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La Corte di Giustizia europea interviene sui limiti dell’ammissibilità della clausola che in presenza di un patto di legalità, cui ha aderito la stazione appaltante, fa corrispondere l’esclusione del concorrente per mancato deposito della dichiarazione di adesione

Archivio, Opere pubbliche

Appalti pubblici: promossi con riserva i protocolli di legalità

5 Novembre 2015
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Le norme fondamentali e i principi generali del Trattato UE non ostano a una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un’amministrazione aggiudicatrice possa prevedere che un candidato o un offerente sia escluso automaticamente da una procedura di gara per non aver depositato, unitamente alla sua offerta, un’accettazione scritta degli impegni e delle dichiarazioni contenuti in un protocollo di legalità, finalizzato a contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici.
 
Tuttavia, non possono comportare l’esclusione automatica dell’impresa le clausole del protocollo che impongono al partecipante alla procedura di dichiarare che:
 
•                 non si trovi in situazioni di controllo o di collegamento con altri candidati o offerenti;
•                 non subappalterà lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese partecipanti alla medesima procedura.
 
E’ quando deciso dalla Decima Sezione della Corte di Giustizia europea nella causa C–425/14 (Sentenza 22 ottobre 2015 Impresa Edilux e SICEF), avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (ordinanza del 9 luglio 2014).
 
Più in particolare, al centro della causa sottoposta alla Corte (datata 2013) vi era la valutazione sulla legittimità dell’esclusione da una gara di appalto, disposta dalla Soprintendenza ai beni culturali di Trapani, di un raggruppamento di imprese per il mancato deposito dell’accettazione del protocollo di legalità, nonostante questa fosse prevista come propedeutica alla partecipazione alla gara.
 
Avendo il TAR per la Sicilia respinto il ricorso delle imprese avverso l’esclusione, le stesse hanno proposto appello dinanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana. Quest’ultimo giudice ha sollevato presso la Corte di giustizia europea la questione della compatibilità con il diritto comunitario della causa di esclusione relativa alla mancata accettazione del protocollo di legalità.
 
La Corte di Giustizia europea si è, quindi, pronunciata in merito alla legittimità – rispetto alle norme fondamentali e i principi generali del Trattato – di una disposizione di diritto nazionale in forza della quale un’amministrazione aggiudicatrice possa escludere il concorrente per mancato deposito dell’adesione ad un protocollo finalizzato al contrasto delle attività criminali.
 
 
1.         Potere discrezionale Stati membri
 
La sentenza in esame verte sull’interpretazione dell’articolo 45 della direttiva 2004/18/CE, concernente le cause di esclusione relative alla “situazione personale del candidato o dell’offerente”, nonostante nel caso specifico questo articolo non trovi applicazione, poiché, come osserva la Corte, si tratta di appalto di importo inferiore alla soglia comunitaria.
 
Infatti, alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici «si applicano comunque le norme fondamentali e i principi generali del Trattato FUE, segnatamente i principi di parità
di trattamento e di non discriminazione a motivo della nazionalità nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva, purché tali appalti presentino un interesse transfrontaliero certo, tenuto conto di determinati criteri oggettivi (v., in tal senso, sentenza Enterprise Focused Solutions, C-278/14, EU:C:2015:228, punto 16 nonché giurisprudenza citata).»
 
Ciò posto, la Corte si esprime, come visto, su come debbano essere interpretati nel caso in esame i principi di parità di trattamento e di non discriminazione a fronte di una disposizione di diritto nazionale in forza della quale è introdotta una nuova causa di esclusione, rispetto a quelle previste dal predetto articolo della direttiva.
 
La Corte si era già espressa in proposito, riconoscendo agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza, i quali si impongono alle amministrazioni aggiudicatrici in tutte le procedure di aggiudicazione di un appalto pubblico (cfr., in tal senso, sentenza Serrantoni e Consorzio stabile edili, C- 376/08, EU:C:2009:808, punti 31 e 32 nonché giurisprudenza citata).
Ciò, in ragione del fatto che è il singolo Stato membro ad essere «nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati».
 
