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La Corte Costituzionale ha fornito chiarimenti sull’art. 3-bis del Testo Unico Edilizia, inserito dal decreto legge “sblocca cantieri”, relativo alla riqualificazione di aree in cui sono presenti edifici ritenuti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione

Archivio, Edilizia e territorio

Sblocca cantieri: interventi di conservazione alternativi all’esproprio

7 Aprile 2016
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L’art. 3-bis del Dpr 380/2001 “Testo Unico edilizia”, in tema di “Interventi di conservazione”, disciplina una procedura per la riqualificazione di aree in cui sono presenti edifici ritenuti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione, stabilendo che “Lo strumento urbanistico individua gli edifici esistenti non più compatibili con gli indirizzi della pianificazione. In tal caso l’amministrazione comunale può favorire, in alternativa all’espropriazione, la riqualificazione delle aree attraverso forme di compensazione incidenti sull’area interessata e senza aumento della superficie coperta, rispondenti al pubblico interesse e comunque rispettose dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa. Nelle more dell’attuazione del piano, resta salva la facoltà del proprietario di eseguire tutti gli interventi conservativi, ad eccezione della demolizione e successiva ricostruzione non giustificata da obiettive ed improrogabili ragioni di ordine statico od igienico sanitario”.
 
Si tratta di una norma di carattere urbanistico, inserita dal decreto legge 133/2014, che ha sempre destato perplessità non solo per la sua collocazione, ma anche e soprattutto per i contenuti poco chiari.
 
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 67 del 5 aprile 2016 che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art. 3-bis del Dpr 380/2001 proposta dalla Regione Puglia, ha fornito alcuni spunti utili per arrivare ad una migliore comprensione della norma.
 
In particolare, secondo la Consulta:
– l’art. 3-bis è una norma di “principio”, coerente pertanto con il riparto delle competenze legislative fra Stato e Regioni in materia di governo del territorio e volta, da un lato, ad evitare che, relativamente alle attività di risanamento urbanistico, su tutto il territorio nazionale si possano determinare situazioni di disparità di trattamento e, dall’altro, che l’eventuale inerzia delle p.a. in ordine all’attuazione degli interventi di conservazione, impedisca comunque ai proprietari degli immobili di esercitare scelte o facoltà direttamente connesse al proprio diritto di proprietà;
– la norma lascia inalterata l’attribuzione ai comuni della funzione di pianificazione urbanistica e di individuazione in concreto delle aree da risanare con l’adozione degli appositi strumenti di concertazione perequativa e di assenso alla realizzazione delle opere;
– si è in presenza di una misura riconducibile al sistema della cd. “perequazione urbanistica”, inteso a combinare, in contesti di “urbanistica contrattata”, il mancato onere per l’amministrazione comunale connesso allo svolgersi di procedure espropriative con l’incentivazione al recupero, eventualmente anche migliorativo del patrimonio immobiliare esistente da parte dei proprietari: il tutto in linea con l’esplicito intento del decreto “sblocca cantieri” di promuovere la ripresa del settore edilizio senza aumentare, ed anzi riducendo, il consumo di suolo.
 
 
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale 67/2016
 
 

24280-Sent. Corte Cost. n. 67 del 5 aprile 2016.pdfApri
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