Con la sentenza in oggetto, il Consiglio di Stato ha affrontato la questione della esatta definizione della nozione di socio di maggioranza, ai fini dell’applicazione della normativa di cui all’art. 38 del D.lgs. 163/06.
Più precisamente, la questione sottoposta all’ Adunanza Plenaria concerneva l’individuazione precisa dei soggetti su cui incombe l’obbligo, ai fini della verifica dei requisiti di idoneità professionale, delle dichiarazioni prescritte dalla legge.
Al riguardo, dev’essere preliminarmente evidenziato che l’art. 38 comma I, lettera b), c) e m-ter) del Codice dei Contratti Pubblici contempla genericamente la nozione di socio di maggioranza, non precisando se tale maggioranza sia quella assoluta ( ovvero presupponga una partecipazione superiore al 50% del capitale sociale) ovvero quella relativa. Tale mancanza ha logicamente generato un dubbio interpretativo in sede applicativa, che, in considerazione della rilevanza ai fini della partecipazione/esclusione dei soggetti coinvolti, ha giustificato la rimessione all’esame dell’Adunanza Plenaria la relativa questione di diritto.
Il Consiglio, in particolare, ha, in via preliminare, alla luce della giurisprudenza richiamata ( Cons. Stato n. 4654/2012), escluso ogni rilevanza del dato letterale, e, segnatamente, ha ritenuto non dirimente l’impiego del singolare ( “socio” e non soci) ai fini della risoluzione del dubbio interpretativo. È stato, infatti, ribadito come l’uso del singolare deve essere spiegato soltanto in funzione della portata dell’obbligo dichiarativo, che fa evidentemente capo al singolo esponente societario.
Nel merito, invece, il Giudice Amministrativo ha ritenuto di basarsi, ai fini della soluzione della questione ermeneutica, sulla interpretazione teleologica del disposto dell’art. 38 succitato. Id est, considerato che attraverso l’obbligo delle dichiarazioni per il socio di maggioranza, la norma vuole garantire che le stazioni appaltanti possano verificare l’affidabilità morale delle società concorrenti, ne consegue che sarà ostativo alla partecipazione il mancato possesso dei requisiti morali soltanto da parti di soci idonei ad influenzare, in termini decisivi e ineludibili, le decisioni societarie. La verifica di tale presupposto risulta essere, dunque, imprescindibile ai fini dell’operatività dell’obbligo dichiarativo. Se tale verifica è di palmare evidenza nel caso di socio titolare di più del 50% del capitale sociale, invece, un più approfondito esame meritano le ipotesi di società costituite da due soci al 50% e di società con tre soci, ognuno dei quali con meno del 50% del capitale.
Con riferimento alla prima ipotesi, il Consiglio ritiene sussistere l’obbligo dichiarativo in capo ad entrambi i soci partecipanti al 50% del capitale, poiché entrambi hanno un potere decisionale condizionante, dal momento che in nessuno caso le decisioni societarie possono essere adottate senza i rispettivi apporti, sia in negativo che in positivo.
L’ipotesi, invece, della società con tre soci risulta di diversa soluzione, a seconda che nessuno dei tre soci partecipi al 50% ovvero ve ne sia uno titolare di tale partecipazione. Nel primo caso, infatti, indipendentemente dalle specifiche percentuali di partecipazione, ciascuno socio non è mai esclusivamente e da solo determinante, poiché necessita sempre dell’accordo con un altro socio, per raggiungere la maggioranza decisionale. Nessuno dei soci ha, pertanto, l’obbligo delle dichiarazioni prescritte dall’art. 38 in epigrafe indicato, poiché nessuno ha una posizione tale da condizionare l’adozione delle scelte operative.
Diversamente, invece, nella seconda ipotesi, il socio al 50% del capitale condiziona, da solo, le decisioni sociali, poiché in nessun caso possono essere adottate senza il suo consenso, che è, quindi, necessario e imprescindibile. Ne consegue che, in tal caso, le prescritte dichiarazioni ex art 38 del Codice succitato dovranno essere rese da tale socio, a pena di esclusione.
Il Consiglio, peraltro, sottolinea come tali conclusioni, non solo siano adeguate allo scopo, poiché evitano margini di discrezionalità e incertezza nell’azione amministrativa, ma anche coerenti con la normativa sulla tipizzazione e tassatività delle clausole di esclusione, poiché individuano preventivamente e precisamente i soci obbligati alle dichiarazioni prescritte Pertanto, la mancata dichiarazione da parte di tali soggetti si configura quale ragione di esclusione per “mancato adempimento alle prescrizioni previste dal codice” (art. 46, comma 1-bis, del D.lgs. 163/06). In ultimo, poi, lo stesso Giudice evidenzia come tale coerenza non sarebbe stata conseguita laddove si fosse qualificato socio di maggioranza anche chi possegga la maggioranza relativa del capitale. In tale ipotesi, infatti, ai fini della integrazione della necessaria capacità decisionale condizionante, sarebbe necessario valutare la sussistenza di ulteriori fattori di influenza, da riscontrare in concreto alla luce degli specifici equilibri societari. Sarebbe stato, dunque, attribuito alle stazioni appaltanti un autonomo potere discrezione di valutazione, tale da generare margine di incertezza sulle clausole di esclusione.
Sulla base delle considerazione svolte, l’Adunanza Plenaria ha affermato, pertanto, con la sentenza n. 24 del 6 Novembre 2013, il seguente principio di diritto : “L’espressione “socio di maggioranza” di cui alle lettere b) e c) dell’art. 38, comma 1, del D.lgs. 163 del 2006, e alla lettera m-ter) del medesimo comma, si intende riferita, oltre che al socio titolare di più del 50% del capitale sociale, anche ai due soci titolari ciascuno del 50% del capitale o, se i soci sono tre, al socio titolare del 50%”.
In allegato alla presente news il testo integrale della decisione.
13752-Sentenza 24-2013.pdfApri