Il Tar Lazio si è pronunciato, con la allegata sentenza n. 1461/09, sul ricorso di un dipendente il quale si era visto respingere, da parte della Pubblica Amministrazione, la domanda diretta ad ottenere il trasferimento allo scopo di assistere un parente disabile.
Nel caso di specie, un assistente di polizia penitenziaria inoltrava domanda di trasferimento, ai sensi dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104/92, per provvedere alla assistenza continua di un parente, portatore di un grave handicap.
L’Amministrazione di appartenenza del medesimo dipendente respingeva tale istanza in base al rilievo della mancanza del requisito soggettivo circa l”esclusività” della detta assistenza.
Il dipendente procedeva alla istanza di riesame, presentando una serie di nuove dichiarazioni di tutti i parenti, dalle quali si ricavava che per motivi oggettivi nessuno degli stessi era nelle condizioni di assicurare al disabile la necessaria assistenza continua.
Anche quest’ultima domanda veniva respinta in quanto dalla medesima non si potevano rilevare elementi di valutazione ulteriori.
Avverso tale ultimo provvedimento il dipendente ha promosso ricorso al Tar Lazio denunciando la violazione e/o falsa applicazione del citato art. 33 della legge n. 104/92 e 20 della legge n. 53/00 in quanto, da tutta la documentazione allegata all’istanza di trasferimento, si rileva che i parenti e/o affini entro il terzo grado del disabile risiedono tutti in località lontane dal luogo di residenza di quest’ultimo o sono affetti da gravi patologie che non consentono a loro volta di assistere adeguatamente il congiunto.
Nella sentenza in esame il Tar ha osservato che la “esclusività” nella assistenza di che trattasi rappresenta un requisito soggettivo espressamente contenuto nel richiamato art. 20 della legge n. 53 per la concessione del beneficio del trasferimento di cui all’art. 33 e tale requisito comporta la non disponibilità soggettiva e/o oggettiva dei parenti e affini entro il terzo grado a far fronte alle esigenze del disabile. Il Tar ha ribadito che grava in capo al dipendente l’obbligo di fornire una esauriente documentazione circa la sussistenza della richiamata “esclusività” dell’assistenza, con la conseguenza che, qualora la detta dimostrazione risulti insufficiente ai predetti scopi, il datore di lavoro è tenuto a respingere la richiesta di trasferimento.
Nel caso di specie la situazione familiare, debitamente illustrata, oltre ad apparire più che completa, rivelava condizioni tali da escludere che il disabile potesse essere in modo idoneo assistito da persone diverse dal ricorrente. In estrema sintesi, le dichiarazioni allegate alla istanza del riesame sono state ritenute dal Tar Lazio più che idonee a concretizzare lo stato di vera e propria indisponibilità di ulteriori parenti e affini entro il terzo grado e, pertanto, validi per rendere evidente una situazione conforme alla fattispecie disciplinata dalla normativa di cui sopra.
Da ultimo, il Tar ha concluso che il provvedimento impugnato non corrisponde alle circostanze rese note dall’interessato, tanto più laddove si consideri che l’Amministrazione interessata si sia completamente astenuta dal fornire elementi ulteriori, aventi il fine di chiarire le ragioni alla base delle proprie decisioni. Alla luce di ciò, il Tar ha pertanto rilevato la illegittimità della pronuncia negativa di tale Amministrazione, tenuto conto della violazione del più volte citato art. 33, comma 5, della legge n. 104/92 e dell’art. 20 della legge n. 53/00.
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