp, o la stessa BCE, acquistino titoli emessi dalle banche per finanziare i mutui residenziali concessi a specifiche fasce della popolazione, garantiti dalle ipoteche sottostanti (covered bond). Ad esempio, potrebbero essere finanziati mutui per acquisto prima casa, o dedicati alle giovani coppie e per abitazioni “verdi”. In queste operazioni la Cdp potrebbe avere un ruolo importante in quanto può approvvigionarsi a lungo termine ad un costo inferiore di circa il 30% rispetto al costo della provvista di una banca di medio-grandi dimensioni.
In questo modo si garantirebbe agli istituti di credito la disponibilità di funding a lungo termine (25-30 anni) che servirebbe a finanziare i mutui alle famiglie, e al tempo stesso i benefici del minor costo della raccolta si concretizzerebbero per le famiglie sotto forma di un tasso d’interesse più basso e di una quota di finanziamento concesso più alta. In concreto si tratterebbe di 7-10 mld messi a disposizione da Cdp e da altri investitori istituzionali. Questi, una volta ristabilitasi la fiducia sui mercati e sul debito sovrano italiano, potrebbero rivendere i titoli.
Infine, per le fasce di popolazione più deboli, sarebbe opportuno istituire anche un Fondo di garanzia dello Stato, come in altri Paesi europei, che, a seguito della consueta analisi del rischio da parte delle banche, copra i rischi di insolvenza che le famiglie italiane corrono a causa del protrarsi della crisi.
Queste misure non producono debito pubblico e sono a bassissimo rischio. Ma bisogna fare in fretta. Le imprese sono allo stremo e tra i cittadini regna un clima di sfiducia e di angoscia per il futuro che difficilmente ci consentirà di uscire in tempi brevi da questa pesante recessione.
Al rigore, come diciamo da tempo, è necessario accompagnare efficaci misure per la crescita e interventi mirati a far ripartire l’edilizia, dando impulso all’occupazione. Molto c’è da fare, infatti, per rendere le città più vivibili e mettere in sicurezza il territorio. Sfide che abbiamo il dovere di cogliere non solo per noi stessi ma anche per le generazioni future.
Paolo Buzzetti, Presidente Ance