Il quadro normativo in materia di contratti pubblici relativi ai beni culturali sta vivendo una stagione di importanti trasformazioni, con interventi legislativi che stanno interessando anche la disciplina sui beni culturali; di seguito l’analisi della Direzione Legislazione Opere pubbliche.
Le novità più significative sono giunte con il d.lgs. 209/2024, recante disposizioni integrative e correttive al codice appalti (d.lgs. 36/2023), su cui è intervenuto, con la Circolare n. 10/2025 di seguito approfondita, il Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale (Direzione Generale archeologia, belle arti e paesaggio, DG ABAP, Servizio II), che ha analizzato proprio “Aggiornamenti normativi e procedurali in materia di verifica preventiva dell’interesse archeologico e di progettazione degli scavi archeologici”. Alla circolare, è allegato un pratico testo fronte delle modifiche apportate dal decreto correttivo al codice appalti.
A ciò si aggiunge un ulteriore modifica post correttivo, la prima, introdotta sul codice appalti dalla legge 21 febbraio 2025, n. 16, di conversione del D.L. n. 201/2024 (c.d. Decreto Cultura).
Tali modifiche normative sembrano orientate a razionalizzare le procedure in materia di beni culturali, valorizzare il ruolo delle Soprintendenze e chiarire meglio i requisiti professionali richiesti per le diverse attività nel settore archeologico. La semplificazione introdotta con la qualificazione di diritto delle Soprintendenze regionali come stazioni appaltanti riconosce l’esperienza e la competenza di questi organismi nella gestione degli appalti relativi al patrimonio culturale.
Resta da vedere come queste innovazioni saranno recepite nella prassi amministrativa e professionale, e se si tradurranno effettivamente in una maggiore efficienza senza compromettere la tutela del patrimonio culturale e archeologico nazionale.
La circolare n. 10/2025 della Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero della cultura (MIC) prende atto dei cambiamenti introdotti dal cd. decreto correttivo al codice appalti nella disciplina della verifica preventiva dell’interesse archeologico (VPIA), come evidenziato dalla recente analisi di commento ANCE a tale provvedimento.
La procedura VPIA viene ora formalmente strutturata in due fasi distinte:
– La prima fase, consistente nella raccolta ed elaborazione degli esiti delle indagini geologiche e archeologiche preliminari, corrispondente alla precedente fase prodromica delineata nelle Linee guida del 2022
– La seconda fase, di carattere eventuale, che si attiva solo in caso di esito positivo della verifica di assoggettabilità e prevede il compimento delle indagini archeologiche preventive e la conseguente redazione dei documenti integrativi del PFTE (v. art. 1 dell’All. I.8 al codice 36/2023)
Un’importante modifica procedurale riguarda il termine per la conclusione della seconda fase, ora fissato in novanta giorni dall’avvio delle indagini e non più dalla richiesta di attivazione della VPIA. Resta invece immutato l’obbligo di completare l’intera procedura prima dell’affidamento o dell’avvio dei lavori.
Il legislatore ha inoltre chiarito che l’ambito di applicazione della VPIA è circoscritto ai contratti pubblici di lavori, come definiti dagli articoli 1 e 2 dell’Allegato I.1 al codice appalti, escludendo quindi altre tipologie di contratti (art. 41 del codice appalti).
Una ulteriore precisazione introdotta dal decreto riguarda la carta del potenziale archeologico e la carta del rischio archeologico, che non costituiscono componenti obbligatorie del documento di fattibilità delle alternative progettuali (DOCFAP), ma rappresentano un’articolazione della relativa relazione tecnico-illustrativa unicamente ove esistenti. Queste carte, infatti, sono il risultato delle indagini della prima fase della VPIA, correlata principalmente al Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica o PFTE (art. 2 dell’All. I.7).
La circolare chiarisce inoltre che la relazione di verifica preventiva dell’interesse archeologico – componente obbligatoria del PFTE, salvo diversa disposizione motivata dal RUP – raccoglie e illustra gli esiti della prima fase VPIA ed è necessaria per le valutazioni sull’attivazione della seconda fase, da esprimere nell’ambito della conferenza di servizi (art. 9, co. 1, dell’All. I.7 al codice appalti, ma v. anche modifiche ad artt., 6, co. 4 e 7, 9, co. 1, all’All. I.7 del codice appalti, che confermano come la VPIA sia correlata al livello di progettazione del PFTE).
La stessa relazione non va quindi confusa con la relazione archeologica definitiva, che illustra invece gli esiti della seconda fase, normalmente eseguita dopo la conferenza di servizi
Come rilevato nella Circolare del MIC, nel decreto correttivo è stata dedicata una particolare attenzione ai requisiti professionali richiesti per le diverse attività nel settore archeologico. Per la direzione tecnica dei lavori relativi alla categoria OS 25 (scavi archeologici e attività connesse), il decreto richiede espressamente il coinvolgimento di archeologi in possesso di diploma di laurea e specializzazione in archeologia o dottorato di ricerca in archeologia (art. 11, co. 3, lett. c).
