Le procedure disciplinate dalla legge n. 223/91, sia quella riguardante i licenziamenti collettivi e l’altra relativa alla mobilità a seguito di intervento della Cigs, pur presentando una matrice ed elementi comuni, rimangono completamente diverse ed autonome.
Ciò è confermato dall’art. 24 della citata legge n. 223 il quale, in materia di riduzione del personale, fa riferimento al comma 1 alle disposizioni di cui all’art. 4, commi da 2 a 12, e 15 bis, e all’art. 5, commi da 1 a 5; mentre al comma 3 limita alle sole imprese rientranti nel campo di applicazione della Cigs l’onere della contribuzione previdenziale aggiuntiva.
Quanto sopra è precisato dalla Corte di Cassazione, nella allegata sentenza n. 5032/09, la quale aggiunge altresì che il richiamo operato dal citato art. 24 alle disposizioni di cui all’ art.4, commi da 2 a 12, e 15 bis, nonché l’art. 5, commi da 1 a 5, sta a significare che la procedura relativa ai licenziamenti collettivi è senz’altro “modellata” su quella predisposta per la messa in mobilità nell’ambito della Cigs.
Ne consegue che la tutela procedurale contenuta nel più volte richiamato art. 24 prende origine da:
– un presupposto di carattere dimensionale, che fa riferimento alle imprese che occupano più di quindici dipendenti;
– un requisito numerico, il quale richiede almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni nell’ambito di ogni unità produttiva, o in più unità produttive riferite al territorio di una stessa provincia, e riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione.
Qualora si verifichino i suddetti presupposti, si realizza l’ambito di applicazione delle garanzie procedurali di cui sopra, il quale non prevede delle deroghe tranne quelle previste dall’art. 24, comma 4 che, come noto, stabilisce che: “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano nei casi di scadenza dei rapporti di lavoro a termine, di fine lavoro nelle costruzioni edili e nei casi di attività stagionali o saltuarie”.
Invece, non assume rilevanza il fatto che l’impresa interessata rientri o meno nell’ambito di applicazione della Cigs, ed è espressamente previsto, dal comma 2 dell’art. 24, che le disposizioni in materia si applichino anche quando la stessa intenda cessare la attività.
La Corte, nella sentenza in commento, nell’esaminare il ricorso del curatore fallimentare avverso la sentenza della Corte di Appello che aveva confermato la decisione del Tribunale di accoglimento della domanda del lavoratore, conferma che le garanzie procedimentali per la tutela dei dipendenti si applicano anche ai licenziamenti collettivi intimati da impresa in cui i medesimi non beneficiano dell’intervento della Cigs.
Secondo la Corte l’obbligatorietà della procedura non trova un proprio limite nel caso di cessazione dell’attività aziendale e, pertanto, la stessa è esperibile anche in caso di fallimento. Ne consegue che, qualora non sia possibile in alcun modo la prosecuzione della attività, anche tramite cessione dell’impresa o di proprie parti, o quando i livelli occupazionali possono solo parzialmente essere salvaguardati, il curatore fallimentare è tenuto ad assicurare le procedure che la norma generale, di rilievo costituzionale, pone a tutela dei lavoratori.
Secondo la Corte, la disciplina di cui alla richiamata legge n. 223/91, in quanto diretta ad una finalità quale è la tutela del lavoro: “per il suo specifico contenuto e per il rilievo costituzionale (art. 1 e 4 Cost.), prevale sulle pur importanti finalità alle quali è diretta la disciplina del fallimento”, che non può pertanto considerarsi una norma speciale nei confronti della medesima legge n. 223, “bensì è questa che, nei confronti della prima, costituisce norma speciale”.
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