 
2.         Fondamento legislativo dei patti di legalità
 
La Corte ricorda che nel quadro normativo nazionale è previsto il principio di tassatività delle cause di esclusione, secondo cui «la stazione appaltante esclude i candidati o i concorrenti in caso di mancato adempimento alle prescrizioni previste dal presente codice e dal regolamento e da altre disposizioni di legge vigenti» (art. 46, comma 1 bis, del decreto legislativo del 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, elaborato in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
 
Per quanto riguarda i patti o protocolli di legalità, tale fondamento normativo è da ricondurre all’articolo 1, comma 17, della legge del 6 novembre 2012, n. 190, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (GURI n. 265 del 13 novembre 2012) che dispone, sempre per le stazioni appaltanti, la possibilità di «prevedere negli avvisi, bandi di gara o lettere di invito che il mancato rispetto delle clausole contenute nei protocolli di legalità o nei patti di integrità costituisce causa di esclusione dalla gara».
 
Al riguardo, la Corte ammette che non si può ritenere che l’obbligo di dichiarare, sin dall’inizio della partecipazione a una gara, l’accettazione degli impegni contenuti in un protocollo di legalità ecceda di per sé quanto necessario al fine del raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Anzi, ostacolando l’attività criminale e le distorsioni della concorrenza da questa derivanti, tale misura è idonea a rafforzare la parità di trattamento e la trasparenza nell’aggiudicazione degli appalti.
 
 
3.    Analisi delle singole clausole
 
Secondo la Corte, la legittimità delle clausole obbligatorie contenute in un patto di legalità non toglie che queste stesse debbano essere, comunque, valutate alla luce del principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto dell’Unione.
 
Ne consegue che un’eventuale misura preventiva posta a carico del concorrente, da parte della Stazione appaltante, non può e non deve eccedere quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito.
 
Ciò posto la citata Sezione X della Corte ritiene LEGITTIME le dichiarazioni – con cui il concorrente si impegna a:
1)               comunicare lo stato di avanzamento dei lavori, l’oggetto, l’importo e la titolarità dei contratti di subappalto e derivati nonché le modalità di scelta dei contraenti,
2)               segnalare qualsiasi tentativo di turbativa, irregolarità o distorsione nelle fasi di svolgimento della gara d’appalto e durante l’esecuzione del contratto,
3)               collaborare con le forze di polizia, denunciando ogni tentativo di estorsione, intimidazione o condizionamento di natura criminale,
4)               inserire identiche clausole nei contratti di subappalto.
 
Queste, infatti, vertendo sul comportamento leale dell’operatore economico e sulla sua collaborazione con le forze dell’ordine, non eccedono «quanto necessario al fine di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici».
 
E’, altresì, LEGITTIMA la dichiarazione con cui il concorrente evidenzia di non essersi accordato (e non si accorderà) con altri partecipanti alla gara d’appalto per circoscrivere od eludere la concorrenza, in quanto: «essa si limita all’obiettivo di tutelare i principi di concorrenza e di trasparenza nelle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici».
 
Di contro, è ILLEGITTIMA, nella misura in cui comporti l’esclusione automatica, la dichiarazione con cui il concorrente si impegna a:
 
•         non trovarsi in situazioni di controllo o di collegamento con altri concorrenti, perché contraria al principio proporzionalità, in quanto si tratta di: «una presunzione irrefragabile d’interferenza reciproca nelle rispettive offerte, per uno stesso appalto, di imprese legate da una situazione di controllo o di collegamento. Essa esclude in tal modo la possibilità per tali candidati o offerenti di dimostrare l’indipendenza delle loro offerte ed è quindi in contrasto con l’interesse dell’Unione a che sia garantita la partecipazione più ampia possibile di offerenti a una gara d’appalto»;
•         non subappaltare lavorazioni di alcun tipo ad altre imprese partecipanti alla gara e con cui si rende consapevole che, in caso contrario, tali subappalti non saranno autorizzati, perché contraria al principio proporzionalità, in quanto: «una tale dichiarazione […] implica una presunzione irrefragabile secondo la quale l’eventuale subappalto da parte dell’aggiudicatario, dopo l’aggiudicazione dell’appalto, a un altro partecipante alla stessa gara d’appalto derivi da una collusione tra le due imprese interessate, senza lasciare loro la possibilità di dimostrare il contrario. Così, una siffatta dichiarazione eccede quanto necessario al fine di prevenire comportamenti collusivi».

22596-Sentenza CGE patto legalità.pdfApri
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