La progettazione di fattibilità tecnica ed economica dei lavori di scavo archeologico per finalità di ricerca deve essere affidata ad archeologi di I fascia (ai sensi del D.M. 20/05/2019), con specifica esperienza e capacità professionale coerenti con l’intervento (art. 16, co. 2 dell’All. II.18 e D.M. 20/05/2019, adottato ai sensi dell’art. 2, c. 1, della L. 110/2014).
Significative sono anche le modifiche all’articolo 16 dell’Allegato II.18, che disciplina la progettazione dello scavo archeologico. Il progetto di fattibilità tecnica ed economica dei lavori di scavo archeologico deve ora disciplinare l’impianto del cantiere di ricerca e individuare i criteri per la definizione della progressione temporale dei lavori e delle priorità degli interventi, nonché i tipi e i metodi di intervento. Le indagini previste comprendono il rilievo generale, le ricognizioni territoriali, le indagini diagnostiche e quelle complementari necessarie.
Il progetto esecutivo dei lavori di scavo archeologico, nel quale confluiscono i risultati delle indagini previste nel progetto di fattibilità, deve contenere dettagliate previsioni tecnico-scientifiche ed economiche relative alle diverse fasi e tipologie di intervento, che comprendono: rilievi e indagini, scavo, documentazione di scavo, restauro dei reperti, schedatura preliminare e immagazzinamento, studio e pubblicazione, forme di fruizione e musealizzazione, manutenzione programmata.
Una novità di rilievo pratico consiste nella possibilità di deroga temporanea per quanto riguarda la direzione dei lavori e il supporto tecnico alle attività del RUP: fino all’eventuale abrogazione dell’Allegato II.18, la figura del restauratore di beni culturali qualificato può essere sostituita da soggetti con esperienza almeno quinquennale di direzione tecnica di lavori pubblici, purché tale esperienza sia stata maturata alla data del 19 aprile 2016 (entrata in vigore del d.lgs. 50/2016).
Il decreto correttivo ha modificato anche l’art. 38 del Codice dei contratti pubblici, stabilendo che, in qualsiasi caso di dissenso o non completo assenso alla realizzazione di opere o impianti, le amministrazioni coinvolte non possono limitarsi a esprimere contrarietà, ma devono indicare le prescrizioni e le misure mitigatrici che rendano compatibile l’opera e possibile l’assenso. Tale disposizione si applica, senza deroghe, a tutte le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi, incluse quelle titolari delle competenze in materia urbanistica, paesaggistica, archeologica e del patrimonio culturale.
Il decreto ha inoltre introdotto nel Codice dei contratti pubblici l’articolo 226-bis, che prevede la possibilità di emanare regolamenti ministeriali o interministeriali per abrogare e sostituire diversi Allegati al Codice, tra cui:
− l’Allegato I.7 sui contenuti minimi dei vari livelli di progettazione;
− l’Allegato I.8 sulla verifica preventiva dell’interesse archeologico;
− l’Allegato II.18 sulla qualificazione dei soggetti nel settore dei beni culturali.
A differenza di quanto previsto nella precedente formulazione dell’art. 41 del codice appalti, la sostituzione dell’Allegato I.8 non è più obbligatoria in sede di prima applicazione del Codice, ma diventa solo eventuale. Pertanto, l’Allegato I.8 rimane pienamente operante fino alla sua eventuale sostituzione con altra disciplina.
Un’ultima e significativa innovazione è stata introdotta con la legge 21 febbraio 2025, n. 16, di conversione del D.L. n. 201/2024 (c.d. Decreto Cultura), che ha modificato l’articolo 63, co. 4, del codice appalti, aggiungendo le Soprintendenze Archeologia, belle arti e paesaggio con competenza sul territorio del capoluogo di regione nell’elenco delle Stazioni appaltanti qualificate di diritto.
Questo intervento normativo potrebbe semplificare l’operatività delle Soprintendenze regionali, che si aggiungono così ad altri soggetti istituzionali già iscritti di diritto nell’elenco delle stazioni appaltanti qualificate, quali il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Consip S.p.a., Invitalia, Difesa servizi S.p.A., l’Agenzia del demanio, i soggetti aggregatori e Sport e salute S.p.a.
Tale qualificazione automatica esenta le Soprintendenze regionali dall’obbligo di presentare istanza ad ANAC per essere inserite nell’elenco delle stazioni appaltanti qualificate, consentendo loro di indire autonomamente procedure di affidamento per contratti di lavori di importo superiore a 500mila euro e per servizi e forniture d’importo superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti.
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