Le Regioni ad autonomia speciale anche se hanno, secondo i loro rispettivi statuti, competenza esclusiva nella materia urbanistica, non possono prevedere norme differenti rispetto a quella statale per la disciplina dell’accertamento di conformità edilizia ossia della possibilità di presentare un permesso per sanare delle opere realizzate in assenza o in difformità del titolo edilizio.
Ad affermarlo è la Corte Costituzionale che, con la sentenza dell’8 novembre 2017, n. 232, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nella Legge regionale del 10 agosto 2016, n. 16 con la quale la Sicilia ha recepito il Dpr 380/2001 (TU edilizia).
Tra le norme censurate vi è quella con cui la Regione Sicilia, nel recepire l’articolo 36 del Dpr 380/2001 in materia di accertamento di conformità, aveva stabilito:
– la possibilità di ottenere il permesso di costruire in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente solo al momento della presentazione (e non anche al tempo di realizzazione dell’opera come prescritto a livello statale);
– l’introduzione di un meccanismo di silenzio-assenso ai fini del rilascio del permesso in sanatoria (anziché come previsto dalla norma statale la formazione del silenzio-rigetto in caso di mancato pronunciamento da parte del comune entro 60 giorni).
Entrambe le norme contenute nell’articolo 14, commi 1 e 3, della legge regionale della Sicilia sono illegittime in quanto la Corte Costituzionale, aderendo ad alcuni principi già espressi, ha espressamente stabilito che “ pur riconoscendo che la disciplina dell’accertamento di conformità attiene al governo del territorio, va comunque precisato che spetta al legislatore statale la scelta sull’an, sul quando e sul quantum della sanatoria, potendo il legislatore regionale intervenire solo per quanto riguarda l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni (sentenza n. 233 del 2015). Quanto alle Regioni ad autonomia speciale, ove nei rispettivi statuti si prevedano competenze legislative di tipo primario, si è puntualizzato che esse devono, in ogni caso, rispettare il limite della materia penale e di «quanto è immediatamente riferibile ai principi di questo intervento eccezionale di grande riforma», come nel caso del titolo abilitativo edilizio in sanatoria (sentenza n. 196 del 2004)” (…) “Né alcun rilievo assume la presunta coerenza delle disposizioni impugnate con gli approdi di una parte della giurisprudenza amministrativa (sulla cosiddetta sanatoria giurisprudenziale), peraltro contraddetta da orientamenti consolidati, espressi anche di recente (Consiglio di Stato, sez. sesta, n. 3194 del 2016), «perché un suo eventuale riconoscimento normativo non potrebbe che provenire dal legislatore statale» (Corte cost., sentenza n. 233 del 2015)”
Tra le altre norme contenute nella LR 16/2016 dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale si segnalano anche:
– l’articolo 3, comma 2 lettera f) che consentiva di realizzare senza alcun titolo abilitativo e senza prevedere la previa verifica inerente la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA), tutti gli impianti ad energia rinnovabile di cui agli articoli 5 e 6 del d.lgs. 28/2011. Tale norma regionale “esula dalle competenze legislative attribuite alla Regione dallo Statuto speciale e contrasta con la normativa statale in materia di tutela dell’ambiente, in violazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione”;
– l’art. 16, nella parte in cui, al comma 1, consentiva l’inizio dei lavori edilizi nelle località sismiche senza la necessità della previa autorizzazione scritta, prescritta dall’art. 94 del DPR 380/01.La disposizione regionale impugnata eccede le competenze regionali e si pone in contrasto con un principio fondamentale posto dal legislatore statale nella materia della «protezione civile», di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale dell’8 novembre 2017, n. 232
30496-Sent.Cort.Cost. n. 232 – 8-11-17.pdfApri