Il rapporto di lavoro a tempo determinato, anche dopo il D.lgs n. 368/01, costituisce una eccezione rispetto a quello a tempo indeterminato, che invece rappresenta la regola. Inoltre, in base alla stessa disposizione legislativa, il datore di lavoro ha l’onere di specificare nel contratto in parola le ragioni che giustificano l’apposizione del termine. Sono questi i principi di maggiore rilievo contenuti nella sentenza del Tribunale di Milano in oggetto, la quale si allinea ad una interpretazione restrittiva del decreto n. 368 di cui sopra.
Infatti, la giurisprudenza di merito – non ancora approdata ad un orientamento definitivo – lungi dal riconoscere alla normativa citata l’obiettivo di una completa “liberalizzazione” circa il ricorso a tale fattispecie contrattuale, ancorché affermata da larga parte della dottrina, intravede peraltro nella stessa la reiterazione di taluni principi già contenuti nella precedente legge n. 230/62.
A sostegno dell’orientamento di cui sopra viene generalmente richiamato quanto disposto dalla direttiva n. 1999/70/CE – di cui il decreto n. 368 ne costituisce l’attuazione – nella quale, in particolare, si afferma che appunto i contratti a tempo indeterminato continueranno ad essere la forma comune del rapporto di lavoro.
Particolarmente rilevante è la posizione assunta dal Tribunale di Milano nella sentenza in commento – in linea con precedenti pronunce in materia – circa la necessità di indicare nel contratto le ragioni sottostanti all’apposizione del termine, verificandosi, nel caso contrario, la nullità di tale contratto e la conversione dello stesso in un rapporto a tempo indeterminato.
In proposito, si ricorda che il secondo comma dell’articolo 1 del più volte citato decreto n. 368/01, prevede espressamente che l’apposizione del termine è priva di effetto ove non risulti da un atto scritto, nel quale siano specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Questa previsione del legislatore assume, secondo il Tribunale, una fondamentale importanza nel quadro normativo conseguente alla riforma della materia in quanto, essendo stata superata la rigida tipizzazione delle ipotesi che autorizzavano il ricorso all’apposizione del termine della citata legge n. 230/62, è ora onere del datore di lavoro indicare con chiarezza e precisione nel contratto i motivi che lo hanno indotto ad introdurre una limitazione temporale al rapporto di lavoro.
Ciò al fine di consentire, volta per volta, una eventuale verifica giudiziale sulla sussistenza di un nesso causale tra la “ragione” indicata nel contratto a termine e le effettive esigenze imprenditoriali.
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