La Consulta in una recente sentenza innovativa ha individuato le condizioni di legittimità delle deroghe alle distanze fra costruzioni stabilite dalle Regioni
Sono legittime le leggi regionali che prevedono deroghe ai limiti di distanza fra edifici fissati da norme comunali. È quanto ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 119 del 23 giugno 2020 che ha “confermato” le norme sulle distanze del Piano casa del Veneto (LR 14/2009 come interpretate in via autentica dall’art. 64 della LR 30/2016). Tali norme, infatti, consentono agli interventi di ampliamento degli edifici esistenti di derogare alle previsioni dei regolamenti edilizi e dei piani urbanistici e territoriali.
Con un ragionamento innovativo – che valorizza le esigenze di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente e di contenimento del consumo di suolo – la Consulta ha giudicato legittime le deroghe alle distanze fra costruzioni quando riguardano:
La disciplina delle distanze contenuta nel codice civile – ha evidenziato la Suprema Corte – è finalizzata ad assicurare che “i rapporti fra privati siano disciplinati nell’intero territorio della Repubblica secondo criteri di identità” ma “poiché i fabbricati insistono su di un territorio che può avere, rispetto ad altri – per ragioni naturali e storiche – specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda – e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura deve ritenersi affidata anche alle Regioni perché attratta all’ambito di competenza concorrente del governo del territorio”.
Pertanto le Regioni, nel legiferare in materia urbanistico-edilizia, incontrano il limite delle disposizioni statali in tema di distanze, ma non anche quello delle norme dei regolamenti e dei piani di livello locale. Le leggi regionali, dunque, possono derogare le regole comunali sui limiti di distanza purché perseguano interessi collettivi e circoscrivano le deroghe in modo tale da non svuotare i comuni delle proprie competenze primarie in materia di urbanistica ed edilizia.
Si tratta di una pronuncia importante perché la Corte Costituzionale riconosce – innovando profondamente l’orientamento fatto proprio nelle precedenti pronunce sul tema – il valore degli obiettivi di riduzione del consumo di suolo e di rigenerazione urbana e l’interesse pubblico degli interventi sul patrimonio edilizio esistente.
A supporto di queste considerazioni la Corte ha evidenziato come anche a livello statale ultimamente “si è registrato un allentamento del regime delle distanze nelle zone omogenee totalmente o parzialmente edificate, al medesimo fine di perseguire obiettivi di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, fattore primario in una strategia di riduzione del consumo di suolo” e ha richiamato espressamente l’art. 5, comma 1, lettera b-bis) del Decreto Legge 32/2019 cd. “Sblocca Cantieri”. Si tratta della norma che risponde ad un problema sollevato dall’Ance ed in base alla quale si è chiarito che le maggiori distanze (rispetto al limite generale di 10 metri) previste per gli edifici fra cui intercorrano strade carrabili (commi 2 e 3 dell’art. 9 del DM 1444/1968), si applicano esclusivamente nelle zone omogenee C (espansione) e non anche alle altre zone omogenee, prime fra tutte le zone B ossia quelle totalmente o parzialmente edificate.
In allegato la sentenza della Corte Costituzionale n. 119/2020
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